Aidina e gli steroidi
Ampliata per le dimensioni del Lirico di Cagliari, la storica e amata Aida creata da Zeffirelli per Busseto vede appassire, se non la qualità del disegno scenografico, la freschezza e la cura nella recitazione così come la dimensione musicale intima e cameristica dell'idea originaria, qui travolta dall'impeto muscolare di Gianluca Marcianò sul podio.
CAGLIARI 13 luglio 2025 - “Penso, e ne ho avuto conferma dalla notorietà internazionale e dal successo che ebbe lo spettacolo a Busseto, e nei tanti teatri dov’è stato poi presentato – ha raccontato il regista nella sua autobiografia – che davvero quell’Aida piccola e prodigiosa sia il più riuscito e più felice spettacolo d’opera che abbia mai creato. Tutto era visto come attraverso una lente d’ingrandimento su quel minuscolo palcoscenico: non sfuggiva né un batter d’occhio né un gesto. L’impatto emozionale della delicata, struggente storia d’amore, finalmente finì per trionfare. Il trionfo più ambito per me. Non so se sarò mai più capace di fare un’altra volta pieno centro come feci con questa Aidina, piccola piccola ma immensamente grande”.
Era il 2001. Ricorreva il centenario della morte di Verdi. E Zeffirelli, a suo modo regista prigioniero dell'horror vacui (cosa non mise in scena nella pur bellissima Bohème scaligera, nella Carmen dell'Arena, nei Pagliacci con carabinieri e femminielli, nell'ultima sua Aida scaligera...) aveva lavorato per sottrazioni (sottraendo anche un po' di musica a Verdi: ne riparleremo).
Zeffirelli muore a giugno del 2019 e poco dopo, in autunno, questa produzione torna a Busseto. Il suo viaggio, però, ha toccato anche altri teatri: già nel 2003 era arrivata alla Pergola di Firenze, poi al Sociale di Bergamo e nel 2019 nell'ambito del circuito OperaLombardia al Teatro Ponchielli di Cremona, al Fraschini di Pavia, al Sociale di Como e al Grande di Brescia, più recentemente al Filarmonico di Verona. E arriva, al termine di una stagione che è anche la chiusa di un nero quinquennio, a Cagliari. Ora: è ancora la Aida di cui si sta parlando qui ? Il palcoscenico del Teatro Giuseppe Verdi di Busseto ha una larghezza utile tra le quinte di 10,90 metri e una profondità di 7,50 metri; il palcoscenico del Teatro Lirico di Cagliari ha una larghezza di 23 metri, con 10 metri aggiuntivi per lato per la movimentazione delle scene e una profondità di 25 metri. La fossa del Verdi di Busseto ospitava un organico orchestrale necessariamente adeguato alle sue modeste dimensioni. A Cagliari, quarantadue archi, ventuno fiati, sei tra arpe e percussioni, più i ventiquattro strumentisti sul palco e settanta artisti del coro. Quel tessuto musicale leggero, quasi 'cameristico' voluto da Zeffirelli non c'è più. L'Aidina di Busseto ha preso gli anabolizzanti.
Scriveva ancora il regista: “Il mio ultimo allestimento di Aida nel 1998, per l’inaugurazione dell’Imperial State Theatre di Tokyo, era stato il massimo della sontuosità e spettacolarità che ci si possa aspettare di vedere su un palcoscenico. Ricordo che, guardando i seicento esecutori, pensai: 'Verdi forse ne ha abbastanza di vedere Aida come pretesto per fare tanto baccano in scena'. A Busseto avrei avuto l’opportunità di tentare una riduzione drastica del 'gran macchinone', riportando quest’opera a una dimensione piccola, privata, ancora inesplorata. Avrei avuto a disposizione un’orchestra contenuta...”.
Poi, i cantanti. Sempre Zeffirelli: “Trovai subito tre giovani cantanti per i tre protagonisti. Ma ce n’erano altri interessanti e promettenti. Una fioritura di giovani che letteralmente mi trascinò, mi esaltò. Con questo cast, che aveva le caratteristiche dei personaggi indicate da Verdi, giovani, belli, disperati d’amore, cominciai a impostare più chiaramente le idee per il mio spettacolo. Portai i tre americani a Busseto, e li affidai a uno dei più grandi tenori del secolo, Carlo Bergonzi, che era stato il mio Radames nella leggendaria Aida alla Scala nel 1963. Bergonzi, che ha base a Busseto con una prestigiosa scuola di canto, accettò volentieri di essere il nostro direttore artistico, ed è stato poi uno dei maggiori garanti di tutta l’operazione che stavo mettendo in piedi.”. Anche nella ripresa a Busseto, nel 2019, gli interpreti erano tutti pressappoco sotto i trent'anni.
A Cagliari i cantanti non sono tutti giovani. Fateci caso: nelle biografie allegate ai comunicati stampa, ai programmi di sala, alle schede delle agenzie non c'è mai una data di nascita. Nessuno riesce a sapere mai per davvero quanti anni abbiano i cantanti che stiamo ascoltando, come fosse un peccato, un segreto, quasi una vergogna.
Ancora Zeffirelli: “L’innocenza e la purezza di quegli esordienti, sia vocalmente sia drammaticamente, rendeva vivi e credibili i loro personaggi, tanto che il pubblico se ne innamorò perdutamente. Tutto era visto come attraverso una lente d’ingrandimento su quel minuscolo palcoscenico: non sfuggiva né un batter d’occhio né un gesto”. Il Verdi di Busseto ha circa 250/300 posti; il pubblico poteva quasi 'toccare' gli artisti, poteva seguire la cura minuziosa che Zeffirelli aveva costruito nella loro gestualità, nella loro mimica facciale. Il Teatro Lirico di Cagliari può ospitare milleseicentoquaranta posti, suddivisi tra platea e due ordini di logge. La platea ha circa ottocento posti, mentre le logge ne ospitano circa quattrocento ciascuna. Insomma, diverse le distanze, diversa la prospettiva visiva.
Le coreografie dell'Aida di Busseto, e in tutte le riprese che ho ricordato, erano di Luc Bouy. danzatore e coreografo belga, già solista nelle file del Ballet du XXème Siècle di Maurice Béjart (1971-1976) poi nel Cullberg Ballet di Stoccolma dove a lungo vengono valorizzate le sue doti interpretative e il suo talento coreografico. A Cagliari le coreografie (le poche sopravvissute ai tagli decisi da Zeffirelli) vengono affidate a Luigia Frattaroli.
Questa lunga premessa innesca il dubbio sull'effettiva possibilità di indicare questa produzione come la stessa Aidina di Zeffirelli proposta a Busseto nel 2001.
Ovvio che scegliere un'opera nata per quel piccolo teatro e portata a Cagliari comporta, al di là della cornice visiva nettamente diversa, degli inevitabili aggiustamenti: nel riprendere la regia e cercare di mantenere la cifra originale dell'allestimento, Stefano Trespidi ha 'allargato' ai lati lo spettacolo, e sfruttato un po' più la profondità della scena; respirano benissimo anche in questa dimensione le scene di Zeffirelli (pitture murali, la statua di Bastet, quella di Anubi – ora ai lati, ora di fronte: grande risparmio – la piramide sul fondo dipinto, una testa di sfinge, bassorilievi) che credo siano state ricostruite dallo storico collaboratore Carlo Centolavigna (ma non ho trovato alcuna indicazione sul programma di sala). L'unica scena che non è stata 'ampliata' e adattata da Trespidi sono gli appartamenti di Amneris nel secondo atto, con il bassorilievo con uccelli, navicelle, cacciatori, fiori di loto, basilischi a fare da sfondo. I costumi di Anna Anni invece sono fedelmente stati ripresi da Lorena Marin; gli elementi di chiaro gusto egizio erano valorizzati dalle ottime luci di Fiammetta Baldiserri, riprese da Veronica Varesi Monti.
Anti-kitsch, anti-grandeur, questa Aida mignonne è sempre stata accolta benevolmente dalla critica; nella ripresa e rivisitazione, ci sono alcuni punti fermi, in primis la soluzione adottata da Zeffirelli per risolvere il monumentale Trionfo del secondo atto. Trionfo solo immaginato, ché la corte ammira la sfilata (invisibile al pubblico). È vero; qui a Cagliari coristi e figuranti danno le spalle al pubblico, ma agitano talmente tanto parossisticamente le loro braccia da ricordare più le folle ai bordi delle strade negli anni Sessanta al passaggio del Cantagiro... Permane il dubbio: si poteva aggiungere, immaginazione per immaginazione, anche la musica dei ballabili ?
Lo spettacolo, s'è detto, ha tutto il gusto zeffirelliano, con un Egitto smaccatamente impreciso e reinterpretato; sulle danze poco da aggiungere: le sacerdotesse incartate in oro, con una coreografia di Luigia Frattaroli che in più punti sembrerebbe adattarsi più alla canzone 'La tremarella' di Edoardo Vianello (“Come il vibrar di una molla/Mi vien la tremarella ballando il surf/Sembra che suoni una rumba/Muovendo le mie mani davanti a te”), e nella scena del Tempio di Vulcano a Menfi ora le molte braccia (meno Iside, più Kalì), ora – con Eleana Andreoudi, prima ballerina dell’Opera Nazionale Greca – le prevedibili posture di prammatica dell'Egizio immaginario.
Non so quanto e per quanto Trespidi abbia potuto lavorare con il cast; ma dimenticate Zeffirelli. Qui il solito plateale sbracciarsi, l'andare e venire di Amneris da destra a sinistra, e viceversa.
Non aiuta, no, questo cast a rinverdire l'idea di un bel 'fare' teatro: Jennifer Rowley (secondo le ultime regole del no black face, di un candore lunare e abbigliata come una vacanziera in pareo finto Hermes) disegna scenicamente una schiava etiope remissiva che momenti di paura, rabbia, sdegno diviene genericamente scalmanata, con gestualità secca e stereotipata. La voce è disomogenea, leggermente vetrosa nel registro acuto (cui sale con facilità), debole nel grave e nei piani, L'accento in 'Ritorna vincitor' è poco più che scolastico, in 'O patria mia' il do acuto è appena sfiorato. Pallida nel duetto con Amonasro, soccombente nel primo duetto con Radames, sembra più volte sottintendere un “vorrei ma non posso”.
Antonello Palombi è Radames. Anzi, non è. Se intatto è il torrente di energia vocale, la linea di canto è quanto di più tribunizia si possa ascoltare, scambiando il muscolare per eroico, lo stentoreo per la passione, senza il Si bemolle in pianissimo previsto da Verdi al termine di 'Celeste Aida', ovviamente, ma reso a voce spiegata. Nel duetto finale, ad onor del vero, tenta di alleggerire, ma ne esce fuori una voce mista che sconosce le mezze tinte; così come il pp con cui dovrebbe sfumare il sol acuto di 'nostri amori' nel duetto del II atto si trasforma in un quasi mezzo forte. Nè scenicamente le cose vanno meglio, complice negli ultimi due atti una terribile vestaglietta cilestrina che ne esalta la rigidità fisica, venendo meno ogni baldanzosa gioventù: anzi, senza gioventù.
Meglio la Amneris di Enkelejda Shkoza. Colore franco di mezzosoprano, facilità nel salire nel registro acuto, un leggero vibrato ben controllato, qualche distratto accento di antico retaggio verista. Direi perfetta, nella scena finale.
Gli altri. Devid Cecconi un Amonasro di controllata solidità, bello il 'Ma tu, o Re' a fior di labbra. George Andguladze un Ramfis molto sfocato con un Fa acuto in 'Folgore, morte' poco convincente. Lo sloveno Peter Martincic era un adeguato Re, Mauro Secci un Messaggero dalla voce ben proiettata, la macedone Nikolina Janecska una Sacerdotessa dal timbro luminoso.
Impeccabile, come sempre, la resa del coro, preparato e diretto da Giovanni Andreoli.
Ultima nota, forse la meno lieta, la direzione e la concertazione; sul podio Gianluca Marcianò, in barba alla reiterata 'dimensione cameristica' di cui si è ammantata questa Aidina zeffirelliana, al racconto di drammi intimi, di atmosfera notturna, tolto il Preludio iniziale, macina suoni su suoni, ruggenti, roboanti, privi di qualsivoglia dettaglio. Si veda lo staccato di 'Si fuggiam da queste mura', la preponderanza dei fiati nel duetto tra Amneris e Radames, l'ondata orchestrale 'Non hai tu in Menfi' (Amneris) che si trasforma in tsunami, il fagotto e il corno che avrebbero meritato maggior risalto in 'Qualcuno, un dolce affanno forse a te in cor destò'. Una Aida senza il sensuale abbandono, senza la vitalità, senza la tensione drammatica. Che forse ci sono, ma annegati in una dinamica spinta fino all'invadenza, invasiva verso e contro le voci (ne fa le spese spesso il soprano), un clangore sovraccaricato oltre il necessario.
Alla fine, questa Aida dovrebbe profumare d'incenso: così voleva Zeffirelli, quando sul palco si accendono i bracieri del Tempio di Vulcano e nelle ciotole che Amneris pone sulla tomba di Radames. Io non l'ho sentito. Non so se per le dimensioni della sala, o perché non era incenso quello che bruciava.
Applausi perplessi.
Ultima nota. Un uomo in seconda, terza fila, proprio nel duetto finale tra Aida e Radames, ha continuato imperterrito a scattare foto dal suo cellulare. Col flash. E le hostess di sala, mute.
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