L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una gemma riscoperta

di Francesca Mulas

Lo Spedale risorge dopo quattro secoli: una piccola gemma barocca al Teatro dell'Arco su testo del poeta satirico Antonio Abati e musiche anonime riscoperte da Federico Fiorio.

Cagliari, 11 ottobre 2025 - Ci sono serate che hanno il sapore della scoperta, quelle in cui si ha la fortuna di assistere a qualcosa che nessun altro ha mai visto prima. Sabato 11 ottobre, il Teatro dell'Arco ha vissuto uno di quei momenti magici: la prima esecuzione assoluta in Italia de Lo Spedale, dramma burlesco in un atto su musica anonima e libretto del poeta satirico Antonio Abati. Quattrocento anni di silenzio, interrotti grazie al lavoro appassionato di Federico Fiorio, che ha pazientemente trascritto il manoscritto custodito nella Biblioteca Marciana di Venezia. Un'operazione culturale ambiziosa e meritoria, che arricchisce il panorama della musica antica in Sardegna e conferma come l'isola sia diventata un punto di riferimento per la riscoperta del repertorio barocco. Perché riportare alla luce opere dimenticate non è solo questione di note e spartiti: è un atto d'amore verso la storia e la cultura, un modo per restituire voce a chi l'aveva perduta.

Fiorio ha affrontato la sfida con spirito creativo, proponendo una lettura personale dell'opera. Tra le scelte più audaci, quella di affidare alcuni ruoli originariamente maschili – come il Matto o l’Innamorato – a voci femminili. Una decisione che solleva qualche interrogativo: quando i personaggi si rivolgevano l'uno all'altro con appellativi come "fratello", lo straniamento era palpabile. Il testo di Abati sembra costruito su una precisa caratterizzazione dei personaggi che trova nel genere vocale uno dei suoi elementi costitutivi, e alterare questo equilibrio rischia di creare una frattura tra parola e suono. Certo, il teatro barocco conosceva travestimenti e giochi di identità, ma lì la finzione era parte integrante della drammaturgia, non una sovrapposizione interpretativa. Qui invece si percepisce una tensione tra il testo originale e la sua realizzazione scenica, come se due linguaggi diversi facessero fatica a trovare un punto d'incontro. Forse una maggiore aderenza al manoscritto avrebbe reso più immediata la comprensione dell'opera, soprattutto per un pubblico che la incontrava per la prima volta. Detto questo, il merito di Fiorio nel riportare alla luce quest'opera resta indiscutibile, e ogni operazione di riscoperta comporta anche il diritto – anzi, la necessità – di fare scelte interpretative. Anche quando queste scelte possono non convincere del tutto, testimoniano comunque una volontà di dialogo con il testo che va rispettata.

Il cast vocale ha risposto con grande professionalità alla sfida di dare vita a personaggi finora sconosciuti. Ilaria Corona si è distinta nel ruolo dell'Innamorato con una prova davvero convincente: linea di canto pulita, fraseggio elegante e quella sensibilità espressiva che fa la differenza nel repertorio barocco. Accanto a lei, Nicola Marras nel ruolo del Povero ha confermato la sua solidità tecnica e la sua capacità di costruire un personaggio credibile, dosando con intelligenza gli aspetti virtuosistici e quelli più intimamente espressivi.Ma in realtà tutto il cast ha dato prova di grande competenza. Carlo Maria Dessalvi, Federica Moi, Federico Melis e Valentina Marghinotti hanno formato un ensemble coeso e ben amalgamato, dimostrando quella familiarità con il linguaggio seicentesco che è ormai un segno distintivo degli specialisti del repertorio antico. La satira pungente di Antonio Abati – quel gusto per la caricatura delle pratiche mediche che doveva far ridere le corti del Seicento – è stata servita con la giusta dose di ironia e leggerezza, senza scadere nella parodia ma nemmeno prendendo troppo sul serio un testo che nasce dichiaratamente burlesco.

Sul versante strumentale, l'Ensemble Karalis Antiqua ha offerto una prestazione di qualità. Gloria Medda al violoncello, Giacomo Paulis al contrabbasso e Noemi Mulas al clavicembalo hanno tessuto un basso continuo elegante e stilisticamente appropriato, con l'uso di strumenti con montatura storica che ha garantito quella autenticità timbrica tanto preziosa per questo repertorio. L'acustica del Teatro dell'Arco, raccolta e intima, si è rivelata adatta per una musica che vive di sfumature e dettagli. Fiorio alla direzione dal cembalo ha guidato l'ensemble con sicurezza, mostrando quella doppia competenza – di studioso e di interprete – che è indispensabile per affrontare un progetto di questa complessità. La sua passione per l'opera traspare in ogni scelta musicale, anche quando queste scelte possono non allinearsi perfettamente con le aspettative di chi privilegia un approccio più aderente al documento storico.

Lo Spedale è stato un dono prezioso per la città. In un panorama culturale spesso dominato dal repertorio più battuto, poter assistere alla prima esecuzione di un'opera inedita è un privilegio raro. Il lavoro di recupero merita riconoscenza e applausi, perché restituisce alla comunità un frammento di storia musicale che altrimenti sarebbe rimasto nel silenzio degli archivi. La satira medica di Abati – che prendeva in giro dottori e ciarlatani con quella libertà che solo il teatro permetteva – risuona ancora oggi con sorprendente attualità. E se alcune scelte interpretative possono lasciare perplessi, resta il fatto che sabato sera il pubblico cagliaritano ha potuto vivere un'esperienza unica e irripetibile. Una serata che lascia il segno, che fa riflettere, che apre domande. E che conferma come la musica antica, quando è affrontata con passione e competenza, sia tutt'altro che un reperto polveroso: è cultura viva, capace di parlare ancora al presente con intelligenza e ironia.


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