Natale händeliano

 di Stefano Ceccarelli

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia il concerto natalizio del 2023 è all’insegna del Messiah di Georg Friedrich Händel; voci soliste sono: Sara Blanch, Sasha Cooke, Krystian Adam e Anthony Robin Schneider. A dirigere è John Nelson, il quale opera pochi tagli rispetto alla partitura completa.

ROMA, 20 dicembre 2023 – Come concerto natalizio l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta quello che è, forse, l’oratorio più famoso di Georg Friedrich Händel: il Messiah. A dirigere le maestranze ceciliane è John Nelson, che si sta dedicando recentemente alla musica händeliana, assieme, naturalmente, alla sua più grande passione: Hector Berlioz.

I problemi che si presentano ad un direttore che voglia affrontare il Messiah, anche oggi,è l’armonia fra la florida bellezza della musica di Händel e la sacralità dei testi (tratti dalla Bibbia e dal Book of Common Prayers), cioè essenzialmente coniugare il messaggio sacro con la bellezza ‘profana’ della musica. Non pochi furono i critici che incolparono Händel di aver scritto, con una velocità impressionante, musica troppo bella, operistica, per figurare in un oratorio; del resto, qualcosa di simile fu imputato anche al Rossini dello Stabat e della Petit Messe Solennelle. Insomma, Nelson ha il compito di far rendere conto agli spettatori di oggi, tendenzialmente molto più laici di quelli dell’epoca, che ci si trova di fronte ad un’opera sacra. Per farlo, Nelson opta per una direzione abbastanza placida, mai sforzata, ieratica: scava soprattutto il senso sacro del testo. Del resto, l’orchestra è numericamente ridotta: Nelson cerca l’effetto ‘filologico’ dell’ensemble vicino al volume originale, più che la grandeur di un’orchestra sinfonica a pieno organico. Ciò conferisce un senso quasi intimistico alla performance, come si vede soprattutto nella prima parte. È forse vero che viene diminuito un po’ del vigore potenziale della florida musica händeliana, ma questo avviene, però, soprattutto nella prima parte, giacché nella seconda la direzione, come si nota dai passaggi corali, si fa più netta. Come che sia, il risultato è ottimo. L’orchestra è ben centrata, suona compatta, uniforme e vivida; il coro è in splendida forma. Basti citare non solo la fresca esecuzione dell’Hallelujah!, il brano in assoluto più celebre dell’intero oratorio, ma anche altri momenti della serata, in cui il coro mostra incredibile duttilità, abilità di sfumare, dosare colore e volume: per esempio, il ritmato All we, like sheep, have gone astray, o Behold the Lamb of God, eseguito a fior di labbra, oppure, ancora, Since by man came death e Worthy is the Lamb, caratterizzati da un netto contrasto chiaroscurale, assai ben reso da Nelson nella sua direzione.

Anche il cast vocale si lascia apprezzare. Il soprano Sara Blanch, dal timbro argentino, piace non solo per una partecipata interpretazione, ma anche per i colori, per la precisione dei passaggi e delle variazioni, cui conferisce ottimo fraseggio. L’acme della sua performance Blanch la raggiunge nell’aria «I know that my Redeemer liveth», eseguita con incredibile trasporto, esaltando colori e passaggi di incredibile dolcezza. Più apprezzabile nel fraseggio degli ariosi che in alcuni passaggi delle arie, Sasha Cooke vanta una morbida e turgida voce mezzoropranile, che non emerge, però, in tutte le arie (dove l’orchestra copre un volume vocale non molto ampio); fa eccezione l’aria «He Was Despised and Rejected of Men», dove la Cooke riesce a delineare una netta linea canora, anche grazie ad una delicata orchestrazione ‘atmosferica’. Krystian Adam, il tenore, possiede una linea di canto invidiabile, con la tessitura medio/bassa ben centrata, spessa, intensamente vibrata. Quando svetta non è sempre incisivo, ma non importa, visto che il Messiah non sfrutta la corda tenorile nella parte più acuta, ma ne esalta lo squillo centrale ed il fraseggio posato. Tutte le arie sono ben eseguite, da «Ev’ry valley shall be exalted» a «Thou shalt break them». Straordinario il basso, Anthony Robin Schneider, dalla vocalità duttile, scura e squillante. Il momento più alto viene raggiunto nell’aria del giudizio universale, «The Trumpet Shall Sound», dove la voce cavernosamente piena di Schneider contrasta con il gentile squillo delle trombe del giudizio, in uno dei momenti in cui, veramente, si nota l’abilità di Händel nell’evocare un momento tremendo, tal è il Giudizio Universale, mediante la fiorita bellezza della musica barocca. Gli applausi finali testimoniano l’apprezzamento del pubblico.