Quartetti polacchi, quartetti europei

di Roberta Pedrotti

 

Per il ciclo Il nuovo l'antico - La triade polacca, il Bologna Festival propone un concerto del quartetto Meccore, eccellente interprete di Szymanowski, Lustoslawski e Debussy.

BOLOGNA, 15 ottobre 2014 - Quartetto d'archi. Un piccolo mondo, forse la formazione principe nel repertorio cameristico, dal crepuscolo del XVIII secolo fino ai giorni nostri, in tutte le declinazioni possibili. La composizione per quartetto è una tappa obbligata, spesso, iniziatica, un momento indispensabile nel curriculum e nelle formazione di un autore, come ben seppero Verdi e Puccini e perfino Rossini, che pagò immediatamente, ancora bambino, il suo tributo ai quattro registri ad arco riuniti.

Quest'autunno del Bologna Festival è consacrato alla Polonia, e dunque quartetto polacco sia, ma sempre con uno sguardo volto verso più ampi orizzonti, senza chiudersi nel cliché sterile della scuola nazionale. C'è spazio, per esempio, anche per la Francia di Debussy, da sempre, peraltro, polo attrattivo di un'Europa prima e di un intero mondo, poi, musicalmente cosmopoliti. Il programma così ideato è bello e intenso e l'esecuzione del quartetto Meccore eccellente.

Piace la pulizia del gesto, piace la sobria comunicativa, piace l'eleganza di un'interpretazione che sembra veramente andare al cuore espressivo di ogni brano. Soprattutto di quel Quartetto (1964) di Witold Lutoslawski che il direttore artistico Mario Messinis, nella sua presentazione, definisce senza meno un capolavoro che tuttavia rischia per qualcuno d'apparire “irritante” a un primo ascolto. Capolavoro lo è di certo, è chiaro ai primi accordi, entusiasticamente lampante alla conclusione.

L'irritazione, se può manifestarsi, è quella sana di un'arte che osa, sperimenta, esplora, e soprattutto lavora sul suono senza abbandonarsi alle facili elucubrazioni di tanta finta avanguardia specializzata nella frittura dell'aria. Basterebbe quel passaggio in cui singole note pizzicate rimbalzano di strumento in strumento, come in un discorso in cui ciascuno vuole avere l'ultima parola per siglare l'acume di questa pagina e anche la sua particolarità di quartetto-non quartetto, in equilibrio fra individualità e cooperazione. Infatti di quest'opera non esiste partitura.

L'autore ha previsto solo le parti separate di ciascuna voce, che quindi agisce talora in calcolata libertà come un solista, portando il concetto di alea musicale a uno dei più alti e significativi esiti artistici, variabile strutturale di un microcosmo di individui distinti che però devono trovare, senza seguire sempre o necessariamente uno schema prestabilito o un ordine esterno, un incontro e una forma di unità nella pluralità. Questa per gli interpreti è anche una sfida formidabile, ovviamente, tuttavia i violinisti Wojciech Koprowski e Juroslaw Nadrzycki, il violista Michal Bryla e il violoncellista Karol Marianowski non si sono fatti cogliere impreparati e con un'esecuzione cristallina quanto avvincente hanno saputo conquistare l'uditorio senza riserve.

Allo stesso modo si apprezza il Quartetto per archi n. 2 op. 56 (1929) di Karol Szymanowski, un prezioso esempio dell'arte colta e notturna dell'autore del Krol Roger. E, infine, il Quartetto in sol minore op. 10 (1892) di Debussy, l'unico a indicare un punto di riferimento tonale , salvo poi rarefarlo e distillarlo attorno a tre note polari su cui tutta la costruzione tematica si fonda e si sviluppa in quattro movimenti. Un'essenzialità quasi elementare, primordiale, che tuttavia nel suo essere unitaria ammette una sorta di sospensione, di apertura a nuove strade e suggestioni quali fioriranno sia nella scrittura densa di Szymanowski – portato a scandire il suo Quartetto in tre movimenti dalle denominazioni tradizionali di Moderato, dolce e tranquillo, Vivace, scherzando e Lento, moderato – sia in quella tersa e tagliente di Lutoslawski, che non solo evita l'impaginazione in un'unica partitura, ma suddivide l'opera in un'introduzione e in un unico movimento principale a sua volta tripartito (Furioso – Funebre – Finale).

Nulla di nuovo per il bis, che ripropone un movimento di Szymanowski, ma poco importa: la replica è ben gradita e corona una serata da ricordare, per lo stimolo culturale del programma e la qualità artistica dell'interpretazione.