Sassonia, atto I: l'opera
La nuova produzione di Roméo et Juliette alla Semperoper mette in luce la qualità e l'identità delle maestranze sassoni rispetto all'impronta dimessa di concertazione e regia.
DRESDA, 16 maggio 2025 - “Vérone vit jadis deux familles rivales”. Il benvenuto di Dresda e della Semperoper con il prologo di Roméo et Juliette racchiude già il senso della serata. Sul primo accordo si sobbalza pensando di aver sbagliato opera, “ma non è l'Olandese?”: in effetti le partiture di Gounod e di Wagner iniziano con il medesimo accordo di quinta sulla tonica del Re minore d'impianto e, sebbene subito prendano strade diverse, la coincidenza stimola un'associazione mentale con la sostanza ben più concreta del wagnerismo deliberato o inconscio serpeggiante nel secondo Ottocento così come di quello che, pur additato come tale, wagnerismo non era, ma più semplicemente spirito e linguaggio del tempo. Stasera, certo, complessi che hanno il vate di Bayreuth nella storia e nel sangue come la Sächsische Staatskapelle e il Sächsische Staatsopernchor di Dresda inducono a una connessione inevitabile. È un Gounod suonato e cantato divinamente dai complessi stabili alla Semperoper: non si finirebbe mai di lodare la maestrìa dinamica, la compattezza, la morbidezza, le sfumature del suono, il nitore dell'articolazione. Pure, la sensazione è che il concertatore Robert Jindra abbia lasciato sciacquare nell'Elba i panni parigini degli amanti veronesi senza cercare un pizzico di ésprit francese, la leggiadria del walzer, l'aroma delicato e sensuale festose, amorose, notturne. Né sembra essersi piccato di esigere una nitida pronuncia (l'unico interprete di cui non si perda una parola è l'eccellente Frère Laurent di Georg Zeppenfeld) o di imprimere una tensione più mordente all'azione, appagandosi del gran bel sentire garantito da maestranze eccellenti. Una macchina perfetta funziona anche con il pilota automatico, ma con un pilota attivo può funzionare molto meglio.
Il prologo non ci fa solo ascoltare i due punti di forza di questa nuova produzione e individuare l'impostazione musicale, ma delinea subito anche il carattere teatrale del nuovo allestimento: una semplice struttura d'ispirazione razionalista firmata da Barbara Hanicka si confà, idealmente se non letteralmente, alla città di Verona e risulta del tutto funzionale alla fluidità dei cinque atti; i costumi di Julia Kornacka ci portano in una generica contemporaneità, mentre le luci di Fabio Antoci assecondano l'atmosfera notturna. Barbara Wysocka firma sia i video sia la regia (drammaturgia di Benedikt Stampfli). I primi punteggiano la scena di citazioni shakespeariane e accompagnano gli effetti del filtro su Juliette con immagini di lei bambina. La seconda si impronta a un'ordinata sobrietà non priva di qualche sbavatura (in un contesto così minimalista i coriandoli e la bottiglia spumante stappata nelle nozze segrete sembrano un tantino fuori luogo), senza lasciare un segno particolare nella recitazione.
Il cast si disimpegna con una diffusa efficacia in cui, per classe e incisività, spicca senz'altro il citato Zeppenfeld. Kang Wang è un solido Roméo, più energico che delicato: non lo impensieriscono i passi dove patiscono maggiormente i tenori d'estrazione belcantista, come il finale terzo o l'ultimo monologo, mentre passa più inosservato nell'elegia di “Ange adorable” e “Ah, lève-toi soleil”. Tuuli Takala ha fresca e graziosa voce di soprano lirico ben emessa e ben proiettata, benché non s'imponga nella memoria né per siderale virtuosismo né per la pregnanza drammatica dell'aria del veleno. Valerie Eickhoff canta con disinvoltura i couplet di Stephano e Michal Doron presta un bel timbro a Gertrude. Danylo Matviienko è un Mercutio forse un po' troppo compassato e con il Tybald di Brian Michael Moore e il Pâris di Gerrit Illenberger capeggia la schiera nutrita del comprimariato maschile, con Oleksandr Pushniak (Capulet), Anton Baliaev (Grégorio), Jongwoo Hong (Benvolio), Tilmann Rönnebeck (Le Duc de Vérone) e Wojciech Tabiś (Frère Jean). Tutto conferma la qualità inscalfibile del meccanismo della Semperoper, così ben oliato e congegnato da garantire un buon esito anche quando non spicca il volo. E non sanno di accondiscendenza abitudinaria, bensì di sentito riconoscimento del lavoro in buca, sul palco e dietro le quinte l'attenzione e l'entusiasmo di un pubblico che non interrompe quasi mai l'azione con applausi a scena aperta ma prorompe alla fine in una standing ovation.
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