Regina borghese
di Luigi Raso
Non convince la visione teatrale realizzata dalla regista Jetske Mijnssen per il terzo capitolo della Trilogia Tudor donizettiana al San Carlo di Napoli. Note più posiitve dal cast, in cui, se il tenore protagonista risulta piuttosto debole, spicca l'ottima Sara di Annalisa Stroppa.
NAPOLI, 16 luglio 2025 - Al San Carlo di Napoli Roberto Devereux è nato nel 1837 e rinato nel 1964, quando grazie all’opera del maestro Rubino Profeta (1910 - 1985), figura oggi immeritatamente caduta in oblio e fautore della “Donizettirenaissance”, si riscoprì la partitura affidandola a un cast da sogno, capitanato dalla Elisabetta di Leyla Gencer e dal duca di Nottingham di Piero Cappuccilli diretti da Mario Rossi e immortalato nell’incisione discografica dal vivo.
Ogni ritorno, quindi, dell’ultima opera della cosiddetta “trilogia Tudor” nel teatro che la vide nascere e rinascere dovrebbe destare sussulti di rinnovato interesse per uno dei lavori drammaturgicamente e musicalmente più avanzati del “bergamasco napoletano” che del San Carlo governò le sorti musicali dal 1822 al 1838, prendendone il testimone da Gioachino Rossini. Se i fantasmi esistessero, chi non si augurerebbe di incontrare quello di Rossini o di Donizetti aggirarsi negli antri e nei loro palchi di proscenio del San Carlo?!
Ritornando al presente, Roberto Devereux, come Anna Bolena del giugno 2023 (la recensione) e Maria Stuarda dello scorso anno (la recensione), è affidato al tandem composto da Riccardo Frizza, direttore d’orchestra, e Jetske Mijnssen, regista. È l’atto conclusivo della coproduzione tra Teatro di San Carlo, Dutch National Opera e Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia.
Lo spettacolo punta ad approfondire, ancor più dei due precedenti, lo studio della psicologia e delle relazioni dei personaggi coinvolti nel dramma di amore, gelosia, solitudine, tradimento e potere, l’osservazione delle dinamiche emotive del triangolo amoroso Elisabetta – Devereux – Sara, incastonate negli spazi claustrofobici e cupi disegnati da Ben Baur.
La scenografia essenziale, con riferimenti a lussuosi ambienti alto borghesi piuttosto che ad ambienti regali, circondata da pareti mobili, sedie e luci asettiche dovrebbe far stagliare la figura austera di Elisabetta – che in questa produzione, per epoca dell’ambientazione, rimanda a “the Queen” Elizabeth II – nell’abisso di solitudine e rimorso nel quale lentamente annega.
Jetske Mijnssen, nell’astrazione atemporale con chiari riferimenti al ‘900, proietta l’azione in un indefinito e universale presente emotivo. Ma se la finalità del disegno registico è quella di concentrare la narrazione sui rapporti di dominio, di gelosia e di paura che si instaurano tra i personaggi, in concreto la sua realizzazione non si rivela all’altezza e coerente con le intenzioni originarie.
La trasposizione storica, l’eliminazione dei fasti monarchici in favore di un’ambientazione lussuosamente borghese, con l’intero atto I che si svolge all’interno della bedroom di Elisabetta, dominata dallo spazioso e confortevole letto, evidentemente emblema e testimone del triangolo amoroso, sfrondano eccessivamente il dramma donizettiano e i suoi personaggi di quell’allure aristocratica che musica, libretto e, soprattutto, il passo dei recitativi richiedono. Desta ilarità veder la regina, Elisabetta I o II che sia, rassettare i cuscini del suo letto; così come troppa gestualità si dimentica di quell’aristocratica sprezzatura che il libretto di Salvadore Cammarano e la musica di Gaetano Donizetti suggeriscono. Indipendentemente dalla scelta dell’ambientazione storica, se Elisabetta è privata del portamento e del comportamento da gran dama, cosa resta dello spirito del monumento psicologico e musicale scolpito da Donizetti?
Il primo atto è ben poco impreziosito dalle luce fredde di Cor van den Brink e dagli eleganti ma asettici costumi di Klaus Bruns. Il prosciugato disegno registico - che si avvale della drammaturgia di Luc Joosten - raramente regala sussulti emotivi, anzi, procede privo di tensione teatrale, l’esatto opposto di quel turbinio di passioni e conflitti che, espressi in musica, divorano personaggi e azione teatrale. Non regala cambiamenti di rotta l’atto II, il quale, anzi, accentua ancor più staticità e cupezza: dalla camera da letto ci si sposta in un ampio spazio semibuio, circondato da sedie. Nell’atto III, invece, nel medesimo spazio scenico, i figli del Duca e della Duchessa di Nottingham giocano con un trenino elettrico; Sara è legata alla sedia dal marito e tenta di liberarsi.
Trovate poco coerenti tra loro, realizzate con tecnica teatrale che non riesce ad ingentilire esteticamente uno spettacolo nato con il chiaro intento di indagare in profondità le relazioni tra i personaggi, ma alla prova della realizzazione fermo allo stato di abbozzo. Nel complesso, delle tre produzioni del trittico delle tre regine firmato da Jetske Mijnssen, è sicuramente quella meno convincente.
L’aspetto musicale è maggiormente prodigo di soddisfazioni: affidata a Riccardo Frizza, la concertazione procede corretta, pulita, senza sbavature, lineare. Il direttore assicura buona tenuta ed equilibrio tra orchestra – quella del San Carlo, in forma eccellente in tutte le sezioni, coesa, compatta, duttile, dal suono pulito e luminoso – e palcoscenico; tempi nel complesso ben calibrati, a volte eccessivamente dilatati, ma nel complesso poco mobili; lettura, per l’intensità del fraseggio e la tornitura dei recitativi, che dà l’impressione di scrutare da lontano le passioni che dilaniano i protagonisti, tanto da stendere su Devereux, alla lunga, un velo di emotività prosciugata, soprattutto su alcune pagine anticipatrici della marmorea e incandescente drammaticità che sarà del Verdi maturo.
Il Coro del San Carlo, diretto da Fabrizio Cassi, tendenzialmente preciso e compatto, è ben integrato nei meccanismi musicali di questo Roberto Devereux si dimostra efficace a dare la giusta tinta alle scene alle quali è chiamato a partecipare.
Il cast vocale appare in sintonia con la visione interpretativa di Riccardo Frizza, a cominciare da Roberta Mantegna, che si dimostra un’Elisabetta corretta, che riesce a venir degnamente a capo dell’ostica scrittura della parte. Se note, volume, compattezza dei registri, buon governo delle colorature non difettano al soprano palermitano, da potenziare e rifinire sono la personalità della regina d’Inghilterra e una maggiore cura dei recitativi.
Al debutto nella parte di Sara di Nottingham, Annalisa Stroppa si conferma, sin dalla sortita “All'afflitto è dolce il pianto”, interprete accurata, molto attenta al peso e al colore della parola scenica, attrice partecipe, disinvolta e credibile. Il mezzosoprano bresciano domina con sicurezza e naturalezza la parte, che impreziosisce con un fraseggio incisivo e dizione idiomatica: già molto apprezzata al San Carlo come Giovanna Seymour nell’Anna Bolena del 2023, riesce a conferire a Sara la giusta importanza, vocale e teatrale, che Donizetti le assegna, indagando e valorizzando le pieghe del personaggio.
In evidente difficoltà ad articolare correttamente e con fluidità la linea di canto a causa di note non adeguatamente appoggiate e “stimbrate”, del frequente ricorso al falsetto in luogo di mezzevoci, Ismael Jordi, seppur dotato di bel timbro, è un Roberto Devereux poco convincente.
Nicola Alaimo è interprete attento, dal fraseggio curato, intenso ed efficace nel delineare un duca di Nottingham composto pur nel accentuato contrasto d’affetti che attraversano e dilaniano la sua anima.
Apprezzabili nel complesso i ruoli secondari, a cominciare da Lord Cecil di Enrico Casari, Sir Gualtiero Raleigh di Mariano Buccino, un cavaliere di Giacomo Mercaldo e un familiare di Nottingham di Ciro Giordano Orsini, questi ultimi due artisti del Coro del San Carlo.
Al termine, il pubblico del San Carlo – come purtroppo si registra da almeno un paio di mesi, molto poco folto – festeggia con convinzione Roberta Mantegna, Annalisa Stroppa e Nicola Alaimo; applausi misti ad udibili cenni di dissenso per Riccardo Frizza, Ismael Jordi e, soprattutto, per il team registico capitanato da Jetske Mijnssen, accolto da una salva fischi.
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