Crociera negli States
La quarta tappa delle Rotte sonore dedicate dal Teatro Lirico di Cagliari alla musica statunitense, oltre a confermare la qualità dell'orchestra, fa nascere il desiderio di percorsi sempre più approfonditi all'interno di questo repertorio.
CAGLIARI, 11 ottobre 2025 - Quarta 'Rotta sonora', nuovo appuntamento con la musica statunitense che si è mosso tra la triade Copland/Gershwin/Bernstein con una breve comparsa di Samuel Barber. L'Orchestra del Lirico ha dimostrato appieno di sapersi muovere con disinvoltura tra ritmi, evocazioni, abbandoni lirici, a tal punto che nasce spontaneo un desiderio: trasformare questa stagione occasionale in un vero e proprio 'Festival della musica americana'. La compagine sarda (che ha già dato prova di ottima adesione a questo repertorio: ricordo le musiche di John Williams dirette da Elisabetta Maschio, marzo 2024; la terza Sinfonia di Bernstein assieme a tre pagine di Copland dirette da Cem Mansur, aprile 2024; la Sinfonia n 1 di Bernstein, ancora aprile 2024; West Side Story, diretto da James Lowe nel dicembre 2022, oltre alla presenza sul podio di Wayne Marshall per Porgy and Bess - gennaio 2009 -, Wonderful Town - marzo 2010- i trascinanti Gershwin e Grofè - settembre 2022 -, i Chichester Psalms di Bernstein assieme al Concerto in Fa, Rhapsody in Blue, An American in Paris di George Gershwin, giugno 2024 ) potrebbe confrontarsi con una integrale di Edgar Varèse, con la metric modulation di Elliott Carter, con Henry Cowell, Morton Feldman, Lou Harrison, Alan Hovhannes, Bernard Hermann, Roger Sessions, Ned Rorem, Charles Ives, dal Premio Pultzer John Luther Adams fino a quel Frank Zappa caro anche a Boulez. E magari, oramai storicizzate, le voci di un minimalismo che, credo, da queste parti non sia stato frequentato: Riley, Glass, LaMonte Young, Reich, fino a Michael Torke, Aaron Jay Kernis, John Adams, Cagliari potrebbe acquisire un nuovo status nel panorama musicale, e non solo italiano, inserendosi con una rassegna originale che attualmente non ha analoghi riscontri, e per il quale c'è materiale per anni ed anni.Perché, sia detto, alle 'rotte' pacifiche, da piccola crociera economica, personalmente preferisco viaggi a più ampio raggio. Correndo qualche rischio. E, soprattutto, offrire al pubblico locale un'idea più variegata della musica statunitense, oltre a rimandi a musical, jazz e country & western.
L'Orchestra del Lirico, dal suono esaltante, a tratti persino eccitante, è la vera e assoluta protagonista di questa mini rassegna. Ogni sua sezione sta dimostrando che, con le direzioni coinvolgenti, in cui indubbiamente si crea fiducia e abbandono, può perfettamente confrontarsi con compagini internazionali. Sia pure, almeno questa volta, la direzione di Garrett Keast, al suo debutto a Cagliari, sia risultata più vigorosa che analitica, più corporea (qualche saltello in stile Oren...) che meditata, più 'caciarosa' che attenta alle dinamiche.
Apre il programma la Fanfare for the Common Man di Copland. Sono tre minuti scarsi di musica, ma irresistibile. L'attacco percussivo di tamburi, gong e timpani (un irreprensibile Davide Mafezzoni) rimbombava inquietante nella piccola sala del Teatro Melis, fino allo squillante richiamo delle tre tombe, nitidissime e rilucenti (Luigi Corrias, Giulio Trifiletti, Matteo Cogoni) che intonano il tema principale all'unisono (tema che Aaron Copland riprende anche nella Terza Sinfonia di tre anni dopo), cui si aggiungono i corni francesi in un dialogo armonico, e i graffianti tromboni (Federico Rocca, Michele Marinaro, Massimiliano Coni) e tuba (Claudio Lotti). Un potente ma luminosissimo muro di suono che nella sua brevità ha lasciato per un attimo interdetto il pubblico in sala, incerto sull'applauso. La resa strumentale di questo brano, pensato per suscitare assieme patriottismo, resistenza e coraggio ,ha evidenziato l'alta qualità della sezione degli ottoni del Lirico. Vale ricordare, come curiosità, che nel 1975 e nel 1976, i Rolling Stones aprirono i loro concerti con parte della fanfara. Anche le rock band Styx ed Emerson, Lake & Palmer l'hanno adattata in chiave pop-rock.
In quegli stessi anni Quaranta, Copland creò il suo celebrato trio di balletti (Billy the Kid, Rodeo, Appalachian Spring) che rappresentano il suo stile “populista” dopo pagine di sperimentato modernismo e di jazz sinfonico. Il suono americano per Billy the Kid, di cui in programma si è ascoltata la suite, datata 1938, nasce da un'idea del giovane impresario Lincoln Kirstein, che aveva creato il Ballet Caravan, una compagnia itinerante (precorritrice del New York City Ballet): Kirstein come un Diaghilev made in Usa, Copland come uno Stravinskij con cui creare un balletto 'autoctono' che si diversificasse dalle tradizioni franco-russe imperati. Billy the Kid, balletto in un atto, coreografato da Eugene Loring, disegna le intenzioni di Copland: "una ferma determinazione a scrivere in modo semplice" in cui "la musica dovesse svolgere un ruolo modesto, aiutando quando necessario, ma senza mai intromettersi come se fosse l'attività principale della serata".
La suite ascoltata al Teatro Melis è stata offerta da Garrett Keast nella sua dimensione più semplice ed immediata, sottolineando ora l'atmosfera riflessiva di Card Game at Night ora la violenza esplosiva della Gun Battle (con le percussioni in bella evidenza) concludendo con il ritorno della musica della prateria che, come scrisse Copland, doveva trasmettere in chiusura "l'idea di una nuova alba che sorge".
"Sembra naturale che la danza svolga un ruolo di primo piano nello spettacolo On the Town , poiché l'idea di scriverlo è nata dal successo del balletto Fancy Free . La storia di On the Town riguarda tre marinai in licenza di 24 ore a New York e le loro avventure con la mostruosa città che i suoi abitanti danno così per scontata". Così scrive Bernstein, di cui si sono ascoltate le Three Dance Episodes da On the Town (con un inopportunamente incerto applauso dopo la prima danza). Il primo episodio, è l'effervescente Dance of the Great Love (cui Keast ha forse insufflato troppo entusiasmo); il secondo, Pas de Deux, è la musica di Lonely Town, una tra le più malinconiche melodie di Bernstein, che illustra una scena definita dal compositore "al tempo stesso tenera e sinistra, in cui una sensibile studentessa delle superiori di Central Park viene adescata e poi abbandonata da un marinaio mondano". Nel finale, Times Square Ballet , fa capolino il famoso tema intonato dai marinai “New York, New York, it's a wonderful town! / The Bronx is up and the Battery's down /The people ride in a hole in the ground”; in bella evidenza, ad apertura, il concitato ritmo del clarinetto (Pasquale Inu), e poi la melodia introdotta dal sassofono (Mario Giovannelli), il ritmico bluesy pizzicato di violoncelli e contrabbassi, la scatenata batteria (Pierpaolo Strinna).
Infine, un Gershwin a metà. Chiarisco: la partitura nacque su richiesta di Fritz Reiner, il celebre direttore che allora era capo della Pittsburgh Symphony Orchestra, quel Reiner che aveva guidato negli anni Venti la seconda esecuzione assoluta di An American in Paris. Reiner stabilì innanzi tutto la durata: 24 minuti, quella adatta ad essere contenuta in tre dischi a 78 giri (che contenevano 4 minuti per facciata). Reiner stabilì la successione dei brani (che non vengono presentati nell'ordine esatto della loro apparizione) e le tonalità (comprese alcune trasposizioni per ottenere la giusta sequenza totale) e senza quel pianoforte che Gershwin usa soprattutto per raddoppiare la trama orchestrale. La suite venne poi arrangiata da Robert Russell Bennett (1894 – 1981), noto soprattutto per l'orchestrazione di molti musical di Broadway e Hollywood di altri compositori come Irving Berlin, Jerome Kern, Cole Porter e Richard Rodgers. Il rapporto tra Russell Bennett e Gershwin era intenso, lavoravano a stretto contatto (Bennett orchestrava e arrangiava le brevi partiture annotate di Gershwin con suggerimenti generali sugli interventi degli strumenti) e spesso trascorreva con lui notti insonni per rispettare le scadenze, come capitò per la colonna sonora del film del 1927 Shall We Dance, con Fred Astaire e Ginger Rogers. Gershwin morì nel 1937, la Suite sinfonica è del 1942.
Garrett Keast ne ha dato, dal podio, una lettura forse eccessiva, roboante, cui l'orchestra del Lirico si è adattata con estrema flessibilità (notevole l'intervento in glissando dei tromboni).
Pubblico caloroso.
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