Operetta vo cercando, ch'è sì cara
Il Macerata Opera Festival si apre con La vedova allegra (in italiano): lodevole la scelta del titolo, meno la sua realizzazione da parte del regista Arnaud Bernard, che pare non credere nel valore di ciò che porta in scena, e della bacchetta poco autorevole di Marco Alibrando.
MACERATA, 18 luglio 2025 - Negli ultimi anni, dopo il triumvirato Messi-Minghetti-Lanzillotta, alla guida dello Sferisterio di Macerata si è aperta una girandola serratissima di nomi, da fare invidia alla cattedra di difesa dalle arti oscure a Howgarts o all'anno dei quattro imperatori: Paolo Pinamonti entra in carica nel 2022 (e si ricorderà per un bellissimo Barbiere di Siviglia) ed esce subito dopo il festival del '23; Paolo Gavazzeni subentra nel '24 (maggior punto d'onore, per lui, il debutto in Norma di Marta Torbidoni), imposta la stagione del '25 e poi parte per la Scala. Ora, ecco Marco Vinco, che eredita in gran parte la programmazione del predecessore in attesa di dare una sua impronta più marcata per il prossimo anno, preparandosi a spezzare la maledizione di questo triennio.
Lo snodo è anche una buona occasione per fare il punto su ciò che allo Sferisterio funziona o andrebbe ripensato, sui punti di forza, le prospettive, le criticità del cartellone. L'apertura del festival 2025 con una nuova produzione della Vedova allegra, allora, cade quantomai propizio per ribadire l'opportunità di un allargamento del repertorio. Tanto più che lo Sferisterio possiede caratteristiche acustiche e una tradizione di maggior cura musicale rispetto ad altri siti estivi, non si può vivere di sole Traviate “degli specchi”, Puccini, Verdi e Carmen. Si può, si deve guardare anche oltre, e il capolavoro di Lehár – testo raffinatissimo e nel contempo appetitoso anche per un pubblico non strettamente melomane – può esprimere il concetto nel migliore dei modi. Da un lato, difatti, è indubbio che il botteghino abbia premiato la scelta e che gli applausi finali consegnino alle cronache un successo. Dall'altro, però, bisogna pur interrogarsi su cosa si è offerto: l'audience e il gradimento non sono automaticamente indici di qualità (tv docet), e se non persistono (o non dovrebbero persistere) dubbi sul valore della Lustige Witwe, forse avanzarne qualcuno sul ruolo svolto da regista e direttore.
Con Arnaud Bernard e il suo staff, purtroppo, si rinnova l'annoso problema di precedenti produzioni, vale a dire la prepotente sensazione di una mancanza di fiducia sul testo, trasformato in canovaccio per l'ego e il progetto del regista. Non si arriva agli estremi di altre invasive riscritture, l'ambientazione suggerita dall'impianto scenografico essenziale di Riccardo Massironi e dai bei costumi d'epoca (e niente folklore pontevedrino) di Maria Carla Ricotti, rassicurano l'occhio. Tuttavia, Bernard non perde il vizio di strafare e sovrascrivere, anche dove è francamente inutile: che ce ne facciamo di un prologhetto invasivo e sopra le righe con il funerale del banchiere Glawari con sottofondo di prefiche vocianti a coprire la marcia funebre di Chopin orchestrata da Elgar che tenta di salire dalla buca? Che ce ne facciamo di una serie interminabile di Can Can – che comprende pure Cole Porter – con coreografie (di Gianni Santucci) e corpo di ballo non esattamente memorabili? O dell'incipit della Quarta di Mahler buttato lì non si sa bene come e perché (e sì nella teoria i legami fra questi mondi musicali esistono eccome) a farsi sommergere da un caos di dialoghi e azioni sceniche? L'impressione è quella di un surplus autoreferenziale che faccia dire allo specchio delle brame di essere i più intelligenti e creativi del reame, ma sottintenda soprattutto che Lehár, Léon e Stein non lo siano stati abbastanza e che il loro lavoro si può tranquillamente smontare e rimontare a piacimento (et voilà, il delizioso duettino “Heia, Mädel, aufgeschaut”, “Haia, fanciulla, alza gli occhi” passa dal secondo al primo atto. Perché? Non si sa...). Tanto, si ride, si deve ridere, non sulla sottigliezza dell'ironia, su quell'eros gaudente e malinconico che s'insinua e si nasconde in ogni frusciar di vesti, ma lasciando spazio al napoletano stereotipato del Njegus di Marco Simeoli (ben altra classe partenopea s'era inventata, nella stessa parte, Marisa Laurito), alla battuta greve e banalotta, al battimani compulsivo a coprir la musica per far sentire tutti “protagonisti” come fossimo al Grande Fratello o all'Arena di Verona, ai fuochi artificiali che sigillano un'impostazione, di fatto, più chiassosa che davvero saporita.
D'altra parte, se tutto punta alle tinte forti, ma resta macchinoso nello scorrere dipende anche dalla bacchetta di Marco Alibrando, che non è parso né particolarmente autorevole né troppo a proprio agio nel trovare un respiro comune fra buca e palco, nell'ispirare tempi fluidi con la giusta carica di intensità, sensualità e leggiadria. Ciò, naturalmente, nulla toglie al valore delle forze stabili in campo: sul palco il coro lirico Vincenzo Bellini, che passa quest'anno dalla guida storica di Martino Faggiani a quella di Christian Starinieri; in buca la Form (che, ricordiamolo, si esibisce regolarmente nonostante lo stato di agitazione per la latitanza di aggiornamenti contrattuali e tutele istituzionali), impegnatissima, ma anche sacrificata da rumori scenici e squilibri fra suono naturale e dialoghi amplificati.
Talvolta perfino il canto appare più ovattato di quanto in effetti non sia rispetto al parlato microfonato, tuttavia il cast si disimpegna nel complesso bene. Le maggiori difficoltà sembrano riguardare il Danilo di Alessandro Scotto di Luzio, un po' rigido come interprete e non sempre a fuoco nel sostegno delle frasi più ammalianti. E sì che il fascino del primo interprete Louis Treumann, poi morto a Terezin nonostante l'influenza di Lehár fosse riuscita a salvarlo altre volte dalla minaccia nazista, aveva infiammato un gruppo di agguerrite fan al punto da salvarlo dall'arresto per bizze contrattuali: una scena da operetta nella vita reale!
Valerio Borgioni ha tutte le note e potenzialmente le carte in regola per essere un ottimo Camille De Roussillon: canta, in effetti, assai bene, ma conferma anche come la scioltezza e la poetica dell'operetta – non certo qui troppo sollecitate da concertazione e regia – richiedano una specializzazione che va al di là della formazione lirica tradizionale.
La familiarità con il repertorio e la parte si fa sentire, viceversa, nell'Anna Glawari di Mihaela Marcu; fascinosa, altera e spavalda, dotata di disinvoltura, presenza e colore ideali, cerca anche di proporre una propria libertà musicale che fa emergere una mancanza di sintonia con il podio, poco sensibile alle ragioni del palcoscenico.
Cristin Arsenova è una Valencienne dalla voce leggera e dalla presenza scenica agilissima, molto apprezzata nella danza delle grisette (e, difatti, lì si sarebbe potuta fermare la coreografia chez Maxim).
Piace poi molto per la qualità vocale e l'attitudine attoriale il Barone Zeta di Alberto Pedricca; il duo Cascada / Saint-Brioche è una garanzia nelle mani di Cristiano Olivieri e, soprattutto, Francesco Pittari, così come Kromow con il veterano Stefano Consolini. Giacomo Medici (Bogdanowitsch), Davide Pelissero (Pritschitsch), Laura Esposito (Sylviane), Federica Sardella (Olga) ed Elena Serra (Praskowia) completano adeguatamente il cast con le grisette di Camilla Pomilio, Giulia Gabrielli, Silvia Giannetti, Lucia Spreca, Sara Baciocchi e Roberta Minnucci.
A loro, a chi canta, a chi suona, a chi danza, ai tecnici sollecitati dalle molteplici esigenze dell'operetta non può che andare un plauso incondizionato: questa è la vera forza dello Sferisterio e si può valorizzare nel repertorio consueto e in auspicabili esplorazioni. Il mondo di Lehar o di Strauss è lì, fra i tanti, che meritano attenzione e sanno conquistare il pubblico. Però, ricordiamolo, è fondamentale puntare su regia e direzione che garantiscano, oltre alla sicurezza tecnica e alla confidenza stilistica, l'amore e la fiducia nell'oper(ett)a, l'idea di un pubblico che possa godersi anche il sottinteso e non solo l'effetto sfacciato.
Leggi anche
Macerata, comunicato dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana
Pesaro, Adelaide di Borgogna, 13/08/2023
Brescia, Guglielmo Tell, 11/10/2019
Macerata, Il barbiere di Siviglia, 12/08/2022
