La cultura del suono

di Luigi Raso

Christian Thielemann sostituisce Kirill Petrenko indisposto sul podio dei Wiener Philharmoniker, garantendo un concerto memorabile con Wagner e Brahms.

VIENNA, 21 aprile 2024 - A solo un giorno dall’atteso debutto di Kirill Petrenko alla guida dei Wiener Philharmoniker viene annunciata, due to health reasons, come recita il comunicato dell’orchestra viennese, la sua sostituzione con Christian Thielemann.

Poco male: è una staffetta tra due tra i più acclamati e significativi direttori dei nostri giorni. I Wiener Philharmoniker (ri)accolgono Christian Thielemann dopo il successo dell’ultimo Concerto di Capodanno e quello con Igor Levit al pianoforte dello scorso 13 aprile. Cambio di direttore e di programma: al posto del trittico di Feste, Pini e Fontane di Roma scelto da Petrenko, Thielemann sceglie l’adorato Wagner e Brahms. Ed è il metafisico Preludio dell’atto I di Lohengrin ad immergere il pubblico che affolla la Großer Saal del Musikverein in un’atmosfera, allo stesso tempo, mistica e travolgente.

Lodare la magnificenza del suono degli archi (e non solo!) dei Wiener Philharmoniker è come portare vasi a Samo: nel provare a descriverlo ed elogiarlo si rischia di cadere nell’ovvietà. Tuttavia, ciò che colpisce immediatamente, sin dai primi accordi del Preludio del Lohengrin, è il tipo di suono, e colore richiesto e ottenuto da Thielemann: è un suono turgido, compatto, poderoso, che evoca quasi gli organi delle grandi chiese austriache. Accanto a una gamma dinamica amplissima (è molto bello osservare il gesto di Christian Thielemann quando chiede il pianissimo ai Wiener), si ascoltano sonorità tornite, vigorose e, nel finale, evanescenti. Thielemann, poi, è particolarmente attento a mettere in risalto il gioco melodico degli ottoni, architrave della costruzione musicale del Preludio di Lohengrin. La sensazione è di trovarsi davanti ad un suono, per la sua intrinseca corposità e consistenza, più tedesco che viennese.

I Wiener Philharmoniker, orchestra dal suono unico e inconfondibile, dimostrano, in aggiunta al vertiginoso livello tecnico quanto a pulizia, precisione, nitore e coesione, di essere orchestra estremamente versatile, capace di adattare il proprio mitico suono al gusto e ai desiderata del direttore.

C’è un “momento sonoro” che lascia davvero stupiti, ed è la ripresa, ad opera della sezione dei violoncelli, del tema iniziale (il cosiddetto tema del Graal): Thielemann e i Wiener Philharmoniker impastano il suono dei violoncelli, degli ottoni e dei legni, lo irrobustiscono e lo rendono più brunito. L’amalgama è talmente perfetto che quello che si ascolta è una sonorità originalissima, derivante dalla perfetta fusione di queste famiglie strumentali.

Il Preludio del Lohengrin, attraverso un calibratissimo crescendo dinamico e di tensione drammatica che si diventa rarefatto nel pianissimo finale, ha un’andatura solenne, ieratica, come ad evidenziare lo spirito catartico del brano.

Incandescente e grondante di passione è invece il successivo Vorspiel und Isoldes Liebestod (Preludio e morte di Isotta) da Tristan und Isolde: qui Christian Thielemann opta per tempi sostenuti sin dalle prima battute del Preludio; il ductus musicale, all’accrescere della tensione drammatica, si fa sempre più travolgente e magmatico. È un Preludio arroventato quello che Thielemann plasma e che trova nella impressionante compattezza dei Wiener Philharmoniker una compagine travolgente per intensità e passionalità.

Il direttore berlinese, nel corso del Preludio, stringe i tempi, dilata all’inverosimile le dinamiche (impressionante il fortissimo generato dai Wiener così come i loro piano/pianissimo!), rende arroventato il suono degli archi. È un Preludio che “scotta”, che brucia l’ascoltatore, che si spegne soltanto negli accordi conclusivi, che introducono l’incipit, cupo e plumbeo nella sonorità, del Liebestod.

Agogica sostenuta, cesello sonoro e dinamiche mobili rendono la versione concertistica della morte di Isotta un brano sbalorditivo per l’intensità del fluire musicale e per florilegio sonoro: i Wiener Philharmoniker danno un’ulteriore lezione di cosa sia il culto del bel suono, che racchiude ed è cifra connotativa di una civiltà musicale e culturale: quella di Wagner è musica che scorre nelle vene dei Wiener Philharmoniker, e lo si percepisce immediatamente, tanto sono incisivi l’abbandono e la compartecipazione con la quale la meravigliosa compagine viennese si lancia nella partitura.

Dal mare in tempesta, dalle sonorità corrusche della sezione centrale del Liebestod, i Wiener Philharmoniker virano verso la luminosa luce adamantina della trasfigurazione sonora finale. L’ascolto provoca brividi; e c’è poco altro da saper raccontare.

Il programma del concerto scelto da Christian Thielemann, custode e interprete di riferimento della grande tradizione musicale di austro-tedesca, sembra riproporre l’antagonismo - in realtà alimentato più dal critico viennese Eduard Hanslick che personale - tra Richard Wagner e Johannes Brahms: dopo l’intervallo, infatti, si ascolta, proprio nella sala che la vide nascere il 30 dicembre 1877, la Sinfonia n. 2 in re maggiore per orchestra, op. 73 di Brahms.

Thielemann e i Wiener Philharmoniker sin dall’Allegro non troppo del primo movimento danno una lettura connotata da contrasti incandescenti: dopo il clima pastorale delle prime battute, si fa largo un fluire musicale burrascoso, ondeggiante tra brevi abbandoni lirici e improvvise accensione drammatiche.

Così come notato nei due brani di Richard Wagner eseguiti nella prima parte del concerto, in questa Sinfonia Christian Thielemann punta sull’opulenza del suono, caldo e brunito, sul suo ragguardevole spessore. I Wiener Philharmoniker e il direttore berlinese cercano sonorità che quasi anticipano quelle “da organo” di Anton Bruckner, compositore particolarmente caro a Thielemann.

Su questa concezione/costruzione sonora, Thielemann e i Wiener Philharmoniker costruiscono un primo tempo di intensa e lancinante drammaticità, nel quale si ammirano la precisione e il bronzo sonoro degli ottoni, il calore penetrante degli archi, l’amplissimo ventaglio dinamico - che diventa specchio dei toni, spesso contrastanti, del movimento -, l’incedere poderoso e granitico dell’intero organismo orchestrale nella sezione conclusiva del primo movimento.

Cesellato fino al manierismo è l’Adagio non troppo del secondo movimento: qui il discorso musicale si amplia poco a poco, come in cerchi concentrici; prende corpo un raffinato gioco di rimandi tra archi, ottoni e legni, in un crescendo di tensione che sfocia nelle arcate dei violini, brucianti e magnetiche; poi tutto si stempera in un nostalgico lirismo.

Non c’è alcuna slabbratura nell’agogica dell’intero movimento: il flusso musicale non conosce cesure, né c’è tempo e spazio per l’autocompiacimento; anzi, si avverte una bruciante attesa per giungere al leggero Allegretto grazioso (quasi andantino) del terzo movimento, dal sapore pastorale: ma sotto la patina di diffusa ilarità cova la cenere delle brucianti accensioni drammatiche pronte a riaccendersi.

Dopo sole poche battute i Wiener Philharmoniker si e ci immergono in un vortice musicale, nel fitto dialogo tra archi e legni, nell’incresparsi repentino del clima idilliaco iniziale che conduce, benché vi sia breve interruzione tra il terzo e quarto movimento, all’Allegro con spirito finale. Dopo il diminuendo che chiude il tema in re maggiore introdotto dagli archi, impressiona, per potenza fonica, per la precisione e la compattezza orchestrale, la deflagrazione del forte: è un’esplosione di energia dall’altissimo tasso di drammaticità, magnificamente seguito (difficile trovare aggettivi e avverbi per definirla) dai Wiener Philharmoniker che sfoggiano un’articolazione interna ed una precisione ai limiti dell’umano.

Ma tutto il movimento conclusivo è costruito da Christian Thielemann con un costante crescendo di tensione:l’agogica si fa via via più stringente, le dinamiche sempre più esasperate, il suono sempre più poderoso, più “bruckneriano”; le percussioni diventano incalzanti.

I perfetti meccanismi dell’ingranaggio orchestrale dei Wiener Philharmoniker testimoniano, ancora una volta, la loro leggendaria affidabilità e precisione anche nella concitatissima e deflagrante chiusura della Sinfonia.

Il concerto si chiude con un trionfo per i Wiener Philharmoniker, le sue prime parti e per Christian Thielemann: ovazioni accolgono il direttore tedesco ogni volta che è richiamato sul palco del Musikverein.

Interrompe gli applausi scroscianti della Goldener Saal gremitissima Daniel Froschauer, primo violino dei Wiener Philharmoniker nonché suo Presidente, che porge a Christian Thielemann l’attestato con il quale è nominato Membro Onorario della Filarmonica di Vienna. Thielemann, nel ringraziare per l’onorificenza ricevuta, loda il “meraviglioso rapporto” e la connessione che si sono instaurati negli anni con i Wiener Philharmoniker.

Mattinata (il concerto è iniziato alle ore 11) incandescente in una Vienna dalle temperatura esterna invernale: i Wiener Philharmoniker, ad ogni ascolto dal vivo, confermano lo splendore, l’unicità e la distinguibilità del suono; in un mondo, musicale e non solo, dominato dall’omologazione ciò è un bene raro, da custodire e da venerare, e i Wiener Philharmoniker sanno come onorarlo.