Seduzione mentale
di Luigi Raso
Elīna Garanča, accompagnata al piano da Malcom Martineau, offre un irresistibile saggio della sua arte nel recital al Teatro di San Carlo di Napoli.
NAPOLI, 31 giugno 2025 - Elīna Garanča è figura di artista così sofisticata e complessa che non sfigurerebbe nella galleria di ritratti di Anime baltiche, meraviglioso libro di viaggio dello scrittore olandese Jan Brokken (classe 1949): persona raffinata, poliglotta, estremamente professionale, cittadina lettone e del mondo, moglie del direttore inglese-gibilterrino Karel Mark Chichon; la sua vita si divide tra le radici della sua Riga, il buen retiro andaluso, nei pressi di Malaga, e i palcoscenici internazionali.
Non ce n’era bisogno sicuramente, ma il recital sancarliano di stasera rappresenta ulteriore conferma e consacrazione del talento artistico del mezzosoprano lèttone, l’occasione per (ri)apprezzare - dopo la Santuzza in Cavalleria rusticana del 2020 destinata alla trasmissione in streaming nel periodo buio della pandemia da Covid-19 (leggi la recensione), la Carmen dell’estate del 2021 in Piazza del Plebiscito (leggi la recensione), la Principessa Eboli nello straordinario Don Carlo del 2022 (leggi la recensione), e, giusto un anno fa, la magnetica Judith nel Castello di Barbablù (leggi la recensione) - la musicalità, la professionalità, lo scrupolo nell’approccio ai vari repertori affrontati, la calibrata e fulgida vocalità di una delle interpreti più significative dei nostri giorni.
Ebbene sì: chi scrive confessa di nutrire e coltivare una sconfinata ammirazione nei confronti di questa artista, così lontana dalle troppe tentazioni di pressapochismo musicale che irretiscono anche talentuosissime star della lirica di oggi.
Da ogni ascolto, da ogni sua nuova interpretazione traspare lo studio approfondito, la cura e l’analisi del personaggio, il tempo e la dedizione per la messa a punto ottimale della parte “in gola”: nulla, quando si ascolta e si vede in scena Elīna Garanča, è lasciato al caso, all’improvvisazione; tutto è meditato e approfondito. Si pensi - soltanto per citare due suoi ultimi debutti – il modo con cui ha affrontato, qui al San Carlo, il citato Castello di Barbablù: i lunghi mesi di studio della lingue ungherese, l’immersione nella parte della protagonista dell’opera le hanno consentito di forgiare un ritratto scultoreo raffinatissimo della protagoinista; oppure, il suo acclamato esordio al Festival di Bayreuth come Kundry, parte che riprenderà la prossima estate per sole due recite, cesellata in ogni singola battuta, preziosa, aristocratica come poche, che non sfigura al fianco delle grandi interpreti che hanno calcato le tavole del teatro-tempio wagneriano.
Esaurita questa personalissima e infervorata laudatio delle doti (lo scorso maggio mi confessò di volersi dedicarsi esclusivamente allo studio durante l’estate 2024) di Elīna Garanča, deposte le vesti del fan sfegatato, proviamo a descrivere il recital di stasera, che si è giovato dell’accompagnamento al pianoforte, calibratissismo, imperniato sulla singola battuta, raffinato e preciso, di uno dei più grandi accompagnatori di oggi, lo straordinario Malcolm Martineau.
L’apertura del complesso e articolato programma (la Garanča affronta brani in tedesco, russo, francese, castigliano, italiano; e nel bis aggiungerà una romanza in lèttone: ben sei lingue!) è affidato sette lieder di Johannes Brahms, tratti da sei raccolte: si va dai struggenti Liebestreu a Die Mainacht, da Geheimnis a Alte Liebe, cartoline dell’anima, nuances sonore, catabasi nell’animo umano nel corso delle quali il magistero vocale e interpretativo di Elīna Garanča indaga le pieghe più remote, illumina gli anfratti più reconditi: è un viaggio verso il cuore della cultura tedesca - di cui la Garanča domina l’idioma - affascinante, emozionante e improntato al culto di un aristocratico porgere di parole, suoni e melodie. Brani, i lieder di Brahms, che costituiscono la prima tappa del recital-viaggio di stasera.
Dal tedesco al francese: “D’amour l’ardente flamme” da La damnation de Faust di Hector Berlioz è la prima incursione nel repertorio francese. Linea di canto levigata e nobile affondi lirici di controllata intensità, lezione su cosa si intenda per “ben cantare”, su come si gestisce il fiato. E qui Malcolm Martineau è talmente bravo da quasi non far avvertire l’assenza dell’oboe!
Clair de lune di Claude Debussy dà tempo ad Elīna Garanča per prepararsi ai prossimi brani in scaletta e a Malcolm Martineau di far apprezzare il suo tocco etereo e raffinato.
Torna la diva per il seducente “Mon cœur s’ouvre à ta voix” da Samson et Daliladi Camille Saint-Saëns: è una scena di concupiscenza cerebrale più che carnale, il cui fascino magnetico si propaga dalla sprezzatura, da quell’eleganza controllata che cela il mistero femminile e l’intento seduttivo di Dalila.
Travolge, poi, con l’intensità vocale e interpretativa di “Me voici… Plus Grand, dans son obscurité” da La reine de Saba di Charles Gounod, che mette in luce tutto lo splendore della vocalità del mezzosoprano, che sfoggia acuti luminosi e fermi.
Si ritorna alla lingua e al repertorio russo con la meravigliosa, tortuosa, “Da, chas nastal… Prastitye vi” da La Pulzella d’Orléans di Pëtr Il'ič Čajkovskij (ma riuscite a trovare una, una sola, sua composizione che non sia interessante?): qui la vocalità della Garanča si irrobustisce e si incupisce. Dal francese al russo nell’arco di pochi minuti: la spiccata versatilità le consente di adattarsi a repertori e culture diverse in un battere di ciglio!
Con le quattro romanze (Ne ver mne, drug!, Son, O, ne grusti! Vesennije vodi) di Sergej Rachmaninov si prosegue con l’idioma russo, che la Garanča, nata a Riga quando la Lettonia faceva parte dell’URSS, padroneggia come seconda lingua; si addentra nel mondo poetico e musicale di queste concise romanze con lo stesso scrupolo, approfondimento e introspezione psicologica, cura della linea di canto e acume interpretativo sfoggiati in occasione dei lieder di Brahms in apertura di recital.
La languida Berceuse di Jāzeps Vītols per pianoforte è preparatoria per la sezione più “pop” del recital. Con “Voi lo sapete, o mamma” da Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, Elīna Garanča restituisce il ritratto di una Santuzza tormentata e umiliata, ma che non perde un ette della propria aristocratica compostezza: è un dolore interiorizzato, espresso in un canto che non tradisce sbavature e affondi triviali.
Dalla Sicilia di Cavalleria alla Spagna della zarzuela, con “Cuando está tan hondo”da El Barquillero di Ruperto Chapí: brano struggente, immerso in una stupefacente tinta scura, con registro grave particolarmente tornito e acuto solido e luminoso.
Segue poi la celeberrima Habanera da Carmen di Georges Bizet, parte che è tra i cavalli di battaglia di Elīna Garanča: la seduzione aristocratica e cerebrale, coadiuvata da una gestualità ponderata di grande effetto, è tale da non lasciare alcuno indifferente.
La chiusura è affidata a un’altra aria dal repertorio della zarzuela spagnola, la travolgente Carceleras daLas hijas del Zebedeo diRuperto Chapí, brano che nel vorticoso fluire dei versi fa ancor di più apprezzare il poliglottismo vocale e non del mezzosoprano lettone.
Trionfo, applausi fragorosi da parte della sala del San Carlo purtroppo non affollata di pubblico come il recital avrebbe meritato, richieste di bis che vengono esaudite: si parte con la romanza Lillà op. 21 n.5 di Rachmaninov, che la Garanča introduce descrivendo una placida serata di maggio, accompagnata dalla compagnia di un buon bicchiere di vino, nel giardino della sua casa a Riga. Come secondo bis viene eseguito Ne poy, krasavitsa, pri mne, op. 4, n. 4, “la mia romanza preferita di Rachmaninov” afferma: dalla meravigliosa interpretazione traspare l’amore che la grande artista nutre per questo brano.
C’è tempo per una romanza lèttone - come dichiara introducendo il brano, tiene a far apprezzare al pubblico la sua lingua - , la placida Chiudi gli occhi e sorridi così come suona nella traduzione in italiano.
E, infine, come a creare un collegamento con la parte che la vedrà sul palcoscenico del San Carlo nella prossima stagione lirica, un assaggio da Adriana Lecouvreur: come ultimo bis, “Io son l’umile ancella”, affidato nell’opera, come noto, alla corda sopranile di Adriana; ovviamente a giugno 2026 Elīna Garanča vestirà i panni della principessa di Bouillon; tuttavia la perizia tecnica e la straordinaria estensione della propria vocalità le consentono di affrontare e risolvere con estremo decoro e in modo convincente anche in questa romanza
Il recital si conclude e resta la sensazione netta di aver avuto il privilegio di aver assistito a una serata difficilmente replicabile, per intensità delle emozioni, per magistero tecnico e interpretativo dei protagonisti del recital.
Elīna Garanča, infine, con questa serata suggella un’altra tappa indimenticabile del cammino artistico che dal 2020 sta affrontando con il pubblico napoletano, dal quale riceve apprezzamento e rispetto smisurati e meritatissimi.
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