Il gusto di un cuore
All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia debutta, in forma di concerto, l’opera Written on Skin di George Benjamin, su libretto di Martin Crimp. Il cast vocale è composto da Mark Stone (Protettore), Liv Redpath (Agnès), Hugh Cutting (Primo Angelo/Il Ragazzo), Judith Thielsen (Secondo Angelo/Marie) e Leonardo Cortellazzi (Terzo Angelo/John).
ROMA, 23 maggio 2025 – Non è comune che un’opera contemporanea colpisca al primo ascolto, ma si deve ammettere che Written on Skin di George Benjamin, su libretto di Martin Crimp, promana un fascino tutto particolare. Dopo il debutto al Festival di Aix-en-Provence nel 2012, l’opera ha goduto di molte riprese in tutta Europa, a testimonianza della sua qualità. Questa è la sua prima, fortunata apparizione nei cartelloni dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
La letteratura provenzale è piena di gemme, più o meno note al grande pubblico. Quando i trovatori cominciarono a diventare celebri, si iniziò a fabbricare codici contenenti un florilegio della loro produzione. Tali codici, corredati di accompagnamento musicale, presentavano anche le vite dei trovatori stessi, come pure più o meno brevi commenti ai loro componimenti – il cui nome in provenzale era razo. Da una di queste razo, da un commento anonimo del XIII sec, è tratta la leggenda che ha ispirato Written on Skin: quella del cuore del trovatore Guillem de Cabestanh, offerto come portata alla sua amante dal marito di quest’ultima, che aveva scoperto la tresca. Insomma, una tipica situazione da amor cortese, finita decisamente male. Il libretto di Martin Crimp rielabora questa leggenda, aggiungendo l’intervento divino di tre angeli (una sorta di sacra cornice alla storia) e mescolando i piani temporali: presente e passato sono come inestricabilmente connessi, sovrapponendosi. Pare di vedere svolgersi sul palco una pagina miniata di un codice, le cui immagini, però, raffigurano il nostro mondo. La musica di Benjamin non poteva che ispirarsi a questo sincretismo temporale: un’orchestra ridotta all’osso, con la presenza di strumenti antichi, della viola da gamba e della glassarmonica, permette al compositore di coniugare una scrittura tipicamente novecentesca (uso pervasivo delle percussioni, equilibrati giochi di dissonanze) con sezioni dal sapore antico, dove riverberano sonorità medievali. L’equilibrio fra queste dimensioni sonore differenti è riuscitissimo; l’attenzione dello spettatore è letteralmente incollata per tutta la durata dell’opera, che si giova, in questa edizione romana, dell’ottima direzione di Lawrence Renes, attenta sia alla struttura generale che ai più minuti particolari – direzione che non fa rimpiangere quella, pur attesa, dello stesso Benjamin, impossibilitato ad essere presente agli appuntamenti romani. L’orchestra suona divinamente: basti citare i finali, rispettivamente, della prima parte, con il duetto dell’innamoramento fra Agnès e Boy, carico di sonorità antiche, e della terza parte, quando Agnès apprende di aver mangiato il cuore di Boy, preparatole dal Protettore, e sceglie di gettarsi dal balcone del palazzo, il tutto accompagnato dall’allucinato melodiare della glassarmonica, che conduce l’ascoltatore in un mondo vitreo, astratto, oltremondano.
Il cast vocale è assolutamente di prima qualità. La regia di Benjamin Davis, essenziale, dona dinamicità all’esecuzione, in forma di concerto, dell’opera. Su tutti si stagliano le tre voci protagoniste. Mark Stone scolpisce un Protettore statuario, roccioso, senza tralasciare momenti struggenti, di intensa umanità (quando scopre il tradimento e medita l’omicidio del miniatore), in cui il timbro della voce si arricchisce di colori più tenui. Tutto ciò è possibile grazie ad un mezzo vocale generosissimo, centrato, stentoreo, con un timbro nobilmente baritonale. Il ruolo di Agnès è interpretato da Liv Redpath, che dona tutta sé stessa in una parte che verticalizza, spesso repentinamente, ma che richiede anche sfumature, colori, mezze voci. Insomma, una grande voce non basta e Redpath, grazie ad un timbro chiaro, magnetico, dipinge un personaggio a tutto tondo, avendo cura di addolcire i passaggi nel momento dell’innamoramento (in particolare il duetto che chiude la prima parte) e di risultare quasi astratta dalla realtà, già proiettata su un’altra dimensione, durante l’indimenticabile monologo finale prima del suicidio. Ma la voce più affascinante rimane quella controtenorile di Hugh Cutting (Boy), al suo indimenticabile debutto all’Accademia di Santa Cecilia. Dotato di una non comune potenza vocale (parliamo di un controtenore!), di una chiarezza nell’emissione, di un’abilità coloristica nei passaggi, nei legati, Cutting fa tutto benissimo: mellifluo nei duetti d’amore, con effetti indimenticabili di sovrapposizione vocale con la Redpath, metafisico quando interpreta il Primo Angelo, Cutting dipinge magistralmente i due ruoli del Ragazzo miniatore e dell’Angelo. Ottimi anche i comprimari: Judith Thielsen (Secondo Angelo/Marie), che si distingue pure per le sue doti da caratterista, e Leonardo Cortellazzi (Terzo Angelo/John), la cui corda gentilmente virile e la fibra autenticamente tenorile servono ottimamente ambedue i suoi ruoli. Al termine il pur sparuto pubblico si fa sentire, tributando meritati onori a tutti gli interpreti e alle maestranze ceciliane. Ci si augura che Written on Skin torni presto a Roma.
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