Ali dorate
Dopo le radici sanguigne della melomania, sabato 10 maggio Parma mostra l'altro lato della sua vita musicale, quello che magari nei cartelloni sembra l'iniziativa “collaterale”, accessoria, ma che in realtà è la missione, il senso più fondamentale del fare arte, del fare teatro. Sono anche i cinquant'anni dalla nascita della Filarmonica Toscanini, che naturalmente propone concerti e iniziative nella sua bella sede, ma soprattutto affianca una delle sue idee più belle (il progetto Community Music) a una delle più belle proposte del Regio (il Manifesto Etico con il Verdi Off e Opera in carcere), quelle proposte che ci ricordano come chi fa musica non debba solo sfornare cartelloni per appassionati e addetti ai lavori, ma si integri nella società e faccia la sua parte per rendere questo mondo così malmesso un po' migliore.
Oggi nella sala del Regio fa il suo debutto il coro dei detenuti del carcere di Parma, quello stesso che ci aveva commosso con i suoi laboratori fra le mura del penitenziario, raccontandoci come l'opera sia anche scoperta di umanità e rispetto di sé e del prossimo, Ci avevano raccontato che quelle note e quelle parole con cui noi conviviamo ogni giorno spaccando in quattro il capello di questo o quell'interprete sono in realtà anche altro, che nel suo vocabolario d'affetti, nella sua capacità di comunicare, nella necessità di collaborare porti nuovi, insperati orizzonti di riscatto e rinascita a chi ha visto, subito e compiuto anche cose orribili magari solo perché gli era stata negata l'opportunità del bello e del buono.
Il Regio è blindato com'è d'obbligo in questi casi: camionette all'ingresso, all'interno pullulano agenti armati, tuttavia l'atmosfera è accogliente, commossa. È palpabile l'emozione di chi fino a qualche mese fa nemmeno sapeva che esistesse un teatro e ora si trova lì, sul palco dei più grandi, fra oro e stucchi, con i compagni di viaggio di sempre (il pianista Milo Martani e la maestra Gabriella Corsaro, anima infaticabile del progetto) e un ospite d'onore come Sandu Nagy, primo flauto della Toscanini, a dar loro manforte. Non dev'essere un conforto da poco, per qualcuno magari un'ulteriore responsabilità, ma di certo questi uomini che ne rappresentano anche altri (non tutti i partecipanti ai laboratori possono essere presenti e l'organico è per forza di cose fluido, fra chi viene scarcerato fra una prova e un concerto e chi, invece, si trova in restrizioni che gli hanno impedito di uscire) ce la mettono tutta e magari oltre che con le note non hanno nemmeno molta dimestichezza con la lingua italiana scritta (ma tutti, scrupolosi, tengono gli occhi sui loro fogli e sul gesto della direttrice).
Questi uomini con storie, origini, età, lingue diversissime e uniti da una vita precedente di errori ci appaiono solo e semplicemente come uomini che portano davanti a noi la loro emozione e il loro impegno, oggi sul palco e in futuro per una nuova vita. I loro portavoce leggono un messaggio e una poesia (in carcere c'è molto tempo per leggere e c'è chi lo fa sul serio...), poi è la musica, solo la musica a parlare, con un programma che ripercorre le opere in cartellone al Regio che avevano studiato nei loro laboratori, ma racconta anche una storia non senza qualche attimo d'ironia.
C'è L'elisir d'amore (autoironici il coro che annuncia Dulcamara e la Barcarola in duetto con Corsaro; commovente senza meno la Furtiva lagrima); c'è Un ballo in maschera (“Posa in pace”), Giovanna d'Arco (si rimane stupefatti di fronte alla vivacità ritmica e dinamica del coro dei diavoli), La bohème (“Che gelida manina” e “Vecchia zimarra”), infine, tutto il teatro canta “Va', pensiero”, ed è il più vero, il più bel canto possibile per dire che siamo insieme, che dalla sofferenza possono nascere la speranza e la virtù, che il canto può riaccendere l'anima. Tutte cose che magari scordiamo nelle nostre innumerevoli serate normali a teatro e riscopriamo oggi negli occhi umidi e concentrati di chi tutto questo lo vede ora per la prima volta. Un'occasione per loro, una lezione per noi.
Le parole istituzionali (Comune, Teatro Regio, autorità carcerarie) rimarcano l'importanza, la necessità del progetto, ma il cuore è lì, in una nota magari incerta, che però può dire molto di più di una tornita e perfetta: ci dice che se il teatro esiste è perché deve esistere una comunità, una comunità che accoglie, che aiuta, che cresce insieme, che insieme trova la strada per capire e correggere gli errori commessi.
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