Pare un libro stampato

di Antonino Trotta

Spumeggiante successo per il Don Pasquale andato in scena al Teatro Regio di Torino: ripreso da Riccardino Massa, lo spettacolo firmato da Ugo Gregoretti allieta il pubblico con una narrazione scanzonata mentre Alessandro De Marchi, in buca, dirige con spiccata personalità. Valida la seconda compagnia di canto.

leggi anche la recensione della prima compagnia: Torino, Don Pasquale, 30/01/2024

Torino, 31 gennaio 2024 – Un po' di autentico bel canto, in una stagione quasi interamente votata a Puccini – per carità, con tutta la venerazione possibile per il genio lucchese –, rinfranca lo spirito come una sana boccata d’aria fresca. E che a respirare, oltre a noi, sia pure il Teatro Regio di Torino, quest’anno impegnatosi come non succedeva da anni in una programmazione di tutto rispetto, è evidente un po' dal taglio dello spettacolo. Questo Don Pasquale, accolto con spumeggiante successo di pubblico, appartiene al filone degli spettacoli di repertorio che solitamente il Regio propone a fine stagione, quando pubblico, lavoratori del teatro e fondi sono ormai stremati.

Non si storcerà dunque il naso se sulle sacre tavole sabaude il Don Pasquale è messo in scena col solito approccio che funesta ogni commedia musicale – talvolta assai più difficile da fare della tragedia –, facendole alla fine rassomigliare tutte, siano esse scritte da Rossini, Donizetti o Mozart – che hanno approcci al genere profondamente differenti –. Di gag e smorfie, frizzi e lazzi, Riccardino Massa, che riprende lo spettacolo firmato da Ugo Gregoretti, tra scene e controscene, ne mette a più non posso – acrobati, ladruncoli, faccendieri, lavandaie, sembra talvolta di stare nel paese dei balocchi –, sicché di quell’amara malinconia che vena ogni risata donizettiana non si coglie nemmeno il più lontano retrogusto. Va detto, tuttavia, che la Roma papalina, evocata a mo’ di litografia dalle bellissime scenografie Eugenio Guglielminetti, offre suggestioni e colpi d’occhio d’innegabile fascino. Ce li facciamo bastare.

Decisamente più interessante, seppur non sempre pienamente convincente, è parsa invece la bacchetta di Alessandro De Marchi che, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, intavola una concertazione dal sapore quasi settecentesco. Come un maestro al clavicembalo, De Marchi punta principalmente sull’invenzione ritmica per puntellare e caratterizzare il taglio della sua lettura. Persuadono così i tempi scattanti, il sostrato orchestrale leggero e flessuoso, il fraseggio quadrato, le pause ben calibrate, i giochi di rubati, i continui preziosismi strumentali che si ergono a coprotagonisti dalla buca. Eppure, qui e là, si avverte come la mancanza di un abbandono lirico più rilassato, di sospiri languidi, di lacrime furtive accennate sul volto, che nella commedia di Donizetti, più che altrove, fanno la differenza.

La seconda compagnia è, nel complesso, valida. Lucio Gallo, vocalmente solido e scenicamente partecipe, dà vita a un Don Pasquale burbero e stralunato, misurato nei cangianti accenti, corretto e solido nell’emissione. Parimenti, convince il Malatesta di Vincenzo Nizzardo: canta e fraseggia con gusto e attenzione alla parola, ben articolata nella voce calda con cui affronta il ruolo. Il duetto tra i due, cantato in platea come nei migliori show nazional-popolare, è trionfo assicurato, tant’è che il da capo si bissa a furor di sala. Matteo Falcier viene a capo della pestifera parte di Ernesto con molta eleganza, esibendo una linea vocale limpida – fatta eccezione per qualche acuto estremo un po' troppo aperto –, fraseggio forbito e un’accattivante delicatezza d’espressione. Fa molto bene anche Francesca Pia Vitale vestendo i panni della vispa Norina: cantante vivace, interprete esuberante, correda la parte con agilità sgranate e puntature ben a fuoco, senza poi glissare sulla grazia nel porgere e sull’arte del legato, assai apprezzabili negli involi lirici che poeticizzano il ruolo. Corretto, infine, il notaro di Franco Rizzo e ottima, al solito, la prova de Coro del Teatro Regio istruito dal maestro Ulisse Trabacchin.

Sala non pienissima, ma applausi calorosissimi per tutti gli artisti.