L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Violetta nelle cornici dorate

di Irina Sorokina

Grande successo per la ripresa della Traviata firmata da Hugo De Ana all'Arena e diretta oggi da Speranza Scappucci. Si impone il Germont di Luca Salsi, mentre non pochi dubbi desta la protagonista Angel Blue.

VERONA, 11 luglio 2025 - L'autrice di queste righe ammette di aver sempre amato e di amare il lavoro di Hugo De Ana: da lui era ed è naturale aspettare una performance indimenticabile. Per quanto riguarda l’Arena di Verona, da molti anni il maestro argentino si confronta con uno spazio scenico eccezionale e in un certo senso pericoloso, ma le sue vittorie sono state innegabili: Nabucco del 2000, supertecnologico e ricco di effetti stupefacenti che non ha avuto la lunga vita nonostante il generale apprezzamento, Tosca del 2006 e Il barbiere di Siviglia del 2007 sono state le migliori produzioni dei primi anni duemila.

Nella Traviata allestita in Arena nel 2011, De Ana, come sempre, veste i panni di regista, scenografo e costumista e sceglie come punto di partenza un dipinto non troppo famoso, Marguerite Gautier di Eugenio Scomparini, che si trova nel Museo Revoltella di Trieste. Il quadro risale al 1890 e, quindi, lo separavano dalla Traviata di Verdi circa quarant'anni. La storia d'amore di Violetta e Alfredo all'Arena di Verona, viene spostata alla fine dell'Ottocento, alla cosiddetta Belle Époque.

Lo scenografo De Ana resta fedele a sé stesso, offrendo qualcosa che cattura e attira immediatamente lo sguardo. Il "segreto" della sua Traviata sono le cornici in stile Secondo Impero, dorate, pesanti, estrose, come quelle provenienti dagli appartamenti del Napoleone Terzo al Louvre. Questi simboli del lusso borghese si trovavano su diversi livelli e venivano "gettati" con noncuranza nello spazio in pendenza quasi pericolosa. Nelle cornici, niente specchi o dipinti: sono stati sostituiti da una specie di tableaux vivants. Ma prima ancora che la vita febbrile del demi monde parigino metta il piede all'interno delle cornici dorate, alcuni uomini e donne in nero, partecipanti ai funerali di Violetta, si aggirano per il palcoscenico, raccogliendo, senza successo, i pezzi del dipinto di Scomparini: una tela strappata non può essere restaurata ormai, così com’è impossibile raccogliere i frammenti di una vita spezzata. Nell'atto finale, lo sguardo si sofferma su un numero enorme di oggetti, compagni dell'esistenza breve della protagonista: bauli di Louis Vitton, dipinti, carte, manifesto della Traviata. Ma già prima dell'inizio dello spettacolo, le macerie della sua stessa vita si presentavano davanti agli occhi di Violetta (nel finale la sua stanza era quasi completamente spoglia); l'amaro destino, che fa parte della vita più febbrile, crudele e inconsolabile, è segnato. Nella società in cui l'eroina di De Ana, discendente da un quadro triestino, è condannata a vivere, le cose più semplici e comuni sono schiaffi, risse e reazioni fisiche esagerate: a Flora mancava poco per gettare a terra il Marchese, Alfredo e il padre quasi arrivano allo scontro fisico, i matador alla festa di Flora si mostrano pronti a uccidere Alfredo semplicemente per il fatto di aver gettato dei soldi in faccia a Violetta e, nell'ultimo atto, le maschere irrompono nell'appartamento della donna morente facenno cadere a terra la poveretta.

Le produzioni areniane non possono fare a meno della spettacolarità e le idee di De Ana sono sicuramente efficaci e ammalianti per gli occhi, come trucchi di magia. Alla fine del primo atto, Violetta, seduta su una cornice, sale nei cieli (non per niente cantando "dee volar il mio pensier"); nelle danze del secondo scintillanti paillettes dorate nel cielo notturno abbagliano gli spettatori, scatenando, ovviamente, grandi applausi. Chissà se gli artisti si sono sentiti sempre a loro agio, soprattutto quando "volano" sulle strutture per eseguire il can-can! Ma, senza alcun dubbio, la produzione della Traviata firmata De Ana in Arena è stata concepita in modo interessante, intelligente, dinamica, e non stravolge l'idea originaria: il suo grande successo è pienamente meritato.

Ieri sera si ha avuto il piacere di vedere questa Traviata tornare sul palcoscenico areniano con il cast capitanato dal soprano statunitense Angel Blue, che, pur ottenendo un notevole successo di pubblico, ha fornito un’interpretazione controversa. Non le si potrebbe negare l'ampiezza della vocalità, che però non è stata sufficiente; le parti cantabili di largo respiro non hanno fatto dimenticare le evidenti difficoltà nella cabaletta “Sempre libera”, che risultava affaticata e imprecisa, con il mi bemolle saggiamente evitato e acuti pietosamente strozzati. È andato meglio il secondo atto dove nel duetto con Germont la Blue ha conquistato i cuori grazie ad una grande sensibilità e a un bel legato, mentre nella scena di ballo a casa di Flora le frasi “Ah, perché venni incauta?” e ”Che fia? Morir mi sento!” sapevano di un autentico senso drammatico. Anche la seconda aria “Addio del passato” è stata dignitosa, ma rimane chiaro che cantare la parte di Violetta non è oggi nelle corde di Angel Blue a causa di carenze tecniche che emergono qua e là.

Enea Scala ha saputo disegnare nel modo convincente il personaggio di Alfredo, piccolo borghese diventato oggetto dell’amore di una donna dall’animo grande e generoso. Il suo canto è stato appropriato per dizione e dosaggio dei colori, ma, ahimè, ha rivelato le grosse difficoltà nel registro acuto in cui la voce diventava secca e tesa. Peccato davvero: al momento il frac di Alfredo non sembra stare a pennello al tenore, più affine al belcanto rossiniano.

Al contrario, Luca Salsi nei panni di Giorgio Germont è stato praticamente perfetto per l’analisi psicologica accurata del personaggio e il canto raffinato e ricco di sfumature sottili. Qualche anno fa al baritono parmigiano si poteva ancora rimproverare di una certa rozzezza, oggi felicemente superata. Questo “nuovo” Germont si è rivelato, si, il prodotto tipico della società a lui contemporanea, ma capace d’essere comprensivo se non sensibile. Salsi ha accennato a questi tratti caratteriali del personaggio attraverso movimenti del corpo e mimica facciale che, corredati dal bel legato e dai chiaroscuri in “Di Provenza il mar, il sol” , l’hanno portano ad un successo grandioso.

È stata perfetta la nutrita squadra dei comprimari, con molti veri specialisti dei rispettivi ruoli: Sofia Koberidze (Flora), Francesca Maionchi (Annina), Carlo Bosi (Gastone), Nicolò Ceriani (Barone Douphol), Jan Antem (Marchese d’Obigny), Gabriele Sagona (dottor Grenvil) , Hidenori Inoue (Domestico di Flora/Commissionario) e Alessandro Caro (Giuseppe).

Letteralmente preziosa è stata la bacchetta di Speranza Scappucci, che sembrava preferire il lato intimo della partitura, rendendo molti brani capaci di commuovere, ma si trovava a suo agio anche “in compagnia” dei ritmi di valzer e di galop, tipici per l’epoca: energia e grinta le appartengono proprio.

Bravissimi cantanti e altrettanto bravi attori: questo è da sempre il magnifico coro dell’Arena di Verona preparato da Roberto Gabbiani. Le coreografie di Leda Lojodice, che oggi potrebbero sembrare superate, sono riprese da Michele Cosentino, coordinatore del ballo Gaetano Bouy Petrosino. Finito lo spettacolo, il pubblico, quasi in delirio e felice, è stato gratificato anche dai fuochi d’artificio, una strizzatina d'occhio al Barbiere di Siviglia firmato dallo stesso De Ana.

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