L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Incontri

di Roberta Pedrotti

La stagione della Società dei Concerti di Milano si apre con l'incontro felice fra Mozart e Šostakovič, fra Olga Kern, Alessandro Bonato e l'Orchestra dell'Accademia della Scala. 

MILANO, 8 ottobre 2025 - E se una sera d'autunno, a Milano, Mozart incontrasse Šostakovič? E con loro si incontrassero una pianista onusta di onori (vincitrice del Van Cliburn nel 2001), un'orchestra di ventenni e un direttore giovane d'anagrafe (classe 1995) quanto artisticamente e tecnicamente consolidato? L'inaugurazione della stagione della Società dei Concerti di Milano, nella Sala Verdi del Conservatorio, è un intreccio fecondo di incontri e confronti in cui non sembra esistere un dare e un ricevere unilaterale, bensì un continuo reciproco scambio di energie, idee, esperienze, al servizio della musica.

È Mozart ad aprire la serata, con la Sinfonia n. 38 Praga, e l'orchestra dell'Accademia della Scala la suona in piedi (tranne violoncelli e contrabbassi, ovvio): è, da parte del direttore Alessandro Bonato, una dichiarazione d'intenti già visiva. Soprattutto trattandosi di un complesso giovanile, ci si pone anche fisicamente nell'ordine di idee di un'attenzione aggiornata alla prassi esecutiva, nel segnare la distanza fra il salisburghese e il russo prima di intrecciare possibili relazioni. Questo è un Mozart ben collocato nella storia, frutto di un percorso di continua elaborazione (si pensi alla struttura in tre movimenti, senza minuetto) che porterà alla triade delle ultime sinfonie (n. 39, 40 e 41), alla civiltà strumentale da Beethoven in poi. Ed, è a sua volta, frutto di ciò che lo ha preceduto. Questo è anche un Mozart che vanta una storia interpretativa secolare, comunque parte del suo e del nostro retaggio. Bonato si conferma direttore più profondo che eclatante, per nulla incline a personalismi ed effetti: imprime sonorità di classica compostezza animate dall'interno nella pulsazione metrica e negli scarti dinamici che danno forma e significato al riproporsi, variare, contrapporsi dei temi. Non si punta, insomma, sull'aguzza estroversione dei tempi, favorendo una tensione cercata nel colore, nel peso, nel ductus musicale, nobile e vivo.

Terminata la sinfonia, si posizionano le sedie, entra il pianoforte. Olga Kern presenta i primi due concerti di Šostakovič, quasi due volti complementari della poetica del sommo Dmitrij: nel n.1, con la tromba solista di Niccolò Gaudenzi, trionfa fino al parossismo uno sfrontato meccanismo dai tratti sardonici; nel secondo permane il gusto per la citazione eclettica, che però si stempera in un gioco luminoso (la partitura è del 1957, tre anni dopo la morte di Stalin) e in un lirismo di marca chopiniana. Sarcasmo e grottesco, sincerità e pathos, meccanica e abbandono, gioco straniante d'allusioni, lucida, oggettiva e umanissima analisi delle contraddizioni del presente. Kern ha fatto proprio il linguaggio di Šostakovič e lo espone con disarmante confidenza, sempre musicalissima anche quando la frenesia potrebbe prendere il sopravvento. Basta, infatti, ascoltare il serratissimo botta e risposta con la tromba di Gaudenzi (bravissimo questo ragazzo!) nell'Allegro con brio finale del primo concerto per avere chiara l'idea di cosa significhi esprimere sfrenatezza mantenendo la briglia salda in mano. Più del mero virtuosismo, fanno la differenza l'idiomaticità, l'idea musicale, la perfetta sintonia nel lavoro comune con direttore e orchestra. Ricordando la lettura che Bonato diede dello stesso primo concerto un paio d'anni fa, sempre a Milano ma con i Pomeriggi Musicali e un solista come Federico Colli – differente e non meno interessante – appare palese un lavoro di ricerca comune che va oltre l'accompagnamento dei desiderata del pianista. L'orchestra, formatasi da circa un anno, aveva già dato buona prova di eclettismo quest'estate a Martina Franca (Owen Wingrave di Britten resterà fra i migliori spettacoli di questo 2025), ma qui fa davvero un ottimo lavoro nel mantenere una cifra di nobiltà imposta dal podio e nel contempo rispondere alle sollecitazioni di un fraseggio mobile, attentissimo al valore di cellule tematiche (si pensi all'uso e allo sviluppo delle frasi elementari desunte dall'eserciziario Hanon nel secondo concerto) che definiscono il DNA della partitura, echeggiano procedimenti simili in Beethoven e la forma sonata di Mozart, ma pure si combinano con una peculiare vitalità in una nuova creatura.

Il lavoro comune si riconosce anche nella scelta del bis: tutti ci aspettavamo Kern solista e, invece, tutta l'orchestra sfoglia i leggii, Bonato torna sul podio e si ripete tutti insieme il secondo movimento del secondo concerto, una gemma di poesia soffusa racchiusa nell'ironia giocosa e profonda degli Allegri. Settecento e Novecento, interpreti di tre diverse generazioni ed esperienze, un dialogo continuo che costruisce insieme: l'incontro ha dato i suoi frutti.

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