L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Grazie Petrenko!

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia chiude la stagione 2024/2025 con un concerto diretto da Kirill Petrenko, alla testa dell’orchestra di casa. Ecco il programma: Robert Schumann, Manfred, ouverture in mi bemolle maggiore op. 115; Wolfgang Amadeus Mozart, Sinfonia concertante per flauto, oboe, fagotto, corno e orchestra K 297b; Johannes Brahms, Sinfonia n. 1 in do minore op. 68.

ROMA, 12 giugno 2025 – Il carisma di Kirill Petrenko è a dir poco magnetico: l’elegante esattezza del suo gesto è paradigmatico per chi voglia intraprendere la carriera di direttore d’orchestra. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sceglie di chiudere la stagione 2024/2025, in attesa di quella estiva, proprio con questo blasonato direttore, apprezzatissimo alla testa di quella che, con ogni probabilità, è l’orchestra più famosa del mondo: i Berliner Philarmoniker. Petrenko delizia il pubblico con un programma a cavallo fra classicismo e romanticismo, il fior fiore del canone della musica classica.

Opera che ha affascinato generazioni di romantici, il Manfred di Byron non ha lasciato indifferente nemmeno Schumann, che ha composto alcune musiche di scena, fra cui l’ouverture che apre la serata. Petrenko mostra fin dall’inizio il suo gesto teatrale, intenso, preciso in ogni sfumatura. Certamente trova la quadra dell’ouverture per il Manfred, che musicalmente si traduce nell’antitesi fra l’agitazione abissale dell’animo del protagonista e i suoi pensieri, i suoi desideri, che vengono evocati dalle melodie malinconiche. Petrenko tiene tutto assieme, curando dinamiche, colori, sempre vigile a mantenere una tensione, talvolta più, talaltra meno latente. L’orchestra esegue perfettamente l’idea del direttore, assestandosi su un suono vigoroso, ma mai strappato. Gli applausi invadono la sala. Il primo tempo si chiude con la Sinfonia concertante K 297b di Mozart. Per anni creduta pseudepigrafa, oggi la Concertante è prudentemente attribuita al genio di Salisburgo, anche se non v’è consenso unanime. Di chiunque sia, la sua bellezza melodica e timbrica è esaltata dalla direzione di Petrenko, che imposta un’agogica vivida, attentissima ad un’equilibrata regolarità, sulla quale emergono i fiori della fantasia mozartiana (o non?); i solisti, infatti, sono eccezionali e provengono tutti dalle file dell’orchestra di casa: Andrea Oliva (flauto), Francesco Di Rosa (oboe), Andrea Zucco (fagotto) e Alessio Allegrini (corno). Grazie all’equilibrio sonoro, terso e chiaro, raggiunto dai compagni orchestrali sotto la bacchetta di Petrenko, le melodie, i melismi ed i virtuosismi dei vari strumentisti emergono chiari, come pure i giochi di impasti (talvolta a due, talvolta a quattro). Se nel I e nel III tempo il polso del direttore è essenziale per un’agogica raffinata, consona allo stile galante, nel II movimento Petrenko permette la naturale effusione del canto dei quattro strumenti, creando la magia di una pura melodia dal sapore nettamente mozartiano. Il pubblico applaude festosamente direttore, solisti e maestranze.

Il secondo tempo è interamente occupato dalla Prima di Brahms. Incredibile l’abilità con cui Petrenko conferisce peso specifico alla grammatura sonora dei brani che dirige. Brahms possiede indubbiamente quella più corposa. Il russo rende il suono orchestrale più spesso, ma senza perdere il controllo: l’esecuzione dell’imponente architettura dell’Allegro (I), infatti, è ammirevole per controllo della forma coniugato all’espressione cromatica dei contrasti tonali, alla base di una struttura dal sapore molto beethoveniano, cui conferisce linfa vitale il nuovo linguaggio cromatico. L’orchestra è concentratissima e genera un suono incredibile. Nell’Andante sostenuto (II) Petrenko si profonde in una lettura intensa, alla ricerca del fraseggiare colorato, ma allo stesso tempo intimo, umbratile, a tratti persino luminescente. Nell’Allegretto grazioso, l’animo liricamente malinconico di Brahms si condisce di ritmi cangianti; anche qui Petrenko riesce ad alleggerire il peso del suono, conferendo dinamicità. Peraltro, risulta magnifico il passaggio dal III al IV movimento, un trascolorare quasi senza soluzione di continuità. Il direttore, nell’introduzione, dà ieratico peso al corale dei tromboni, fino a giungere al tema principale, una patente citazione della Nona dell’amato Beethoven; più che altrove, qui Petrenko cura gli effetti di chiaroscuro, di pieno/vuoto, concentrandosi sulla trama delle dinamiche ricercate da Brahms. Dopo lo svanire degli imperiosi accordi finali, gli applausi esplodono, suggellando un’epica conclusione di stagione.

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