L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Quel parlar di Carolina

di Luigi Raso

Al San Carlo il capolavoro di Cimarosa riporta la scuola napoletana alla ribalta nella città che ne è stata culla con i giovani dell'Accademia del Teatro.

NAPOLI, 11 giugno 2025 - Il 7 febbraio 1792, quando Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa va in scena a Vienna al Burgtheater (non l’attuale edificio ottocentesco sulla Ringstraße, ma quello un tempo insistente su Michaelerplatz e inglobato nella Hofburg; il teatro il cui abbattimento è narrato da Stefan Zweig in Il mondo di ieri con struggente nostalgia: molti viennesi recuperarono un pezzetto delle tavole del palcoscenico che aveva visto nascere Le nozze di Figaro ed pertanto erano considerate sacre. Che tempi!), Wolfgang Amadeus Mozart riposa da due mesi nel cimitero viennese di Sankt Marx, Gioachino Rossini nascerà a Pesaro dopo 22 giorni, il 29 febbraio.

Il matrimonio segreto è un trait d’union tra Mozart e Rossini, uno dei più brillanti esempi dell’opera napoletana del ‘700, il preludio alla rivoluzione teatrale del Pesarese nel genere buffo: il gusto e l’intuito musicale Stendhal, che dei tre compositori fu fervido cultore, colse pienamente nelle sue pagine il ruolo e l’importanza che al capolavoro del musicista di Aversa spetta.

“Piena di sole, ecco la giusta definizione della musica di Cimarosa”, sentenziò il critico Eduard Hanslick in occasione di una ripresa viennese dell’opera: Il matrimonio segreto torna al San Carlo a distanza di trent'anni dalla sua ultima rappresentazione (chi scrive c’era) in uno spettacolo luminoso, con scene sobrie, eleganti e dominate dal bianco, disegnate dal regista Stéphane Braunschweig. All’interno dell’impianto strutturato in ariosi spazi bianchi astratti si inserisce un salottino borghese: le scenografie si compongono e scompongono, in un roteare di epoche e di ceti sociali, borghesi di oggi ed ieri, aristocratici settecenteschi.

Mobilità di scene, dunque, e gioco teatrale brillante e ben curato raccontano una storia che è contemporanea e antica: la condizione femminile, vista dagli occhi delle tre protagoniste, Carolina, Elisetta e Fidalma.

Se all’inizio tutti i personaggi vestono abiti moderni, progressivamente e a cominciare dal conte Robinson, figura che irrompe sulla scena proveniente da un mondo antico, indosseranno tutti costumi del XVIII secolo, di ottima fattura e dai colori brillanti firmati da Thibault Vancraenenbroeck. Soltanto Carolina, figura centrale del disegno registico, conserva, a testimonianza dell’attualità del messaggio di indipendenza femminile, vesti contemporanee per tutta la durata dello spettacolo.

La compagnia dei giovani e promettenti artisti provenienti dall’Accademia di Canto lirico del Teatro di San Carlo assicura credibilità scenica e inesausto movimento allo spettacolo nel complesso godibile, che corre su un ritmo teatrale ben calibrato e spedito - qualche recitativo poteva forse dipanarsi più lentamente - e che riesce con coerenza e garbo a coniugare antico e moderno, la storia anacronistica del libretto di Giovanni Bertati con le istanze proprie della sensibilità contemporanea.

In sintonia con il ritmo teatrale che governa il palcoscenico è la direzione musicale di Francesco Corti, specialista del repertorio settecentesco, che imprime al Matrimonio segreto una narrazione serrata: l’Orchestra del Teatro San Carlo - all’interno della quale per l’occasione siedono numerosi professori ospiti e che secondo l’uso settecentesco è posizionata quasi a livello della platea - ha suono leggero, netto, ma non mancano nuance e sinuosi abbandoni timbrici (si pensi ai tanti interventi dell’ottimo clarinetto di Simone Simonelli). Il direttore, poi, è molto bravo ad assicurare equilibrio e sincrono tra orchestra e palcoscenico, a valorizzare le potenzialità del cast.

Stasera si ascolta la prima delle due compagnie che si alterneranno nel corso delle repliche (fino al 17 giungo) e si può affermare che alla prova del palcoscenico l’apertura di credito verso i giovani allievi nel complesso è stata ben ripagata.

Merito innanzitutto della spigliata, spontanea e ben cantata Carolina di Maria Knihnytska, che si fa notare e apprezzare per il bel colore, la buona tecnica che le consente di ben amministrare la scrittura e le insidie vocali della parte. Un soprano da tenere d’occhio per i successivi sviluppi della carriera.

Vocalità interessante e interpretazione venata da crepuscolare sensualità per la Fidalma di Sayumi Kaneko dalla linea di canto precisa ed elegante. Chiude il terzetto femminile Anastasiia Sagaidak nelle vesti di Elisetta, la quale nel complesso è corretta ed efficace scenicamente.

Il settore maschile della produzione schiera il Paolino di Sun Tianxuefei, dalla vocalità solida e dall’adeguato peso vocale, la cui interpretazione si sarebbe giovata di un fraseggio più vario e analitico; sulla scena l’artista è credibile e ben inserito nel meccanismo teatrale di Stéphane Braunschweig.

I mezzi, l’emissione e la linea di Yunho Eric Kim, Geronimo, non appaiono del tutto in sintonia con lo stile canto settecentesco; la dizione, poi è da migliorare, tuttavia il giovane artista risulta nel complesso funzionale alla buona riuscita dello spettacolo.

Antimo Dell’Omo, infine, è un conte Robinson molto convincente dal punto di vista scenico, dal bel velluto vocale e dalla dizione nitida.

Al termine, il pubblico - in verità, assi sparuto - tributa un successo meritato e caloroso per tutti.

Peccato per chi non c’era: la messa in scena di un capolavoro della scuola napoletana - evento raro in cittài, purtroppo - avrebbe meritato ben più robusta partecipazione di pubblico, il quale, invece, come constatato in passato (ad esempio, come in occasione del concerto dedicato a Pasquale Cafaro e ad altri autori napoletani: la recensione), non appena in programma ci sono autori delòa tradizione partenopea inspiegabilmente diserta l’evento.

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