Non ci resta che sorridere

 di Luis Gutierrez

 

Al Teatro de Bellas Artes di Città del Messico si apprezzano in Rigoletto le prove di alcuni interpreti d'ottimo livello internazionale affiancati da giovani emergenti messicani, mentre sia l'orchestra sia la messa in scena mostrano il fianco con esiti quantomeno originali.

CITTA' del MESSICO, 25 novembre 2014. Dopo la "messa in scena" di Rigoletto al MET firmata in toto da Michael Mayer, suppongo premiato con un Emmy a Broadway e debuttante nell'opera, imaginavo che qualunque altra produzione sarebbe stata migliore. E sì, Enrique Singer, direttore teatrale dell'UNAM (Universidad Nacional Autónoma de México), ha realizzato un altro "allestimento", non migliore, però, ma almeno di qualità paragonabile a quello del Met.

Tutte le scene si sviluppavano parallelamente al proscenio, gli scenografi (Atenea Chávez/Auda Caraza) hanno evitato qualunque linea diagonale che desse profondità all'ambiente in momenti come il secondo quadro del primo atto o tutto il terzo atto; i costumi, (Carlo Demichelis/Elena Gómez Toussaint) leggermente atemporali, non sono parsi eccezionali e, sì, il disegno luci (Victor Zapatero), o per lo meno la sua realizzazione, si collocava al di sotto del livello abituale delle Bellas Artes, ed è tutto dire.

Il momento più buffo, per la regia, è stato nel finale primo, nel quale vediamo la casa di Rigoletto di fronte, ovviamente parallela al proscenio, con Gilda che canta su un balcone. I cortigiani, ingannato il buffone che si pone a un lato della casa, invisibile per gran parte del pubblico posto sulla destra della sala, si allineano di fronte al balcone, sempre in linea parallela, per ammirare Gilda che intona le ultime note di "Caro nome", come se stesseroa dornado la Vergine di Guadalupe. Veramente.

L'abuso di linee parallele ha cospirato ugualmente contro la teatralità del terzo atto, in cui il regista ha deciso di porre la locanda di Sparafucile e di sua sorella - ci credereste? - parallela al proscenio, con un'apertura nella parete che ci permetteva tanto di vedere l'interno della taverna quanto il continuo andare e venire di Rigoletto. Un aspetto nel quale la mancanza di competenza musicale del regista si è resa manifesta è stata l'eliminazione di qualsivoglia lampo dopo la consegna di Gilda a Rigoletto, lampi che sono suggeriti, anzi, imposti, dagli arpeggi dei flauti. Un lampo è poi quello che permette a Rigoletto di riconoscere la figlia. 

Per fortuna i cantanti si sono esibiti ad un livello superiore alla media intesa alle Bellas Artes nell'ultimo anno. Come in ogni attività, la qualità non può essere sempre eccelsa in tutti gli aspetti, né, ugualmente, spregevole. E non abbiamo, fortunatamente, avuto nulla di spregevole, bensì un cantante di caratura internazionale colto in una giornata particolarmente felice: Eric Halfvarson è stato un impressionante Sparafucile, tanto per la bellezza della sua voce (giudizio soggettivo) quanto per l'intonazione e le lonte gravi, come il perfetto Fa conclusivo nel dichiarare il suo nome (giudizio oggettivo).

Elena Gorshunova, Gilda, non è stata da meno con una stupenda caratterizzazione scenica e vocale. Vladimir Stoyanov è stato un Rigoletto quale potremmo udire in qualunque teatro de mondo, benché non fosse qui in una serata di perfetta forma. Eccomi al punto che mi ha un po' deluso: il Duca di Arturo Chacón-Cruz, naturalmente non come attore, ma musicalmente, giacché la sua voce mi è parsa leggermente stridente in alto; direi che tende a raggiungere queste note con un lieve, ma percepibile, difetto d'intonazione, che risulta crescente. Credo che Chacón potrebbe correggere facilmente questo difetto, se la mia osservazione è giusta. Lydia Rendón è stata un'accettabile Maddalena.

Una menzione a parte merita il fatto che, fra le due compagnie, quattro personaggi secondari sono stati affidati a membri dell'Estudio de la Ópera de Bellas Artes con buon esito musicale, soprattutto Óscar Velázquez come Monterone, e scenico, eccezion fatta per Rosa de Muñoz como Giovanna, che non sapeva che fare delle proprie mani. Gabriela Flores era il paggio e gli altri ruoli di fianco sono stati correttamente interpretati da Oscar Santana, Jorge Eleazar Álvarez, Arturo López Castillo e Martín Luna.

Per la prima volta ho ascoltato Srba Dinic, direttore stabile dei complessi del Teatro de Bellas Artes. Posso dire che tutto si è svolto regolarmente, ma anche che la sua mano ancora non si sente nell'Orchestra, che risulta stonata come ormai siamo abituati ad ascoltarla. Un dettaglio mi ha fatto sorridere. La banda interna (o sulla scena, per essere precisi) è stata divisa in due parti: una, quella dei fiati, è stata "interpretata" ai piedi della scena da una registrazione e, naturalmente, risultava intonata; gli archi, al contraruo, stavano in buca e, naturalmente, erano stonati. Devo ammettere che l'esito è stato quantomeno originale. L'uso della registrazione è stato confermato da due fonti attendibili (dato oggettivo) se anche la stonazione degli archi fosse un giudizio soggettivo. A quanto ne so questa curiosa "soluzione" è stata proposta dal maestro Dinic "poiché così si usa in molti teatri d'opera [provinciali]". 

Il Coro ha fatto bene, anche se insisto nel dire che migliorerebbe molto con un maestro stabile e non con direttori a tempo determinato.

Infine, non il peggior Rigoletto che abbia mai visto, ma nemmeno, certo, il migliore. Gli artisti ospiti erano di ottimo livello e credo che il pubblico che abbia assistito a qualunque recita abbia avuto la possibilità di ascoltare e apprezzare uno dei più grandi bassi di oggi. In compenso, però, anche un altro regista.