Festeggiando con Radamisto

di Luiz Gutierrez

Per gli ottant'anni del Palacio de Ballas Artes della capitale messicana, un'importante produzione di Radamisto di Handel, con l'allestimento del Festival di Salisburgo e una compagnia vocale parzialmente rinnovata, capitanata dal controtenore Carlos Mena.

CITTA' del MESSICO, 8 novembre 2014 - Come parte delle celebrazioni dell'ottantesimo anniversario dall'inaugurazione del Palacio de Bellas Artes, l'INBA ha presentato Radamisto, la prima opera che Georg Frideric Handel (così si faceva chiamare il musicista sassone) compose per la Royal Academy of Music, società patrocinata dal Re e altri aristocratici. Parlare del Re e di altri aristocratici non è cosa di poco conto, poiché gli scontri fra Giorgio I e il Principe di Galles avevano colpito mortalmente la Haymarket Opera, la compagnia con la quale Handel aveva lavorato con successo dal Rinaldo. Non fu che quando il re e il suo erede sancirono la pace che ebbe inizio quella che conosciamo come Royal Academy of Music, impresa con la quale Handel porterà in scena 20 opere.

Il libretto di Nicola Francesco Haym si basa su quello composto da Domenico Lalli per L’amor tirannico (1710) di Francesco Gasparini e tratta precisamente di problemi disanstici fra i governatori di Armenia e Tracia nel primo secolo della nostra era. Al di là del fatto che l'argomento è assai complesso, molto barocco in verità, commentarlo qui richiederebbe troppo spazio. È meglio che gli interessati consultino una delle numerose fonti dedicate alle opere di Handel.

L'opera debuttò il 27 aprile del 1720 al King's Theater di Haymarket a Londres. In questa occasione il soprano Margherita Durastanti apparve nel ruolo eponimo e il contralto Anastasia Robinson in quello della sua sposa Zenobia (da non confondere con la storica regina di Palmira del IV secolo, che pure sarà portata in scena in molte opere fra cui Aureliano in Palmira di Rossini), la sorella di Radamisto, Polissena, fu interpretata dal soprano Ann Turner Robinson, Fraarte e Tigrane, ministri di Tiridate, re di Armenia e sposo di Polissena, furono assegnati a un castrato soprano e a un soprano donna, Tiridate a un tenore e Farasmane, padre di Radamistoe Polissena e re di Tracia a un basso. Benché la compagnia non fosse composta interamente da stelle l'opera conobbe un grande successo. È plausible pensare che Handel sapesse già all'inizio del 1720 che alla fine dell'anno sarebbe giunta una delle più luminose stelle del firmamento vocale del momento, il castrato contralto Francesco Bernardi, noto come Senesino.

Dato il successo incontrato dall'opera in aprile, si decise di proporla nuovamente il 28 dicembre del medesimo anno con Senesino nel ruolo di Radamisto, Durastanti come Zenobia, il soprano Maddalena Salvai come Polissena, Fraarte e Tigrane assegnati a un soprano donna e a un castrato soprano, mentre entrambi i monarchi furono affidati a bassi. Questa versione non solo implicó la trasposizione di Radamisto (da soprano a contralto), Zenobia (da contralto a soprano) e di Tiridate (da tenore a basso), ma anche che Handel revisionò a fondo (ovvero, senza usare il vecchio trucco "copia"-"incolla") gran parte della musica, inserendo dieci nuove arie, un duetto e quella gemma che è il quartetto che corona il terzo atto. Ha conservato il coro finale, il più ampio fra tutte le opere di Handel, comprendente ben tre duetti.

L'opera fu ripresa fino al 1728, quando alla compagnia si unirono Faustina Bordoni e Francesca Cuzzoni.

Dopo questa introduzione, che molti classificheranno come pedante, passo a parlare della produzione e della recita.

Benché la produzione fosse annunciata come la medesima del Festiva [di Pentecoste] di Salisburgo [del 2002], in effetti si sono visti in Messico solo il direttore musicale Martin Haselböck e il controtenore Carlos Mena come Radamisto; originalmente erano previste anche Monica Groop, Mayte Beaumont ed Elisabeth Kulman, ma per ragioni a me ignote l'unica stella di una certa fama a unirsi a Haselböck e Mena è stata il soprano argentino Verónica Cangemi.    

L'allestimento di Rainer Vierlinger è parso molto bello, il che fa sempre piacere quando si ascoltano più di trenta arie con “da capo” o “dal segno”. I costumi e il trucco di Sandra Bachinger servivano fedelmente il concetto minimalista di Vierlinger. La scenografia è composta da una piattaforma su tre livelli, simile a una piramide sulla quale si collocano isette personaggi, alternando le loro posizioni. Gli armeni vestono di nero mentre i traci sono in rosso, a eccezione di Polissena, che veste in bianco, probabilmente per nascondere due grandi veli bianchi nelle maniche. In una delle sue arie più tristi, Polissena scioglie i veli che somigniano a lacrime, soluzione molto originale, specialmente se si paragona al cliché, non utilizzato in questa produzione, delle strisce rosse che simboleggiano il sangue.

Tutti i personaggi maschili maneggiano costantemente aste, che possono rappresentare lance e battaglie, sbarre di prigione o semplici bastoni. Non è specificato il responsabile delle luci, ma si è trattato di uno degli elementi che hanno determinato la bellezza dello spettacolo. Solo un dettaglio mi è sfuggito in questo simbolismo: il costume di Radamisto includeva un elemento pieghevole che si apriva come un ventaglio in posizioni differenti in ogni aria. Bello ma non chiaro (almeno per me). Direi che lo spettacolo ha subito la notevole influenza di Robert Wilson nell'estetica, ma non nel gesto, poiché gli interpreti potevano concentrarsi su personaggi e musica e non sula posizione del mignolo della mano sinistra.

In poche occasioni mi è capitato di riconoscere nel controtenore il cantante che più ha brillato, ma in questo caso devo dire che Carlos Mena ci ha regalato un grandioso Radamisto. Non posso dir lo stesso di Sarah Champion, forse troppo giovane per il ruolo di Zenobia, il punto debole della compagnia. Verónica Cangemi come Polissena ha visto alti e bassi; ha perso quell'attraente vulnerabilità che caratterizzava la sua voce, ma ha supplito con una tecnica invidiabile. Tiridate era interpretato dal baritono José Antonio López con sicurezza e aplomb, e, se devo dirlo, con la malvagità del villain, mentre Scott Graff ha caratterizzato un saggio e prudente Farasmane. I due ministri di Tiridate, Fraarte e Tigrane, sono stati ben interpretati dai soprani Valerie Vinzant e Ellen McAteer, benché il timbro della seconda fosse più di mio gradimento.

I due elemente che splendevano più intensamente in questa serata stavano nella buca. Mi riferisco al direttore Martin Haselböck e alla Musica Angelica Baroque Orchestra del sud della California, che tranne per il poter contare su strumenti originali ha realizzato una lettura che non ha nulla da invidiare ai complessi storicamente informati. Quando sono entrato in teatro mi sono subito sporto sulla buca per vedere gli strumenti, soprattutto i clavicembali, collocati ai due estremi del palco esattamente come si vede nelle illustrazioni antiche.

Ringrazio l'INBA di aver programmato quest'opera con questo ensemble strumentale e team registico, nella speranza che non debbano passare altri ottant'anni per avere uno spettacolo operistico di questo livello. Non posso che congedarmi con un pensiero poco gentile. Un gruppo molto numeroso di appassionati d'opera, o sedicenti tali, si lamenta costantemente che non si faccia opera in Messico; è stato triste vedere il teatro pieno solo al 75% della sua capacità, ragionando per eccesso, e che ho visto davvero pochi di quegli "appassionati". Peggio per loro.