Werther, il fantasma dei Natali passati

di Joseph Calanca

Il Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona inaugura la sua stagione con una ripresa dell’intelligente allestimento del capolavoro di Jules Massenet firmato nel 2004 da Graham Vick. Regia magistrale che attenua le mancanze di un cast non interamente convincente, dominato dalla raffinata Charlotte di Veronica Simeoni.

Una borghesissima cittadina americana degli anni Cinquanta, dove l’erba non può che essere verde, il cielo blu e la felicità sovraccarica e categoricamente manifesta. Una parata di sorrisi, un effimero scenario da spot pubblicitario con padri che curano con amore le siepi all’esterno di casette tutte graziose e tutte identiche, dove ragazze stese al sole sorseggiano limonata, giocando teneramente con i fratellini più piccoli. Un universo di caramella su cui si proiettano le tenui, ma pur sempre presenti, ombre delle bianche croci di un cimitero. Al centro di questa felicità di maniera si muove inquieto Werther, con un disagio probabilmente non molto dissimile da quello del protagonista dei Leiden des jungen Werthers e quindi dallo stesso Goethe nella vezzosa Europa del XVIII secolo. Con un malcelato sorriso di provocazione potremmo spingerci a dire infatti che, nonostante il salto temporale di oltre un secolo e mezzo rispetto alle indicazioni del libretto, la regia di Graham Vick, qui affiancato da Timothy O’Brien per scene e costumi e Robert A. Jones per le luci, risulta estremamente idonea, quasi filologica. Come in molti lavori del regista inglese, emerge poi un robusto lavoro su ogni singolo membro della produzione che crea uno spettacolo dall’ipnotico potere drammatico. Una sala praticamente sold out (di cui fa piacere segnalare la massiccia presenza di giovani) ha seguito rapita quello che in fondo, nonostante la magnifica scrittura di Massenet, si presenta come uno degli intrecci più esili di tutto il grande repertorio ottocentesco.

Nascono immagini destinate a imprimersi lungamente nella memoria dello spettatore: il dolce corteggiamento attorno all’altalena durante il primo atto o, nel terzo, la controscena quasi cinematografica di Charlotte chiusa in bagno in preda ai sensi di colpa dopo l’abbraccio con Werther. Ma il vero capolavoro, il geniale coup de théâtre ci si svela nell’ultimo atto. Il sipario si alza su un biancore quasi accecante e, al posto del previsto studio di Werther rischiarato dalle candele, ecco l’esterno di un’abitazione. Ne esce un’anziana signora, cardigan rosa e filo di perle, che faticosamente cammina appoggiandosi a un bastone. È Charlotte, canuta e avvizzita, costretta a rivivere il dramma di quella lontana e tremenda notte di Natale, nell’angoscia di gesti probabilmente ripetuti all’infinito. Mentre i nipotini in casa cantano felici e quasi isterici in attesa di scartare i regali, un rimorso inestinguibile, un’ossessione perenne la costringe a fronteggiare Werther, diafano spettro dal viso terribilmente imbrattato di sangue. Oublions tout si promettono, inutilmente.

La parte musicale non è interamente all’altezza di tanta perfezione drammatica. Fernando Portari veste infatti faticosamente i panni del protagonista: gli accenti sono rari, gli acuti faticosi e spesso astutamente trasformati in pianissimi. È un eroe dalla perenne mano in tasca che alla vibrante sensibilità creata da Goethe e confermata da Massenet, preferisce una banale prestanza fisica. Al suo fianco Veronica Simeoni, frequente interprete di quei ruoli anfibi del repertorio francese che portano i nomi di Selika, Carmen, Didon e a cui presto, necessariamente, dovrà aggiungersi anche Dalila. Dotata di una solida tecnica, che le consente di passare senza difficoltà alcuna dagli affondi del registro grave alle impervie salite in acuto, dimostra sensibilità e acume davvero notevoli nell’illuminare la parte di Charlotte di mille e mille sfumature, in una costante lezione di fraseggio. Mentre Cristiana Oliveira dipinge Sophie con inevitabile leziosità, Luís Rodrigues (Albert) risulta corretto ma poco incisivo. Assieme al risonante Pierre-Yves Pruvot (Le Bailli) e ai precisi João Merino (Johann) e Mário João Alves (Schmidt), completano il cast António Geraldo (Brühlmann) e Sara Afonso (Käthchen). La lettura di Cristóbal Soler, alla guida dell’Orquestra Sinfónica Portuguesa, si caratterizza infine per una vistosa sottolineatura dei momenti più infuocati dell’opera, a scapito dei tanti abbandoni lirici di cui è composta questa eccezionale partitura. 

foto  Carmo Sousa