Vite d’eroi
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta, a distanza di due settimane, il secondo concerto diretto da Daniele Gatti, che ha come fil rouge la figura dell’eroe: dalla Götterdämmerung di Richard Wagner si eseguono, come di consueto, Alba e viaggio di Sigfrido sul Reno e Marcia funebre di Sigfrido, seguìti da Ein Heldenleben op. 40 di Richard Strauss.
ROMA, 30 maggio 2025 – A distanza di due settimane (https://www.apemusicale.it/joomla/it/recensioni/83-concerti-2025/16417-roma-concerto-gatti-15-05-2025), Daniele Gatti torna all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, mandando ancora il pubblico in estasi con brani di Wagner e Strauss; come ho già avuto modo di sottolineare, infatti, il repertorio tedesco della seconda metà dell’800 e dell’inizio del secolo scorso costituiscono, per Gatti, repertorio d’elezione. Del resto, basta scorrere velocemente la sua biografia per notare quanto Gatti si sia dedicato alla musica di Richard Wagner, ricavandone una sensibilità non comune nel renderne i colori precipui.
Il primo tempo è dedicato, appunto, alla suite dalla Götterdämmerung di Wagner, l’episodio conclusivo della sua celebre tetralogia. Si comincia con gli episodi dell’Alba e Viaggio di Sigfrido sul Reno. Si nota immediatamente un lavoro incredibile delle maestranze orchestrali: la nitidezza delle compagini, gli squilli, il turgido suono di legni e ottoni, così distintamente wagneriano. Gatti trascolora fra le lugubri atmosfere dell’alba in una climax che termina con il tema dell’amore fra Sigfrido e Brunilde, con gli ottoni che intonano, epici e frementi, lo scultoreo motivo. Ancora, il direttore è attentissimo ai riflessi acquatici del viaggio sul Reno, con gli impasti sonori di legni, archi e l’eco degli ottoni. Il corale ‘senza parole’, la cosiddetta Marcia funebre di Sigfrido, inizia con un attacco deciso, il che dimostra come Gatti lavori sui volumi, leggendo una prima parte con languido abbandono (magnifico l’effetto delle quattro arpe) e rendendo più netto, di polso, l’incedere della melodia di ottoni e legni sul tremulo effetto degli archi. Siamo davanti ad un Wagner evocativo, grazie al lavoro sugli effetti dei volumi, sulla pulizia sonora, sulla verticalizzazione del suono, senza che la partitura risulti resa con pesantezza. Il finale è commovente, trascinante: stupisce, ancora, la pulizia degli ottoni, raramente così precisi in una partirura per loro assai ardua.
Il secondo tempo continua il tema dell’eroe, che è il Leitmotiv del concerto, in una maniera che non poco deve a Wagner: Ein Heldenleben di Strauss, infatti, è l’apoteosi di un eroe moderno, borghese. La mano di Gatti è riconoscibilissima anche in Strauss, decisa, intensa. Il direttore lavora sui colori, che posseggono in questo poema sinfonico un equilibrio tutto singolare fra l’autocelebrazione, quasi tronfia, e il gioco dell’ironia, sulla pesantezza opposta alla leggerezza. La prima parte (L’eroe e Gli avversari dell’eroe), infatti, è pomposa, con massiccio uso dell’orchestra. Poi, nella sezione La compagna dell’eroe, emerge l’assolo del violino (complimenti all’inossidabile C. M. Parazzoli), su arabeschi furbi e sensuali – evocazione del carattere della moglie Pauline. C’è una sensualità, in questa sezione, che Gatti non manca di sottolineare con lievi vibrazioni sonore, con le carezze degli archi. Dopo uno sfumato notturno, lo stacco non potrebbe essere più netto con la sezione successiva, Il campo di battaglia dell’eroe: qui il direttore è abile nel puntellare l’allucinante Militärmusik che anticipa nettamente impasti sonori di pieno ‘900. Ne Le opere di pace dell’eroe, un passo dal sapore autocelebrativo, Gatti cuce con abilità di rapsodo tutti gli auto-imprestiti con cui Strauss condisce le variazioni del movimento. Il finale (Il ritiro dal mondo e la fine dell’eroe) risulta sublime per morbidezza di impasti, con l’oboe d’amore, dal timbro vibrato e penetrante, che si libra su un morbido fraseggio degli archi, inargentato da un pedale luminoso degli ottoni. Alla fine, il pubblico si scatena in un sincero applauso.
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