I rimorsi di Bolena

di Antonino Trotta

Nell’Anna Bolena del Teatro Municipale di Piacenza s’impone su tutti, per statura di vocalista e interprete, la regina di Carmela Remigio. Non passano inosservate le ottime prove di Arianna Vendittelli e Ruzil Gatin, così come meritevole d’attenzione s’è rivelata la concertazione di Diego Fasolis. Valida anche la regia di Carmelo Rifici, che chiude il cerchio in una serata coronata da un trionfo di applausi.

Piacenza, 18 febbraio 2024 – Si cominci per una volta, nel riferire di una serata d’opera, direttamente dalla protagonista. E non solo perché nell’Anna Bolena la protagonista, quasi sempre in scena, è fulcro e fuoco di tutta l’azione, bensì perché qui al Municipale di Piacenza, dove l’opera donizettiana arriva dopo il debutto settembrino al LAC di Lugano [leggi la recensione: Lugano, Anna Bolena, 08/09/2023], Carmela Remigio riaffronta il ruolo ponendovi al suo servizio trent’anni di esperienza e trent’anni di sapienza, vocali e sceniche. Interprete raffinata e attenta, vocalista agguerrita e puntuale che fa sua la scrittura senza sconti né scorciatoie, Carmela Remigio sa restituirci, nell’arco delle tre sublimi ore di musica, tutte le fragilità e i pentimenti di una sovrana carismatica e seducente. Di un personaggio che spesso si consuma prematuramente nel fuoco di virtuosismi e puntature – appuntamenti a cui, è bene precisarlo, il soprano abruzzese non si sottrae mai –, Remigio fa emergere, con un canto regale, ora delicatamente elegiaco, ora aristocraticamente animato, una donna consumata dal rimorso della corsa al trono, illuminata dalla forza del perdono, rinfrancata dalla carezzevole mano del ricordo. Come Remigio riesca a far tutto questo, è presto detto: non vi è passaggio dove il testo si perda nel vorticare delle note, non si ascoltano arzigogoli musicali che non siano affrontati con facilità e freschezza, non vi è accento che non sia calibrato con superba maestria, non v’è momento in cui l’attrice si faccia da parte per lasciar sola al proscenio la cantante. L’osservazione, poi, che tutto ciò sia opera di un’artista in scena da oltre un quarto di secolo, aggiunge alla già pago godimento del frutto artistico quel tocco di ammirata stupefazione che arricchisce, e non con poco, l’esperienza teatrale di chi siede tra i velluti del Municipale.

A far Bolena, comunque, Remigio sola non basta ed ecco allora parterre vocale popolarsi di altri promettenti nomi. Arianna Vendittelli si cimenta, con esiti d’indubbio valore, nei panni di Giovanna Seymour, restituita qui alla vocalità di altro soprano: omogenea in tutta la tessitura, dinamica e precisa nella coloratura, rivaleggia al pari con la Bolena della Remigio per la classe nel fraseggio e nell’accento – elettrizzante e carica di pathos, vien da sé, è la scena del confronto –. Ruzil Gatin, poi, è un Percy coi fiocchi: squillante e solido in acuto – parte Rubini, per inciso –, con buon volume e bella rotondità, tiene tutto il ruolo senza mai mostrare segni di stanchezza o cedimento, infilando qui e là pure qualche suono smorzato a corredo di una parte già impervia per di suo. Piace moltissimo anche lo Smeton di Paola Gardina, brillante e timbrata nel canto di agilità, meno l’Enrico VIII di Simone Alberghini, a cui manca un po’ di regale allure. Eccellente, per emissione e colore, anche il Rochefort di Luigi De Donato, più sottotono l’Hervey di Marcello Nardis. Ottima, infine, la prova del Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia istruito dal Maestro Martino Faggiani.

Alla guida dei Classicisti, evoluzione dei già celeberrimi Barocchisti, Diego Fasolis propone una lettura interessantissima, asciutta, scattante nelle agogiche, storicamente informata e soprattutto teatralmente compiuta che ben sposa, coi suoi timbri lividi e le sue geometrie aguzze la regia pensata da Carmelo Rifici. Regia che, nella sua volteggiante linearità, non soffoca né amplifica l’azione, ma, forte anche dei costumi Margherita Baldoni, della scena fissa e roteante di Guido Buganza e delle luci di Alessandro Verazzi, crea un appagante contenitore in cui lasciar fluire la storia, risolvendo, inoltre, con arguzia, fluidità e mordente, anche i momenti in cui il ritmo della narrazione inchioda.

Successone, insomma, di quelli che sovente si vedono a Piacenza.