Colori e ingenuità

di Irina Sorokina

Un Mozart fiabesco riscuote successo al Filarmonico di Verona.

Verona, 24 gennaio 2024 - Die Zauberflöte è da sempre un titolo gradito nei cartelloni dei teatri, con buone possibilità di riscuotere successo; la fiaba massonica di Mozart-Schikaneder può essere interpretata e messa in scena in mille modi, ma soprattutto offre a ogni tipo di voce presentarsi in tutto il suo splendore. A Verona si sceglie l'opera mozartiana in occasione del Festival Mozart 2024 e nell’allestimento coprodotto da OperaLombardia, Fondazione Teatro Verdi di Trieste e la statunitense Opera del North Carolina. È già stato presentato al pubblico di Como, Cremona, Brescia, Pavia e Trieste e non si sbagliavano quelli che avevano predetto che anche nella città veneta sarebbe stato generosamente applaudito.

Con Il flauto magico torna al Filarmonico Ivan Stefanutti, un uomo di teatro poliedrico a cui piace vestire molti ruoli all’interno di una produzione: regista, scenografo e costumista. Il titolo mozartiano ne è una conferma. Non cerca di aggiungere al Flauto magico i sensi che nell’opera massonica di Mozart non sono presenti e se fossero inventati, potrebbero “disturbare” la fiaba, si tuffa con convinzione e piacere in un mondo di draghi, principi e principesse, simboli del Bene e del Male. L’operazione, per quanto riguarda la scenografia, si riferisce a elementi orientali quali piramidi e draghi e fa ricordare le vetrine multicolori dei negozi cinesi presenti in molte città. Stefanutti non teme di mostrare ingenuità e purezza infantile, cosa che gli vale la simpatia del pubblico; nella sua scena fissa vengono inseriti i personaggi abbigliati in modo colorato e fantasioso e non manca il drago che c’è ma non si vede, o, più precisamente, si vede la sua coda rossa che avvolge il povero Tamino nella scena iniziale. Alla buona riuscita dello spettacolo contribuiscono tutti gli interpreti, che si divertono e fanno divertire il pubblico, senza mai lasciare da parte il lato intellettuale e passionale dell’ultima opera mozartiana. Un valore particolare viene riconosciuto a Emanuele Agliati, autore di una “partitura” di luci che si può definire magica.

L’allestimento si distingue per l’alternanza di due lingue, tedesco e italiano, la prima giustamente usata nelle parti cantate e la seconda nei dialoghi. Dapprima ciò provoca una certa confusione, che svanisce quasi subito grazie alla disinvoltura con cui gli interpreti passano da una lingua a un’altra; a qualcuno potrebbe non piacere, ma, strada facendo, la scelta conferma il suo valore. La traduzione di Stefano Simone Pintor è perfetta, vivace e spiritosa, l’uso di madrelingua rende la recitazione molto più sciolta in scena ed è di grande aiuto agli spettatori.

Il flauto magico veronese presenta un buon cast, capitanato, in senso letterale, dal basso russo Alexander Vinogradov, da sempre in possesso della voce profonda, morbida, vellutata, proprio quella che si immagina per il saggio e paterno Sarastro. Ottima recitazione e portamento scenico ben studiato sono un grande valore aggiunto e il personaggio ha tutte le possibilità di rimanere nella memoria del pubblico veronese.

Anna Siminska è la Regina della Notte fiera e splendente dalla voce ampia e instancabile, con una sfumatura graffiante, più convincente nella prima aria che nella più famosa seconda in cui le agilità sembrano non volersi piegare alla sua volontà.

Il ruolo di Tamino sta bene Matteo Mezzaro, in perfetto equilibrio tra i tratti fiabeschi e umani del personaggio; gli dona naturalezza con una sfumatura d’ingenuità e non esita a rivelare una certa fragilità. Meno convincente risulta il lato vocale, in cui si sarebbe potuta desiderare una linea più morbida e suadente.

Gilda Fiume come Pamina conferma i suoi grandi valori di cantante e attrice e ancora una volta si rivela un’artista poliedrica. Una grande voce, la sua, ampia, ben appoggiata, perfettamente timbrata, ricca di armonici e anche resistente; se dobbiamo aggiungere qualcosa, ha la capacità di giocare con il proprio strumento allo scopo di plasmare bene il personaggio. La sua Ofelia è stata una cosa, Anna Glawari nel celebre duetto “Tace il labbro” al concerto di San Silvestro un’altra, la sua Pamina vocalmente e scenicamente non ricorda per nulla le prime due.

In perfetta sintonia - e accade quasi sempre - la simpatica coppietta Papageno e Papagena, rispettivamente Giulia Bolcato e Michele Patti: la prima sfoggia una voce di soprano bella, lucente e gioiosa e veste i panni della fidanzatina dell’uccellatore con simpatia e naturalezza, il secondo, pure in possesso di qualità baritonali chiare e di bel colore, si sente sul palco come un pesce in acqua. Al pubblico non rimane che applaudirli.

Matteo Macchioni nella parte di Monostatos riesce a ricavare uno spazio tutto suo all’interno dello spettacolo; il moro preso dal desiderio di possedere Pamina spesso è reso troppo cattivo e accanito: Macchioni grazie ad un perfetto senso della misura evita felicemente il grottesco esagerato. Chi sa se questo Monostatos dalla voce chiara e dal bello squillo non sia sinceramente innamorato della figliola della Regina della Notte.

Molto simpatiche, graziose e piccanti le tre dame, interpretate da Marianna Mappa, Francesca Maionchi e Marta Pluda; il loro trio è pressoché impeccabile, si muovono e interagiscono come attrici consumate e deliziano l’orecchio con un canto sempre in perfetta sintonia. Completano il quadro Viktor Shevchenko (il primo sacerdote/Secondo armigero), Gianluca Moro (Secondo sacerdote/Primo armigero) e Alberto Comes (Oratore/Una voce). Veramente bravi sono i giovanissimi Jacopo Lunardi, Lorenzo Pigozzi, Erika Zaha (tre fanciulli).

Sul podio Gianna Fratta ottiene l’approvazione del pubblico ad iniziare dall’ouverture, guida l’orchestra della Fondazione Arena di Verona con il gesto chiaro, morbido e sempre sicuro, fa splendere i colori della partitura mozartiana e gestisce bene le dinamiche. Il coro è brillantemente preparato da Roberto Gabbiani, mentre i fanciulli sono affidati alle mani esperte di Paolo Facincani.

A Verona, una delle città più belle d’Italia, un tuffo nella semplice fiaba fa dimenticare i conflitti in corso per il mondo, la situazione economica non rosea e il freddo umido che morde fuori dalla sala rosso dorata del Filarmonico: Die Zauberflöteitinerante è anche questo. C’è pure tanta bella musica: non si deve essere troppo severi con una produzione che merita d’essere chiamata carina, ma non proprio memorabile.