Arrigo Levi e la musica

di Gina Guandalini

Un ricordo di Arrigo Levi da parte di Gina Guandalini (figlia del cugino di Levi), che ci racconta il rapporto del giornalista e intellettuale modenese con l'opera, la sinfonica, il teatro, il disco, i compositori, gli interpreti da Maria Callas alla parente acquisita Raina Kabaivanska - con cui intavolava anche brillanti dibattiti politici - al concittadino Luciano Pavarotti. Una passione per la musica che lo ha accompagnato fino alla fine: Lucia di Lammermoor intonata al telefono, la Hatikvah, inno nazionale israeliano, e alcune canzoni popolari modenesi negli ultimi momenti di lucidità.

E’ morto la sera del 23 agosto, non del 24 come ho visto scritto. E festeggiavamo sempre il suo compleanno il 16 luglio, non il 17. Ho sentito per l’ultima volta la sua voce al telefono, poco più di un mese fa, quando ha voluto intonare per me “Sulla tomba – che rinserra”, dalla prima parte della Lucia di Lammermoor. Gli ho ricordato che insieme a mio padre – suo cugino e praticamente fratello – l’aveva cantata con lui molti anni prima in un noto ristorante di Modena; e che mio padre gli aveva regalato quell’opera di Donizetti a 33 giri, con Di Stefano e la Callas. Ma la sua memoria non era più fenomenale come un tempo. O meglio, come vedremo, arrivava più lontano, e gli anni Ottanta, in prospettiva, finivano per dirgli poco o nulla.

Fino all’ultimo sono state vastissime la sua intelligenza, la sua cultura, la sua monellesca gioia, nell’ascoltare barzellette, nel recuperare ricordi d’infanzia di ogni tipo. Quando era ancora nel pieno della carriera giornalistica e storica, nel 1998, lo intervistai per un mensile operistico poi scomparso, Lyrica, che si stampava a Bologna. Rispose volentieri, conciso ma esauriente, alle mie domande; aveva molti ricordi musicali...

Il suo rapporto con la musica classica lo ha accompagnato tutta la vita. In Argentina - dove emigrò con la famiglia nel ’42, a sedici anni - ascoltava alla radio i concerti classici. E sui benedetti ascolti radiofonici, che tra gli anni Trenta e Settanta tanto hanno diffuso la musica “alta” oltre che quella “di consumo”, sarebbe proprio il caso di riflettere e di indagare.

Al rientro in Europa Arrigo Levi ha vissuto a Modena, a Londra, a Mosca, a Roma, a Torino: era felice degli omaggi discografici del cugino e degli amici, definendo la sua discoteca un insieme di regali “guidati”. Questo anche se nel ’98 mi confidò: “con l’opera lirica mi accade il contrario che con il genere sinfonico: preferisco vederla piuttosto che ascoltarla”. Va detto che il tempo per dedicarsi all’ascolto dei dischi per lui è venuto solo negli ultimi sette o otto anni, troppi essendo gli impegni di un consigliere del Quirinale.

Aveva ricordi ben precisi di alcuni storici spettacoli del Covent Garden: il Don Carlo con la regia di Visconti e con Christoff e Gobbi nel maggio ’58; il debutto di Joan Sutherland in Lucia di Lammermoor (febbraio ’59); e pochi mesi dopo la Medea con la Callas. Gli era rimasta vivamente impressa la visita in camerino, dove la terribile maga, vista da vicino, era un pauroso mascherone coperto di trucco. Parecchi anni dopo un mio regalo di compleanno fu appunto la Medea della Divina – non dal vivo, ma registrata in studio; volle dirmi al telefono che l’ascolto era un riascolto che lo aveva emozionato.

A Mosca, agli inizi degli anni ’60, aveva assistito a un Boris Godunov di cui si ricordava sempre: “molto tradizionale, come tutti gli allestimenti sovietici, ma impressionantissimo”. A Roma nel maggio ’64 andò con la moglie e con i miei genitori alle celebri Nozze di Figaro Visconti-Giulini; concordarono che l’edizione era di alta qualità e averla vista era una grande esperienza. Un Natale gli regalammo i dischi di un Trovatore diretto da Karajan nel ’62, con Corelli e la Price. Spalancava gli occhi: “Mamma, che voci! Spaccano il grammofono! Io non ce la farei mai a cantare così!” Fondamentalmente la sua opera preferita, dichiarò, restava Il barbiere di Siviglia.

Tra il ’73 e il ’79 l’incarico di direttore de La Stampa portò Levi a risiedere a Torino. In quegli anni cantava spesso al Regio Raina Kabaivanska, moglie di un modenese che di Arrigo era lontano parente acquisito. Dopo le recite di Tosca, Francesca da Rimini, Manon Lescaut nacque una bella amicizia. Che era ancora viva trent’anni dopo: io ricordo di avere assistito con Arrigo e sua moglie a Lady in the Dark di Kurt Weil all’Opera di Roma nel 2002, brillantemente interpretata dalla Kabaivanska, e la cena interessantissima che seguì. Raina parlava di musica, di regime sovietico, di direttori d’orchestra e Arrigo le teneva testa brillantemente.

Qualche salto alla Scala per gli spettacoli di Strehler non se lo fece mancare. Agli inizi degli anni ’80 fu lui, che allora collaborava al Times e risiedeva a Paulton Square, a farmi conoscere il quartiere londinese di Chelsea (che in seguito avrei “adottato”). Ci venne la curiosità di andare alla English National Opera, ad assistere a una Traviata in inglese, come è tuttora uso nel bellissimo teatro liberty di St. Martin’s Lane con i titoli operistici di tutti i paesi. Arrigo era molto divertito da quelle musiche così familiari cantate in inglese, e continuamente mi chiedeva di anticipargli o di ripetergli le parole autentiche di Piave. “Cessata è l’ansia che vi turbò?” divenne “I came to see if you are all right”; il voluto arcaismo del libretto italiano trasformato in inglese contemporaneo ci fece scoppiare a ridere. Sembrò invece ingegnoso a entrambi la versione “Anguish, anguish” della frase “Piangi, piangi…” di Germont padre nel duetto del secondo atto.

Tornato a risiedere stabilmente a Roma, mi dichiarò di preferire le cosiddette registrazioni storiche in disco a un concerto mediocre ascoltato dal vivo; “manca, è vero, la profondità spaziale dell’orchestra che si espande nella sala, ma c’è in compenso quel rigore tremendo, tagliente, che un Beethoven richiede”. Come molti della sua generazione, Arrigo Levi acquistava, sì, videocassette, ma confessava francamente di non avere le conoscenze tecnologiche sufficienti per fare copie!

Si abbonò con la moglie al turno di sabato dei concerti di Santa Cecilia. “Quei quattordici concerti sono ore di gioia pura, che esclude ogni altra emozione”. Esprimeva poi il timore che i suoi gusti sinfonici fossero considerati un po’ banali: “Arrivo a Shostakovic, ma non ai dodecafonici o più in là. Io nasco con Beethoven. Ma mi chiedo se in realtà non sia Mozart il mio preferito. Non che non ami Cajkovskij e altri compositori più ‘moderni’. L’uso che fanno dell’orchestra quelli che chiamerò i post-beethoveniani mi stimola, mi diverte estremamente”.

Amava Muti, amava, ovviamente, il suo concittadino Pavarotti: “Non dovrei dirlo, ma è la più bella voce del nostro tempo!”. E si trovò a dover dire la sua sul “crossover” con la musica pop che tanto ha turbato la critica nostrana: approvava i concerti dei tre tenori, come arrivò ad approvare le serate di Pavarotti and Friends. “Luciano ha finalmente trovato, secondo me, le compagnie giuste e il tono giusto con Céline Dion. Vedere queste enormi masse riunite da lui è una cosa bella”.

Infine un episodio semplice e familiare che ha fatto il giro dei giornali con un po’ di mitizzazione. Una decina di giorni prima di lasciarci Arrigo era in ospedale (è morto nella sua casa di Roma) e ha avuto un pomeriggio di particolare lucidità. Ha voluto recitare la preghiera Shemà Israel (ascolta Israele), ha voluto cantare la Hatikvah, l’inno nazionale di Israele; poi è passato a una vecchia canzoncina in dialetto modenese, che dice “l’è la luce elettrica – che viene da Vignola” (c’è la registrazione con la sua voce). E’ ispirata chiaramente dall’inizio dell’elettrificazione del nord Italia, quegli anni Dieci-Venti in cui le lampadine sembravano prodigi. Tutto qui, niente swing, niente esibizioni a squarciagola.

A Levi piacevano anche altri motivi, che mio padre canticchiava facendosi la barba: “Arriva Arrigo”, che racconta la gioia di scolaretti che vedono passare un piccolo aeroplano con pilota; e la ninna-nanna “E benedetto sia quel muratore”. Cito queste musiche dimenticate perché non ho trovato nel web nessun dato che le riguardi. Così le ricordo io qui. E spero che qualche storico sappia illuminarmi sugli autori, le date, Si sorride della memoria degli anziani. Ma quasi sempre pesca in abissi che un tempo erano alla luce del sole.