L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il grande Pan è vivo

di Roberta Pedrotti

In un recital straordinario coprodotto dal Maggio Fiorentino e dagli Amici della musica di Firenze, Yo-Yo Ma offre la più limpita dimostrazione di cosa significhi essere un mito vivente autentico e adamantino.

FIRENZE, 14 giugno 2025 - Non una sola standing ovation, ma due, cominciando già subito dopo la prima parte del concerto: il pubblico della Sala Mehta non si trattiene e balza in piedi all'istante fra acclamazioni e frenetico battimani. Tutti per Yo-Yo Ma, al centro del palco sgombro con la sua seggiolina e il suo Stradivari: un puntino immenso, distillato di quei crismi eccezionali che di tanto in tanto la natura concentra in un unico individuo. Quando si svendono iperboli e superlativi, non fa male ritrovarsi di fronte chi se li meriterebbe tutti, ma in grado tale da renderli pleonastici e superflui almeno quanto altrove lambiscono l'eccesso e finanche il ridicolo. Non fa male ritrovarsi qui a rimettere in ordine le scale di valori e ricordare quante siano le sfumature di qualità, anche eccelsa, da cui emergono le gemme più rare.

Settant'anni di cui sessantasei passati con lo strumento fra le braccia, Yo-Yo Ma: si potrebbe anche esser propensi a inchinarsi all'ostensione del mito condonando qualche occasionale appannamento. Ma qui non c'è nulla che si appanni, il Grande Pan è vivo, vegeto, più lucido che mai nella mente e nelle mani.

Ben tre Suite complete di Bach (la prima, la terza e la sesta), la Sonata di George Crumb, un pizzico di Morricone (stupisce la sala attaccando a sorpresa Gabriel's oboe in apertura), Summer in the High Grassland di Zhao Jiping, l'Allegretto dalla Partita per violoncello solo op.1 di Ahmet Adnan Saygun: si sfiorano le due ore di musica con il bis (una trascrizione dalla Sinfonia dal nuovo mondo di Dvořák, come a chiudere il cerchio di una vita e di radici fra Cina, Europa e Stati Uniti) e non c'è mai un calo di tensione, mai un piccolo momento di distrazione. Suona sempre, rigorosamente a memoria, in una concentrazione perfetta che tuttavia, invece di isolarlo, lo mantiene sempre in stretta comunicazione con il pubblico, come se il suo sguardo incrociasse sempre consapevole quello di ciascuno, pronto e complice.

Esattamente come nella polifonia bachiana le diverse dimensioni e direzioni fioriscono fra perfetta autonomia e non meno perfetta armonia e simbiosi, così Yo-Yo Ma appare come un contrappunto vivente di empatia e autocontrollo, di lucidissima, quasi inumana precisione esecutiva e vertiginosa trasparenza di lettura, di comunicativa e rigore, di varietà di tocco, colore e dinamica condensata in un sottilissimo gioco di sfumature fra continuità di gusto e proprietà di stile. Ogni pagina viene definita nella sua identità, ma il Settecento tedesco, l'omaggio turco a Schiller, le suggestioni sonore della via della seta o il Novecento statunitense fanno comunque parte di un più ampio abbraccio universale, possono dialogare, scambiarsi suggestioni, essere universali, eterni, umani, condividere una sorta di pulsazione interna che si declina nelle peculiarità e nelle necessità di ogni pezzo. E tutto, tutto appare di disarmante facilità, sia l'intreccio delle voci, sia l'articolazione dei tempi di danza, la tornitura delle idee melodiche, di ritmo e metro, sia la complessità tecnica di un repertorio che va dal barocco al contemporaneo senza lesinare in virtuosismo, sia la presenza indefettibile del legato nel più ampio spettro dinamico. Sembra tutto così facile da essere pure limpido come l'acqua di fonte ai nostri occhi e ai nostri orecchi, abbastanza per capire che così facile non è, anzi. Ed è proprio la scintilla fra la naturalezza impeccabile di dita e arco e tutta la ricchezza e complessità che rivelano a incendiare la sala, sul crinale fra contrappunto e danza, spirito e materia, tecnica trascendentale e affabilità melodica.

Non capita spesso di condividere a tal grado un silenzio fremente e di farlo esplodere poi tutti insieme in un boato come se fossimo tutti uno e insieme con la mente, le mani e il cuore che da un solo strumento creano un mondo in due ore. Questo, signori, significa esser grandi sul serio e non sono in molti a potersi dir tali sul serio.

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