L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una follia organizzata e completa

 di Stefano Ceccarelli

Torna al Teatro dell’Opera di Roma, dopo un abbondante ventennio, uno dei capolavori di Gioachino Rossini, L’italiana in Algeri. La direzione è affidata a Sesto Quatrini, la regia è una ripresa dello storico spettacolo di Maurizio Scaparro. L’equilibrato cast vocale vede: Paolo Bordogna (Mustafà), Jessica Ricci (Elvira), Dave Monaco (Lindoro), Chiara Amarù (Isabella), Misha Kiria (Taddeo) e Alejandro Alvarez Castillio (Haly).

ROMA, 10 giugno 2025 – Mancava da veramente troppo tempo, nei cartelloni del Costanzi, un titolo così bello e accattivante come L’italiana in Algeri di Gioachino Rossini, compositore spettacolare e ‘fragile’ quant’altri mai. Mi spiego: la musica di Rossini è un tessuto talmente preciso, i tempi teatrali sono talmente ben studiati, che un nonché può banalizzare o, addirittura, rovinare un’intera serata di una musica, sulla carta, ottima. L’equilibrio è, quindi, essenziale per mettere in scena Rossini e non si può che affermare che questa Italiana in Algeri sia una produzione riuscitissima, equilibrata.

Innanzitutto, la regia. Lo spettacolo di Maurizio Scaparro, che quest’anno ha spaccato il quarto di secolo, non dimostra minimamente i suoi anni. Ottimi i tempi comici, gli sketch, la caratterizzazione dei personaggi, ottimo veramente ogni aspetto; Scaparro, un autentico uomo di teatro del secolo passato, sa infondere linfa vitale alle pirotecniche idee musicali di Rossini, non tralasciando sostanzialmente mai alcun passaggio e senza, però, cedere ad un horror vacui che sempre più si impossessa dei registi che affrontano, oggi, opere rossiniane o barocche. La regia è misurata, il lavoro sui personaggi impressionantemente accurato. Recentemente scomparso, Scaparro non si è potuto godere il successo della ripresa del suo spettacolo, ma avrebbe sicuramente apprezzato la meticolosa cura con cui Orlando Forioso, suo storico collaboratore, ne ha permesso l’accurata messa in scena. Citare un momento specifico della regia sarebbe forse far torto agli altri, tanto è studiato l’equilibrio fra le parti. Del resto, più che una regia statica nella quale si attende il momento clou, una regia che si lasci apprezzare solo per qualche estrosità, quella di Scaparro si basa sulla cura meticolosissima della caratterizzazione dei personaggi, che risulta assai più stupefacente, ad esempio, di scene spassose come i due finali – nel secondo, peraltro, Mustafà ‘Pappataci’ indossa un camice da cuoco e porta a mo’ di scettro due enormi posate. Si pensi, per esempio, alla cura con cui Scaparro rappresenta in scena Elvira, nel turbinio infantile delle sue emozioni, o a come immagina un Taddeo goffo, sempre invischiato in qualche stramba trovata (come la scena dell’investitura a Kaimakan). Questa idea registica di Scaparro si sposa magnificamente con le scene di Emanuele Luzzati. Dominate dai colori marini delle sfumature del turchese, del blu, del verde, come pure da colori più orientali come le tinte del marrone, Luzzati immagina uno sfondo marino dalle nuance pastello, sul quale appare la nave barbaresca; l’approdo e la scalinata sono rifunzionalizzati, grazie ad un sapiente gioco creato da simmetrici separé lignei, con i tipici motivi geometrici tanto cari all’arte islamica, nelle varie stanze del palazzo. La bellezza dell’equilibrio e della semplicità, ma una semplicità intelligente, di chi sa fare veramente teatro. I costumi donano profondità e colore alla scena e sono splendidamente realizzati da Santuzza Calì, la quale cura anche i minimi particolari.

A livello visivo, quindi, questa Italiana ammalia il pubblico. Non stona – mi si perdoni la boutade – l’aspetto musicale. La direzione è affidata a Sesto Quatrini, al suo debutto sulle scene del Costanzi. Dotato di una notevole sensibilità per i colori rossiniani, affinata dall’assidua frequentazione di questo repertorio, Quatrini presenta un’Italiana filologicamente integrale; il suo maggior pregio riposa in un’attenzione alle timbriche dell’orchestra, coniugata ad una buona sensibilità bozzettistica (lo si sarà notato nell’esecuzione della celebre ouverture, nella quale Quatrini gioca, in particolare, sull’agogica). L’orchestra suona assai bene, dalla buca emerge un suono compatto e omogeneo; l’effetto dell’uso degli strumenti tradizionali (i sistri e la catuba) è molto piacevole. Quatrini dimostra, pure, sensibilità per l’accompagnamento vocale; se c’è da cercare un difetto in una serata che ha visto molti numeri seguìti da sinceri applausi, si potrebbe forse trovare in qualche sfasatura ritmica fra la buca ed il palco durante i complessi ensemble della partitura (come l’istrionico finale I).

Il cast vocale risulta certamente omogeneo e ben assortito, con i dovuti distinguo. È un peccato che Paolo Bordogna non sia al massimo della forma, come ha dimostrato il suo abbandono, a metà recita, durante la prima. Si percepisce, infatti, un volume di voce contenuto. Eppure, tolto questo palese problema fisico, Bordogna dimostra tutta la sua esperienza di consumato basso buffo rossiniano. Il timbro morbido e scuro gli consente di brillare nelle agilità; il fraseggio elegantissimo dona colore ad ogni frase, il tutto accompagnato da una presenza scenica e da una recitazione invidiabile, che lo eleggono a miglior attore in scena. Un misto di regalità e tronfia arroganza si ascolta distintamente non solo nella sua aria, «Già d’insolito ardore nel petto», ma anche nella fulminea cavatina, «Delle donne l’arroganza», esempi che testimoniano la vitalità della coloratura. Nei pezzi d’assieme fa sempre bene. L’Elvira di Jessica Ricci è straordinaria: non solo recita benissimo, ma possiede una presenza scenica magnetica, unita ad un mezzo potente, centrato e ben educato. Il tutto rende la sua performance assolutamente di lusso, un po’ come quella di Maria Elena Pepi nella parte di Zulma. Anche Alejandro Alvarez Castillio è un ottimo Haly, dalla voce squillante. Dave Monaco canta un Lindoro ben centrato, assai convincente anche su un piano scenico. Timbro bronzeo e facilità in alto, Monaco è in grado di produrre frasi morbide, anche se giurerei che non tutte le note sono a posto e che, soprattutto nella tessitura acuta, non mancano suoni aciduli, ma nel complesso la voce è abbastanza uniforme in un ruolo svettante, ardito nelle colorature, che stira persino oltre il dovuto la corda tenorile: si prenda ad esempio l’aria (non di mano rossiniana) «Oh come il cor di giubilo», nella quale il dialogo fra la voce di Monaco ed i legni sprigiona effetti assai piacevoli; ma anche la sua cavatina, «Languir per una bella», dove si lascia apprezzare per qualche soluzione più lirica. Il ruolo del titolo è interpretato da Chiara Amarù, che ottiene certamente una performance convincente, soprattutto grazie ad un’ottima recitazione. V’è però, nella sua tecnica vocale, mancanza di unità fra i registri, il che crea qualche frizione nei passaggi, con conseguente perdita di una maggiore naturalezza; inoltre, alcuni passaggi del suo canto sono meno incisivi di altri. Ciò detto, come ho ribadito, la serata la porta a casa; bastino a testimoniarlo le sue arie, come la celebre cavatina, «Cruda sorte! Amor tiranno!», dove ha molta cura nell’articolazione della coloratura, e la più intensa «Pensa alla patria», dove forse emergono più netti i suoi limiti (le verticalizzazione, l’insistere sul registro basso…). Ma, a onor del vero, la lirica, seduttiva «Per lui che adoro» è forse il momento più riuscito per lei, che la interpreta quasi a mezza voce. Manca solo il Taddeo di Misha Kiria, a cui non manca, francamente, nulla: brillantezza, squillo, piglio, fraseggio. Il georgiano è un basso buffo coi fiocchi, grazie ad un timbro scuro e netto: la voce più potente della serata, ma usata con intelligenza e gusto. Partner perfetto nei duetti e nello spassoso terzetto del II atto (con Lindoro e Mustafà), porta a casa gloriosamente la sua aria «Ho un gran peso sulla testa», dove si nota la sua squisita abilità di fraseggiatore.

La serata finisce fra applausi meritati, che ripagano l’impegno di cast e maestranze. L’italiana in Algeri trionfa ancora anche e soprattutto grazie a quella che Stendhal, grande ammiratore di Rossini, definì, riferendosi a questo titolo, una «follia organizzata e completa»; l’apparenza, anzi, di una follia, il che è arte sopraffina.

Leggi anche

Cagliari, L'italiana in Algeri, 12/05/2024

Salerno, L'italiana in Algeri, 17/05/2024

Bologna, L'italiana in Algeri, 9-10/07/2019

Torino, L'italiana in Algeri, 24/05/2019

Salisburgo, L’Italiana in Algeri, 11/08/2018


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.