Tarantelle a corte

di Antonino Trotta

Tutto esaurito per la prima tappa italiana, ospitata dall’Associazione Lingotto Musica, del tour della Chicago Symphony Orchestra diretta da Riccardo Muti: italianissimo il programma che, dopo un’evanescente parentesi dedicata a Glass, vira su capolavori di Mendelssohn e Richard Strauss.

Torino, 26 gennaio 2024 – Pur con Un ballo in maschera al Regio di Torino alle porte, il concerto della Chicago Symphony Orchestra s’è rivelato, nell’ambito della rassegna concertista dell’Associazione Lingotto Musica, una serata dal successo travolgente. Per misurarne la temperatura, ancor più dell’applausometro o del botto al botteghino, basta già solo osservare che nell’Auditorium Giovanni Agnelli, gremito all’inverosimile, nessuno osa alzarsi, deposta la bacchetta sul leggio, per abbandonare tempestivamente la sala con orchestra e direttore ancora sul palcoscenico: sul podio c’è Riccardo Muti e il parcometro che scorre inesorabile passa, finalmente, in secondo piano. D’altro canto, la curiosità di ascoltare l’ultima orchestra del Maestro, in casa nostra, è occasione più unica che rara e l’impaginato di sala, italianissimo per i due capolavori che danno esso vigoria, dà di gomito al nostro sano amor di patria mentre celebra, in primo piano, la beltà dei complessi americani e l’eccezionale sinergia col nostro compaesano.

Il concerto si apre con la prima esecuzione italiana di The Triumph of the Octagon, breve composizione che Philip Glass ha creato ispirato dalla singolare architettura del nostro Castel Del Monte. È un brano dal carattere fortemente evocativo, fatto di trame sonoro circolari e traslucide che fluttuano nello spazio della musica tonale, senza tuttavia mai conquistarlo in maniera prepotente. Articolata lungo una parabola drammatica a cui concorrono varie sezioni impegnati in evanescenti giochi di colore, l’opera di Glass ci permette di apprezzare fin da subito la generosa palette cromatica che Muti ha saputo costruire con la propria orchestra.

Più che con Glass, il lavoro di cesello si fa quantomai evidente con la Quarta Sinfonia di Mendelssohn. Salutata la gagliardia giovanile, Muti ripropone oggi questo capolavoro con un taglio decisamente più misurato e aristocratico. Fraseggi in punta di fioretto, dinamiche e micro-dinamiche scolpite con autentica maestria in ogni arcata musicale – l’andante con moto è di eleganza inarrivabile –, la Quarta di Muti sorprende soprattutto per la razionale caparbietà con cui s’è imbrigliare il cuore dionisiaco che pulsa in queste pagine per lasciare Apollo libero di sfilare sul palco. Certo, la tarantella è danza di strada e non di corte, ma anche ballarla senza farsi i piedi neri ha il suo perché.

E a corte si canta pure «Funiculì, funiculà», che del quarto movimento della Aus Italien è canovaccio portante. Tra fanfare di ottoni, legni melodiosi e archi scintillanti, la Fantasia Sinfonica di Richard Strauss è per la Chicago Symphony Orchestra altare celebrativo e consacrante. Pur serbando quel guizzo analitico e sobrio, e ancora lavorando di fino sui più reconditi dettagli ritmici e più inediti impasti timbrici, Muti concede ora alla sua lettura respiro più ampio e glorioso – pur preservandosi a debita distanza dalla retorica sonora spicciola, che con Strauss è sempre in agguato dietro l’angolo –, riconoscibile già dal bucolico movimento d’apertura. Dopo l’atmosferico Am Strande von Sorren, dipinto da Muti con sfumature simili a quelle di un magnifico acquerello, il Napolitanisches Volksleben finale brillante e ricercato tempera la sala per le ovazioni finali. Un bis è d’obbligo e l’Intermezzo dalla Manon Lescaut è momento di sublime poesia. Trionfo.