Ottocento premonitore, Novecento nostalgico
Il fuoriclasse del violino Marc Bouchkov eccelle nel Concerto di Sibelius, affiancato dalla direttrice polacca Marta Gardolińska, al suo debutto sul podio dell’OSN Rai
TORINO, 19 maggio 2025 - Anni fa, nell’ormai lontano 2008, mi trovavo a San Pietroburgo e decisi in una calda giornata di agosto di visitare la casa museo di Nikolaj Rimskij-Korsakov, dove il compositore visse e scrisse molte delle sue opere più celebri. L’edificio ad appartamenti di Zagorodny Prospekt aveva dall’esterno un aspetto squalliduccio. Una casa un tempo signorile ma decaduta, con un portone minuscolo che immetteva in un grande cortile interno dall’aspetto ancora più trasandato rispetto alla facciata, con poche piante rinsecchite e giochi per bambini arrugginiti. Pensai che l’aspetto durante il periodo sovietico non dovesse essere molto diverso. Oltre al sottoscritto non c’era nessun turista. Faticai non poco a trovare la giusta rampa di scale che portava al museo, tra l’altro poco segnalato ad eccezione di un paio di piccole targhe, ovviamente in cirillico. L’interno della casa aveva un aspetto più curato e conservato, seppur bisognoso di qualche restauro, ma in ogni caso rimasi colpito dalla relativa semplicità degli ambienti, così differente in confronto alla sontuosa veste sonora delle partiture di Rimskij. Se nel vestire l’aspetto può ingannare, assunto di un celebre proverbio, discorso analogo vale per le case: non sempre rispecchiano il carattere di chi le abita o le ha abitate e farsi un’idea degli uomini sulla base delle loro opere può essere talvolta fuorviante allo stesso modo in cui altre volte risulta illuminante.
Dalle opere si deve però partire e la direttrice polacca Marta Gardolińska, classe 1988, al suo debutto sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, non si lascia certo intimorire dalla lussureggiante veste di un lavoro quale la suite Shéhérazade op. 35 (1888). L’esecuzione ha pregi e difetti, inevitabilmente connessi tra loro, ma nel complesso risulta assai gradevole, sostenuta dall’alto livello di un’orchestra il cui suono, anno dopo anno, acquisisce raffinate sottigliezze che le danno un’identità e una personalità che si estendono al di là del maestro che in quel momento si trova a dirigerla.
Il gesto della Gardolińska è di elevata precisione, bello da vedersi, anche se tende ad essere eccessivamente didascalico, come se ogni sfumatura nella scrittura, dal minimo crescendo allo staccato appena accennato, dovesse trovare un corrispondente in un movimento della mano o del braccio. Ne consegue un virtuosismo tecnico notevole, senza cedimenti e incertezze, tanto più ammirevole in un pezzo che sfiora i cinquanta minuti di durata, ma l’impressione è che sul piano strettamente emotivo ed espressivo qualcosa si perda. I risultati migliori, a giudicare dalla discografia, Marta Gardolińska li ha ottenuti nella musica del Novecento e qui, a ben vedere, risiede il limite principale della sua interpretazione torinese: passi il fatto che Rimskij-Korsakov sia morto nel 1908, e fece in tempo a dare lezioni a un mostro sacro del ventesimo secolo del calibro di Igor Stravinskij, ma la sua concezione estetica è ancora del tutto ottocentesca e, sebbene in certe soluzioni timbriche sia avanti coi tempi, Shéhérazade non può essere concertata come un titolo del Novecento. Invece, all’ascolto, si avverte spesso un’asciuttezza del suono, una brutalità nei cambiamenti di tempo, una scansione ritmica quasi esasperata che vanno al di là delle intenzioni del compositore, non solo nell’ultimo dei quattro quadri che compongono la suite, che inizia con la Festa a Bagdad tra le cui righe si può notare ben più di un’anticipazione dell’impressionismo orientalista di un Debussy, ma anche in passi a prima vista insospettabili. Sul finire del primo quadro (Il mare e la nave di Sinbad), quando per la seconda volta i violini primi e secondi, a cui per quattro battute è richiesto di suonare solo in sei per ciascun gruppo, riprendono la figurazione ascendente che condurrà alla ripresa del tema principale cantabile da parte del violoncello solo, mentre prima il clarinetto e poi il flauto ricamano una fioritura discendente in terzine ricavata dal tema della principessa del titolo, la percezione è quella di trovarsi di fronte non a un preciso e tipico stilema che prelude a un abbandono melodico ma a un perfetto meccanismo ad orologeria come in molti passi del Sacre du printemps. Per il resto la lettura che viene data è generosa e non esclude momenti di puro lirismo e di autentica tensione narrativa, per merito di un’orchestra in ottima forma in tutti i reparti.
Se Rimskij-Korsakov chiude in maniera sontuosa la serata, riscaldando l’entusiasmo di un pubblico numeroso, l’anima novecentesca della musicista polacca emerge al meglio nei due pezzi in programma nella prima parte che, pur guardando al passato con una punta di nostaglia, si avvicinano maggiormente al suo territorio di elezione. E se le Quattro versioni originali della Ritirata notturna di Madrid di Luigi Boccherini sovrapposte e trascritte per orchestra da Luciano Berio nel 1975 vengono presentate distillando con parsimonia il timbro, traendo un nitore di sapore cameristico pure nei righi più affollati della partitura, altrettanto non si può dire dell’intenso Concerto per violino in re minore op. 47 di Jean Sibelius, vibrante, all’interno di una struttura ancora abbastanza tradizionale, di un’inquietudine già appartenente al ventesimo secolo, nonostante la sua nascita, agli albori del periodo, tra il 1902 e il 1904. In questa pagina la mano di Marta Gardolińska dipinge un sontuoso scenario di concisa ed efficace essenzialità, ma infondendo un respiro di ampia portata agli squarci lirici con cui l’orchestra riprende un discorso la cui prima e ultima parola spetta sempre al solista. Nell’occasione il violino di Marc Bouchkov, origini russo-ucraine e passaporto belga, si fa apprezzare per chiarezza di eloquio, luminosità di intonazione, profondità di espressione, forza e vigore nell’arcata. Sibelius, violinista di formazione, richiede per il suo unico concerto caratteristiche da virtuoso di prim’ordine. Bouchkov, oltre a padroneggiare lo strumento con innata semplicità, conferisce il giusto umore a ogni frase: l’ombroso tema del primo movimento, Allegro moderato, si arricchisce così di un’energia fresca e vivificante, mentre l’intima confessione dell’Adagio di molto rivela un calore e una pienezza cromatica nelle zone inferiori del registro sconosciuti ad altri esecutori. Anche nel finale, giocato su un ritmo puntato di slancio crescente, la sagacia e l’intelligenza interpretativa non vengono mai meno, con la materia musicale condotta progressivamente al calor bianco tra le funamboliche evoluzioni della voce principale, destinate a continuare, tra le ovazioni, nella Danse rustique tratta dalla Sonata per violino solo op. 27 n. 5 di Eugène Ysaÿe e proposta come encore.
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