Romanticismo trifronte
di Luigi Raso
In un programma dedicato a Brahms, Wagner e Schumann, Marco Armiliato conferma le sue qualità di concertatore, se non illuminante, solido e comunicativo. Qualche perplessità sulla scelta di Maria Agresta di interpretare il Liebestod di Isolde.
NAPOLI, 28 giugno 2025 - “Romanticismo trifronte” potremmo definire il programma del concerto diretto da Marco Armiliato al San Carlo, che accompagna l’ascoltatore in un viaggio attraverso il Romanticismo tedesco di metà Ottocento. Johannes Brahms, Richard Wagner e Robert Schumann sono i volti che si incontrano durante il percorso.
Si parte dalla serenità elegiaca, elegante, limpida della Serenata n. 2 in la maggiore per piccola orchestra, op. 16 (prima versione del 1860, seconda del 1875, entrambe prive dei violini) di Brahms. Opera giovanile, che si nutre del culto della forma classica di discendenza haydniana e mozartiana, sotto la quale covano, quasi ingabbiate in un’architettura lineare e apollinea, i primi sussulti del ruggente melodismo di Brahms.
La Serenata ha carattere idilliaco, evocativo di paesaggi distesi, specchi di una classicità riflessiva: al suo interno dominano eleganza melodica, una vitalità ritmica sempre ben calibrata, un’armonia ricca. E di queste caratteristiche si dimostrano puntuali interpreti Marco Armiliato e l’Orchestra del San Carlo, compagine in gran forma, dal bel colore, molto ben amalgamata nelle sezioni, con quella dei legni che si fa notare per la precisione dell’ordito melodico e la brillantezza degli interventi delle prime parti: meritano menzioni ed encomi per la precisione e il bel suono dei loro interventi, in particolare, l’oboe di Carlo Mistretta, il clarinetto di Luca Sartori e il fagotto di Francesco Muratori.
Marco Armiliato dirige – così come gli altri brani in programma – senza partitura, a memoria; dà un saggio di tecnica direttoriale per la precisione del gesto e degli attacchi, per il senso del fraseggio, per la cura della distribuzione dei volumi sonori tra fiati e archi. È, quindi, una lettura fluida, fresca e godibile della Serenata giovanile di Brahms, brano incubatore dei futuri sviluppi sinfonici e cameristici del compositore di Amburgo.
Dopo l’intervallo, a riaccogliere il pubblico – sparuto, come purtroppo si registra negli ultimi tempi al San Carlo – è Vorspiel und Liebestod “Mild und leise” da Tristan und Isolde, riduzione orchestrale che giustappone il Preludio con la morte di Isotta, concepita da Wagner stesso nel 1860, cinque anni prima della prima rappresentazione a Monaco dell'opera completa.
Dalla elegia brahmsiana si passa dunque alla vertiginosa estasi wagneriana, dalla classicità viennese venata da lirismo romantico al romanticismo esasperato, anticipatore del dissolvimento tonale sotto la fascinazione dell’ardito cromatismo wagneriano.
La lettura del Vorspiel che ne danno Marco Armiliato e l’orchestra del San Carlo è costruita su un progressivo accumulo di tensione: il primo violino di spalla ospite, Fabrizio Falasca, si prodiga non poco a richiedere alla sezione la giusta intensità da iniettare nelle volute melodiche. I tempi a poco a poco, dopo la distensione iniziale, si fanno più stretti, il colore orchestrale più incandescente, sempre più espressivo e penetrante quello che gli archi. Armiliato ancora una volta dà prova della sua capacità di tenere compatta la compagine, di guidarla con mano esperta, precisione e, pur non offrendo una lettura rivelatrice di inesplorate opzioni interpretative per uno dei brani più celebri del repertorio operistico/sinfonico, lo si apprezza molto per la solidità, la cura e la coerenza dell’esecuzione, costruita con precisione e senza censurabili sbavature. Senza soluzione di continuità si transita verso il Liebestod, “Mild und leise”, interpretato da Maria Agresta, la quale, a giudizio di chi scrive, pur volendo aderire supinamente - e senza personale convinzione - alla trionfante dittatura del relativismo anche in materia di opzioni interpretative, di presunte inesistenze dei confini tra repertori, appare alquanto distante dalla poetica musicale wagneriana, sia per la vocalità, che è tipicamente italiana, sia per mancanza del peso specifico necessario ad affrontare il brano.
I dubbi e gli interrogativi sorti leggendo il nome di un’artista encomiabile e apprezzata qual è Maria Agresta accostato al Liebestod di Wagner hanno purtroppo trovato conferma nell’esecuzione: sicuramente suggestiva la scelta di puntare su un legato suadente, di avvicinare lo struggente canto di Isolde a un’aria italiana, tuttavia le ultime battute del brano mettono a dura prova, per precisione dell’intonazione e difetto di adeguato spessore, la vocalità del soprano, tanto da dar l’impressione di essere inghiottito, malgrado l’ottimo bilanciamento dei volumi operato da Armiliato, dai marosi dell’ampia orchestra wagneriana. Al termine, applausi di apprezzamento da parte del pubblico per Agresta e il direttore.
La terza e ultima faccia di questo trittico romantico è quella di Schumann: la Sinfonia n. 2 in do maggiore per orchestra, op. 61 (1846) chiude il concerto. Composta durante un periodo di profonda depressione, attraverso un percorso, si potrebbe dire, terapeutico e catartico la Sinfonia approda alla luminosa energia della tonalità di do maggiore dell’ultimo movimento, Allegro molto vivace. È tortuosa e tormentata la struttura di questa partitura, per certi aspetti, si pensi al lancinante Adagio espressivo del terzo movimento, anticipatrice della musica di là da venire.
Marco Armiliato e l’orchestra si immergono immediatamente nella maestosa fanfara di ottoni che apre la Sinfonia, per poi addentrarsi con sicurezza nell’ordito contrappuntistico del movimento. Estremamente brillante e aereo, anche al netto del non perfetto sincrono delle due coppie di quattro semicrome delle battute iniziali (il tempo è in 2/4) all’interno della sezione, è l’esecuzione dello Scherzo: Allegro vivace.
L’Adagio espressivo è probabilmente il vertice emotivo della sinfonia, dominato com’è da un’atmosfera autunnale: Armiliato fa dipanare il cantabile iniziale dei violini primi e secondi con la stessa articolazione con la quale affronta gli intermezzi operistici: l’orchestra, in questo movimento, “canta” più che suonare. L’effetto è di rara intensità, suggestivo, grazie anche al suono morbido e tornito, che si avvantaggia dell’uso della camera acustica, la quale si dimostra ancora una volta essenziale, in occasione dei concerti, per valorizzare il suono, valido strumento di riverberazione sonora in un teatro “secco” come il San Carlo. L’intero movimento, poi, procede fluidamente, con garbo, accumulando e trasmettendo tensione emotiva.
Correttezza, fluidità del ductus musicale e compattezza orchestrale caratterizzano anche il luminoso Allegro molto vivace (in do maggiore) del quarto e ultimo movimento, che vede il ritorno di fanfare e di costruzioni contrappuntistiche che conducono verso l’esito trionfante della Sinfonia.
Se è vero, come nel caso del precedente Vorspiel und Liebestod, che l’esecuzione non ci pone davanti alla scoperta di ignoti mondi interpretativi, non si può non lodare il pregio dell’esecuzione, la pulizia dell’insieme, il senso del fraseggio e della cantabilità conferito all’intera sinfonia dalla lettura accurata e solida di Marco Armiliato, concertatore e direttore istintivo e immediato, che ha la non comune capacità di individuare la scelta più convincente e corretta, la quale, se non sarà in grado di dare l’impressione di aver “ascoltato per la prima volta” un brano ampiamente conosciuto, sicuramente lascerà il ricordo di una esecuzione piacevole, precisa e ben costruita.
Queste sensazioni devono essere state condivise dal pubblico del San Carlo, il quale a Marco Armiliato, all’orchestra e alle sue prime parti tributa applausi prolungati, calorosi, densi di sincero apprezzamento.
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