L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Natura umana

di Roberta Pedrotti

Il Maggio Musicale Fiorentino dà il meglio di sé con la prima italiana in lingua originale di Der junge Lord di Henze, in precedenza dato solo a Roma sessant'anni fa nella traduzione di Fedele D'Amico. Con la concertazione di Markus Stenz e la regia di Daniele Menghini l'operazione riesce a meraviglia.

FIRENZE 25 maggio 2025 - Già raccontare la trama di questo Junge Lord è solo apparentemente semplice: un eccentrico e misterioso inglese arriva in una cittadina della provincia tedesca destando subito curiosità e chiacchiericci; l'uomo – o, meglio, il suo segretario portavoce, dato che Sir Edgar non proferisce mai parola – dichiara di avere un pupillo a cui sta faticosamente insegnando le buone maniere e la lingua di Goethe e che presenterà appena possibile alla comunità; quando ciò avviene tutti sono colpiti dal comportamento bizzarro del giovane Lord, imitato, lusingato, corteggiato finché non si scopre che si tratta in realtà di una scimmia ammaestrata. Pochi fatti, ma un pullulare di dettagli, episodi, personaggi che descrivono tutte le dinamiche di diffidenze e ipocrisie di una comunità che esalta la forma e rifiuta la diversità, ma elegge secondo convenienza la stramberia a moda idolatrata. Sono davvero spietati, nella loro grottesca ironia, Hans Werner Henze e la sua librettista Ingeborg Bachmann in quest'opera, profonda e ancora attualissima, del 1964, ispirata a un testo di Wilhelm Hauff, ma che ricorda anche il racconto di Kafka Una relazione per un'Accademia. Spietati, sì, ma solo e non tanto non per unilaterale e surreale caricatura di un microcosmo borghese, quanto per la capacità di istillare in questa folle parabola momenti di straziante verità, che montano soprattutto verso il finale, quando Luise, che coltivava un amoretto adolescenziale semiclandestino per Wilhelm, si trova travolta dal fascino istintivo, primordiale del nuovo, ignoto, bizzarro giovane Lord.

Nel ritmo serrato dell'opera buffa Henze punge nelle scene d'insieme e nei moltiplicarsi di tipi caricaturali, ma si abbandona pure a un lirismo malinconico, umbratile, perturbante. Il paradosso, il sarcasmo e lo sberleffo, così come l'abbondanza di concertati e la presenza di un intreccio romantico contrastato senza tragedie si collegano alla lunga tradizione del genere, aggiornando le radici antiche del disincanto satirico sociale nel grottesco surreale novecentesco (non è, in fondo, opera buffa pure Le grand Macabre di Ligeti?). La complessità della partitura, la varietà di registri espressivi e rimandi stilistici accompagnano via via il pubblico in un mondo in cui il protagonista dell'esile trama è proprio il continuo movimento delle chiacchiere e dei pettegolezzi, il mutevole umore della comunità cittadina, dei notabili, delle dame dell'alta società, della gente comune, dei ragazzini. Tutto costituisce un affascinante meccanismo a orologeria che sollecita come non mai il dispiegamento in campo di forze teatrali e musicali. E qui il Maggio Fiorentino fa onore al suo nome, dimostra di tenere alto il vessillo della sua storia con un'orchestra capace di farsi attrice dell'azione con impeccabile qualità e presenza teatrale, voci bianche (maestra Sara Matteucci) di stupefacente precisione e personalità, coro adulto (maestro Lorenzo Fratini) sempre ai massimi livelli e accompagnato da un ensemble non meno eloquente composto da allievi dell'Accademia. C'è poi tutto l'ingranaggio scenico, così ben oliato da far sembrar semplice ciò che s'intuisce essere mastodontico.

Queste forze trovano in Markus Stenz e Daniele Menghini guide che fanno la differenza. Il primo è concertatore di lunga frequentazione henziana e fa scattare nel meccanismo la scintilla di vita teatrale, colore, varietà e coerenza. Dal brulicare della prima scena, nel quadretto quotidiano e nell'attesa dell'arrivo del misterioso inglese, fino al parossismo della festa finale con la rivelazione della vera natura del giovane Lord si tende un arco in cui il pubblico si immerge man mano e rimane totalmente coinvolto. Il merito è in questo condiviso dal secondo, che si conferma (con la sua squadra: Davide Signorini per le scene, Nika Campisi per i costumi, Gianni Bertoli per le luci e Silvia Nappi per le coreografie) una delle figure più interessanti del nuovo panorama registico. Sono evidenti i topoi drammaturgici ed estetici che rendono riconoscibile il suo lavoro, ma questi non si trasformano in cliché: si rinnovano e si plasmano sempre sul testo da portare in scena con un controllo tecnico ferreo anche nelle proporzioni più ampie (pensiamo alle produzioni per lo Sferisterio di Macerata). Si amano i piccoli dettagli, come nella scena delle dame tedesche alle prese con il té all'inglese, al pari dei grandi quadri e delle citazioni sparse con nonchalance senza pedanteria, come in un gioco di associazioni mentali con lo spettatore. D'altra parte, l'opera stessa è costituita da una miriade di allusioni e sottintesi, per cui il lavoro di Menghini appare in questo caso - e sia detto in senso del tutto positivo - quasi didascalico.

Ogni personaggio risulta così ben definito e la complessità della scrittura sembra un bicchier d'acqua. Levent Bakirci, con i suoi baffetti e l'ampio abito rosa con crinolina, è il serissimo segretario di Sir Edgar, interpretato dal silente ed eloquente Giovanni Franzoni. Matteo Falcier svetta nel canto e si muove benissimo con la pelliccia e la maschera del giovane “Lord Barrat”; Caterina Dallaere è una spassosa e piccante Begonia, la cuoca giamaicana, cui fa da contraltare il cammeo di Marina Comparato nei panni snob della baronessa Grünwiesel, già vestiti a Roma nel '65 da Fedora Barbieri. Marily Santoro con voce smaltata e fraseggio accorato svetta nella grande scena di Luise (parte che fu della giovanissima Maria Chiara) che precede il finale. E, ancora, si apprezzano il suo innamorato Wilhelm, Antonio Mandrillo, e il professor von Mucker, Lorenzo Martelli, così come tutta la fitta schiera di figure e figurette che popolano l'immaginaria città di Hulsdorf-Gotha: Andreas Mattersberger, Yurii Strakhov, Gonzalo Godoy Sepúlveda, Ioanna Kykna, Aloisia de Nardis, Nikoletta Hertsak, Letizia Bertoldi, James Kee, Davide Sodini. A questi, poi si aggiungono i danzatori della compagnia Komoko, figuranti speciali, attori e circensi chiamati a incarnare le numerose presenze mute previste nell'azione, dalla piccola e libera corte cosmopolita di Sir Edgar che porta scompiglio nel borgo allo spettacolo itinerante di Amintore La Rocca.

La prima è un grande successo; sono programmate due sole repliche (il 28 e il 31 maggio): chi può non se lo perda. E poi, quest'estate, tutti a Montepulciano a brindare all'eredità di Hans Werner Henze.

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