L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Notti di elfi e di streghe

di Mario Tedeschi Turco

Dopo la maratona beethoveniana con Alexander Lonquich, per il Settembre dell'Accademia a Verona, Sir John Eliot Gardiner propone un non meno affascinante viaggia attraverso il Sogno di una notte di mezza estate e la Prima notte di Valpurga di Mendelssohn.

VERONA, 16 settembre 2025 - Nel recensire gli ultimi due concerti del «Settembre dell’Accademia» al Filarmonico, sulla scorta dell’eccezionale qualità artistico-culturale della proposta beethoveniana di Alexander Lonquich con l’integrale dei concerti pianistici, avevamo particolarmente apprezzato l’occasione per innovare il rituale concertistico che l’Accademia Filarmonica organizza da ormai 34 anni. Ed è stato quindi con immenso piacere che abbiamo assistito alla quarta serata della rassegna, che ha proposto analogamente un approccio diverso dalla tradizione cerimoniale di cui sopra: i Constellation Choir and Orchestra diretti da Sir John Gardiner, infatti, hanno regalato alla platea veronese non solo l’esecuzione di due capolavori assoluti di non frequente ascolto (le musiche di scena integrali per il Sogno di una notte di mezza estate e la Prima notte di Valpurga di Mendelssohn), ma anche una modalità fresca, intelligente, condotta con competenza mirabile, di interpretazione scenica del Sogno: condensando il play nelle sole scene musicate da Mendelssohn, i personaggi principali – interpretati dai due soprani solisti e da membri del coro, con l’eccezione di Puck, affidato a una magnifica attrice il cui nome, ahimè, non compare nel programma di sala – sono entrati e usciti dalle quinte con fluida sprezzatura e elegantissima prossemica, non priva di un’energia, a tratti, insolita anche sulle scene del teatro di parola. Vestiti in foggia contemporanea con solo qualche piccolo ornamento che ne connotasse l’identità, hanno fatto spiccare le parole del Bardo con proiezione sonora notevole, pronuncia animata, coinvolgimento emotivo e/o comico spiccatissimo, ad un tempo amplificati dalla musica di Mendelssohn e ad essa apportando quella trasparenza comunicativa che il compositore ha inventato con una genialità che ancora oggi lascia stupefatti. Un esempio, da parte di questi artisti inglesi, di quanto il teatro possa essere, forse nella sua forma più pura, semplicemente «un uomo che cammina sulla scena, mentre un altro lo osserva» (Peter Brook): senza scenografia, senza konzept, senza ricollocazioni, senza esegesi: corpi e parola e suono, e gli sguardi incantati del pubblico. Una drammaturgia esaltante nel suo minimalismo, cui forse ha nuociuto la mancanza di sopratitoli di traduzione, per meglio seguire non tanto l’azione (nota, e comunque resa plasticamente evidente dalla mimica attoriale), quanto l’ineffabile altezza del testo shakespeariano.

Per parte sua, Gardiner con i suoi nuovi ensemble ha fornito un’interpretazione di acceso romanticismo (finalmente qualcuno che non confina Mendelssohn nello stereotipo del ‘genio e regolatezza’!), con una serie di tocchi originali, tra i quali ricordiamo almeno le ottave in portamento rallentate nell’Overture, per esempio, che hanno apportato al tactus una fibrillazione nervosa che è uno dei tratti più tipici di questo compositore; e poi ancora la leggerezza della elfenmusik dei violini subito dopo l’introduzione, o gli effetti di eco dei due motivi nell’Intermezzo, che Gardiner ha fatto risaltare con magnifica pienezza strutturale, o ancora il perfetto bilanciamento orchestra/voci recitanti nei passaggi di melodrama. Quanto all’estasi suprema del coro/ninna nanna «Ye Spotted Snakes» (soliste Samantha Cobb e Rebecca Hardwick) - una delle melodie più belle mai scritte – il direttore ha lasciato fluire voci e orchestra con portamenti in stile popolare benissimo sintonizzati con il momento drammatico, guidando arcate amplissime in legato, onde evocare la notte magica con il massimo del sentimento di nostalgica lontananza. Un momento sublime. Nella seconda parte della serata, la ballata sul testo di Goethe ha visto i complessi ugualmente coinvolti in modo totale nell’evocazione della visionarietà romantica di che Mendelssohn è araldo: suono roccioso, possente, ottimamente amalgamato nelle sezioni (qualche difficoltà negli ottoni naturali, strumenti sempre terribilmente ostici da domare per intonazione ed emissione), solisti del canto (Sarah Denbee, contralto; Graham Neal e Jonathan Hanley, tenori; Alex Ashworth e Peter Edge, bassi: tutti artisti del coro in alternanza) compresi anima e corpo nella parte poetica da riferire, in una sintesi del doppio stile liturgico e profano di eloquente chiarezza e sottile ironia. Sempre notevole, nell’arte di Gardiner, la sua attitudine a una gestualità direttoriale sobria e analitica, la quale tuttavia è in grado di scatenare nell’orchestra autentici uragani espressivi; nel caso della Notte di Valpurga, singolarmente attinenti allo stile di Mendelssohn e alla sua lettura ultra simpatetica, ma orientata decisamente secondo le categorie della Romantik probabilmente lontana dall’intenzionalità espressiva di Goethe. Ma nel comprendere l’abisso di tensione nervosa del compositore di Amburgo, Gardiner ha mostrato, a nostro parere, un’intuizione poetica che pochissimi hanno saputo realizzare alla pari. Successo clamoroso e standing ovation da parte di non pochi spettatori, consci di aver assistito a qualcosa di veramente raro nella vita concertistica ordinaria.

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