Quasi nell'Eden
Un'ottima edizione di Così fan tutte chiude in bellezza la trilogia Mozart Da Ponte firmata a Bologna da Martjin Dendievel e Alessandro Talevi. Peccato solo per alcuni tagli fuori luogo.
BOLOGNA, 29 maggio 2025 - La trilogia Mozart Da Ponte secondo Martjin Dendievel e Alessandro Talevi volge al termine con Così fan tutte e si chiude in bellezza, o quasi.
Gli ingredienti per una bella produzione, una delle migliori se non finora la migliore della stagione bolognese ci sono tutti e le aspettative non sono disattese. Talevi ci trasporta su una spiaggia mediterranea, si respira l'atmosfera dell'Egeo, fra Grecia e Anatolia, occidente e oriente, storia, mito, filosofia nel labirinto di porte che fa da fil rouge fra le tre opere. Despina è una giovane del posto, mentre i quattro fidanzati sono inamidati giovanotti borghesi che a contatto che il vecchio hippy Don Alfonso assaporano una libertà inimmaginata, tradotta dai costumi di Stefania Scaraggi nel passaggio da una moda primi anni '60 un bianco e nero al variopinto look dei figli dei fiori. Peace and love? Per qualcuno è un'illusione, in realtà, perché il libero amore resta un sogno legato all'isola e alla fine la ricomposizione delle coppie originarie e il ritorno all'ordine borghese non porta che infelicità e l'abbandono da parte dei maschi delusi. Qualcosa, però, lascia a intendere che le ragazze ora se la passeranno meglio, più indipendenti, consapevoli di sé e dei propri desideri.
Quello di Talevi è uno spettacolo chiaro e godibile, limpido nella narrazione, ma non banale, anzi colto e sottile. Va di pari passo con la concertazione di Dendievel, che non pare cercare mezze misure nel delineare da subito le sue ombre, le inquietudini, una certa cattiveria che non potrà che sfociare nel definitivo separarsi dei sentieri dei protagonisti. “Giuro al cielo! - Ed io giuro alla Terra!”, “noi siamo in terra e non in cielo”: sembra guardare a questi versi dapontiani, il trentenne belga, nell'impostare una lettura un po' pessimista, ben ancorata a questo mondo, ai sensi, ai desideri e alle disillusioni. Potrebbe perfino diventare un po' ruvido, ma quel suo sottolineare gli accenti, plasmare le singole voci nei concertati e assecondare il ritmo della commedia senza indugi non va a discapito del respiro generale e, quando serve, dell'idillio e dell'abbandono. Anzi, la tensione si percepisce proprio perché non corre il rischio di ridursi a corsa di metronomo (tutt'altro!) e il fatto che l'estasi si avverta più in frasi come “Volgi a me pietoso il ciglio” che in “Soave sia il vento” ci ricorda come l'idea di Dendievel, magari passibile di maturazione, sia autentica, sincera anche a costo di affondare il bisturi e metta in luce la scoperta, inconfessata e inimmaginata verità rispetto a un rassicurante castello di convinzioni e convenzioni.
L'orchestra e il coro offrono un'ottima prova, ben reattivi alle sollecitazioni del podio e parimenti il cast partecipa benissimo al lavoro di concertatore e regista. Nahuel Di Pierro offre a Don Alfonso appropriate intenzioni, oltre a una chiarissima dizione e a un bel timbro. Giulia Mazzola è una Despina non semplicemente vivace e spiritosa, ma francamente volitiva, agile e ben tornita nel canto.
Le voci delle dame ferraresi si amalgamano benissimo nei duetti senza confondersi: Mariangela Sicilia (Fiordiligi) ribadisce quell'intelligenza teatrale e musicale, quella squisita padronanza tecnica sempre al servizio della frase che fanno mormorare più volte “che brava!”; Francesca Di Sauro (Dorabella) trova nelle sue arie quella sincera immediatezza, quell'impellenza che liberano il personaggio dall'immagine di fatua sciocchina sopra le righe in favore di un'umana, magari ingenua, brama di vita.
Vito Priante ha una tale naturalezza nell'esser bravo che rischia di farci dimenticare quanta finezza d'interprete e di musicista abbia plasmato questo Guglielmo così disinvolto, affabile e accattivante, nel quale lo studio del minimo dettaglio si traduce in spontaneità e non in affettazione. Fa un paio perfetto con Marco Ciaponi, che sembra nato per vestire i panni di Ferrando e fa apparire facile ciò che facile non è senza trascurare una sola battuta. “Tradito, schernito”, complice la ragionata flessibilità di Dendievel, è uno dei momenti da ricordare della serata e anche per questo spiace (e spiace assai) il taglio di “Ah, lo veggio: quell'anima bella”. Eccolo qui il “quasi” di cui si parlava all'inizio e che ha macchiato la riuscita altrimenti pressoché immacolata di questa produzione: i tagli incomprensibili, che mutilano la partitura per averne in cambio una manciata di minuti dei quali, alla fine, non sappiamo che fare.
L'aria del tenore del secondo atto è stata a lungo espunta per facilitare interpreti in difficoltà, ma non era certo questo il caso, anzi! Per di più, non si tratta di un pezzo opzionale (come, lo ricordiamo, molte pagine di Don Giovanni entrate in una tradizione che fonde le versioni di Vienna e Praga creando un ibrido mai concepito né da Da Ponte né da Mozart), o comunque accessorio (effettivamente delle Nozze di Figaro la rinuncia alle arie di Marcellina e Don Basilio può non essere così dolorosa). Il recitativo accompagnato di Ferrando porterebbe nella logica musicale all'aria e si crea un buco nella sintassi della partitura come nella forma drammatica settecentesca, dove l'uscita del personaggio senza un assolo è uno squilibrio bello e buono, senza contare che tutto il turbamento espresso da Fiordiligi nell'immediatamente successiva “Per pietà, ben mio” scaturisce proprio da “Ah, lo veggio: quell'anima bella”.
Peggio ancora, e ancor più bizzarro anche in rapporto alla tradizione, è l'aver cancellato il quartetto “La mano a me date”, due o tre minuti di musica che costituiscono una chiave di volta nell'evoluzione della vicenda. Altre sforbiciate nei recitativi fanno perdere battute, fili logici, equilibrio di rime e metri. Perché? Non riusciamo a darci una risposta, se non constatando che quella dei tagli nelle opere a numeri chiusi (pensiamo ai recenti, deprecabili casi di Norma e Lucia di Lammermoor) sembra un'usanza frequente nelle ultime stagioni del Comunale. Speriamo che, dopo la nomina della nuova sovrintendente Elisabetta Riva cui auguriamo buon lavoro, arrivi anche una direzione artistica che possa correggere il tiro. Sarebbe bastato davvero poco per avere una serata da ricordare a concludere in bellezza un percorso mozartiano davvero ben costruito da Matijn Dendievel e Alessandro Talevi con cast sovente felici, in questo caso davvero impeccabile. Il vivo successo di pubblico, cui ci associamo, è lì a testimoniarlo.
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