L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ai confini del tempo e dello spazio

di Alberto Ponti

Il direttore emerito sul podio e un programma da ‘gran finale’ con due capisaldi del repertorio sono gli ingredienti dell’ultimo concerto della stagione 2024/25 dell’Orchestra Sinfonica Nazionale.

TORINO, 5 giugno 2025 - Nel Voyager Golden Record, disco lanciato nello spazio nel 1977 tramite le due omonime sonde con lo scopo di rivelare a future ipotetiche presenze intelligenti estranee alla terra un campionario di suoni prodotti sul nostro pianeta, accanto a parti di composizioni di Bach, Mozart, Beethoven, Stravinsky, Chuck Berry e altri non compaiono Schubert e Bruckner. La scelta si può anche condividere: impossibile far entrare in novanta minuti una selezione esaustiva di tutta la musica colta e popolare prodotta nei secoli. Resta il fatto che pochi come i due ultimi autori citati riuscirebbero a evocare la sensazione di vastità illimitata che si affaccia al pensiero quando si immagina un viaggio oltre i confini del sistema solare.

Nell’ultimo concerto della stagione 2024/25 dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, l’opportunità di questo viaggio, per l’uomo totalmente cerebrale (per ora e per molti anni a venire!) ma di enorme fascino, è stata fornita da un cartellone con un programma da ‘gran finale’ sotto la bacchetta del direttore emerito Fabio Luisi: Incompiuta di Schubert e Settima di Bruckner.

La celeberrima Sinfonia in si minore D759 (1822), ottava o settima a seconda della versione del catalogo schubertiano cui si fa riferimento, è pervasa, nella visione di Luisi, di una drammaticità trattenuta nel disegno generale dell’opera e in particolar modo nell’Allegro moderato che la apre, ma destinata a espandersi negli assoli struggenti, nei pizzicati pieni e nostalgici, nella leggera e misteriosa corsa dei violini sottostante all’esposizione del primo tema da parte dei fiati. Non vi è nulla di eccessivo, ogni misura è all’insegna del controllo assoluto del mezzo sonoro e del gesto da cui scaturisce, senza rinnegare la spontaneità del fluire della melodia, rinvigorita da un sottile e sfuggente turbamento nei passi di maggior distensione e luminosità del successivo Andante con moto, venato di ombre serene e inquietanti.

Tale approccio trova nella Settima sinfonia di Anton Bruckner (1881-83), grazie al maggior organico, alla pluralità di episodi, alla scala maestosa del lavoro, all’esteso orizzonte temporale, un terreno ancora più fertile e gravido di conseguenze.

Prendono così vita a poco a poco, con il passo controllato ma inesorabile del risveglio di un gigante, i grandi blocchi contrapposti dell’Allegro moderato, dell’Adagio con il lamento funebre delle tube in memoria dell’idolatrato Wagner, dello Scherzo e del Finale ricondotti a una dimensione improvvisamente quasi intima, dove il respiro dell’orchestra si fa meno accentuato e febbrile, sconfinando in una visione apollinea, in una cavalcata rapida di destrieri che hanno raggiunto la pace dei sensi.

L'approccio di Luisi potrebbe sembrare di primo acchito freddo, meno coinvolgente ed emozionale rispetto a quello di altri direttori.

In realtà così non è: Luisi compie un'operazione di elevata pulizia formale, indispensabile per mettere in risalto il profilo movimentato della partitura. E' sufficiente acuire un poco lo sguardo, tendere appena l'orecchio e si avvertono le molteplici sfaccettature di un suono magistrale, condotto sul filo di una perfezione costantemente ricercata, magari talvolta non raggiunta, sfiorata e tosto svanita, eppure tanto più apprezzabile per il fatto che le sinfonie di Bruckner sviluppano la ricerca continua di una dimensione superiore, indagano sul mistero dell'universo e dell'esistenza, tentano di immergersi nell'infinito con la nostra natura finita. Da questo punto di vista, la musica di Bruckner, spesso etichettata con la comoda etichetta 'tardoromantica' appartiene invece ancora per intero al romanticismo. La sua tensione ininterrotta nasce dal continuo aspirare a un altro spicchio di cielo, un po' più lontano, e poi più lontano ancora. Bruckner realizza su vastissima scala e con mezzi più ampi quello che Schumann realizzava nel breve frammento pianistico, ma permeato di un'inquietudine più segreta e meno estroversa di quella schumanniana e animato da una fede nella divinità che Schumann non aveva. Si può fantasticare in modo ardito ed immaginare uno Schumann settantacinquenne di fronte all'ascolto della Settima. Rimango convinto che l'avrebbe approvata senza riserve dedicandole una delle sue memorabili recensioni.

Sarebbe tuttavia sbagliato ridurre il compositore austriaco a prodotto ed espressione di un tempo e di un’epoca. Fabio Luisi e l’Orchestra Sinfonica Nazionale, in un sontuoso commiato, restituiscono gli interrogativi sempre attuali della sua musica a un pubblico non esiguo ma nemmeno troppo numeroso, come sovente accaduto nel corso della stagione per concerti di alto valore artistico. Avvicinare il repertorio classico, e di conseguenza quello contemporaneo, a un grande pubblico consapevole: questa è la grande sfida che attende qualsiasi istituzione concertistica, non solo a Torino.

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