Dove la musica sorride

 di Roberta Pedrotti

 

Ho assistito per la prima volta a un concerto dell'orchestra Verdi, nell'auditorium di Largo Mahler, lo scorso sei dicembre. Il gusto della scoperta si sposava con un senso di familiarità, come in un'antica confidenza, che mi aveva già fatto pensare all'opportunità di consacrare qualche riga, oltre che alla recensione della serata [qui], a questo luogo milanese dove la musica sembra sorridere.

Mi sarebbe piaciuto farlo in una situazione migliore, non ora, quando forse sarebbe il caso di sciorinare dati a dimostrazione della qualità, della produttività, dell'amministrazione virtuosa. Con numeri e legislazione non sono brava come Giuseppe Guggino, quindi lascio ad altri questo tipo di pur necessarie considerazioni.

Preferisco dire di aver toccato con mano tutto il bene che mi avevano riferito sulla Verdi. Contattando lo staff ho incontrato un ufficio stampa rapidissimo e cortese nelle risposte, efficiente con estrema semplicità. Ho visto maschere sorridenti e professionali, un clima disteso e piacevolissimo che sembra un tutt'uno con un auditorium ricavato da un ex cinema e integrato nell'urbanistica (in una zona, rara avis, ricca perfino di posteggi gratuiti) quasi come un normale condominio, dall'aria di spazio domestico ampio, luminoso e tuttavia intimo nel quale si apre un'ospitale casa della musica, con tutti gli ambienti necessari. Fa piacere vedere come questa casa possa essere vissuta, con un bar che è quasi un ristorante e propone un ricco aperitivo pre concerto, i cui piacevoli effluvi non disturbano anche quando, eventualmente, lambiscono le narici ancora durante l'ascolto. L'idea, è chiaro, è quella di uno spazio culturale d'ampio respiro, uno spazio da vivere sotto molteplici aspetti così come nei più avanzati palazzi della musica internazionali. La realizzazione non è pretenziosa, né ambisce alla perfezione, al glamour di gastronomi o archistar; c'è, è vero, in vendita qualche prodotto dolciario di lusso, ma accanto a Cd a prezzo stracciato, in un'atmosfera sempre accogliente. Anche se nell'intervallo dovessi trovare il bar un po' più sguarnito non resti deluso, ma sorridi pensando che devono aver fatto buoni affari prima del concerto e continui a passeggiare piacevolmente fra i foyer. La sensazione è sempre di condivisione; non dobbiamo essere impettiti e intimoriti di fronte a un sacrario, non ci sono blasoni da onorare o contestare. Perfino le fazioni che si danno battaglia sul web e nei loggioni, quando si parla della Verdi trovano sempre accordi consonanti, anche nel caso di pareri divergenti. Perché in Largo Mahler si fa musica con un sorriso. Il centro, il cuore, è sempre e solo la musica.

Si sfogliano le centododici pagine fitte fitte del programma stagionale e si comprende bene come sia la sostanza a contare più del luccichio dell'apparenza, ma anche come quel clima disteso e collaborativo permetta una vitalità ben degna delle grandi istituzioni internazionali.

Si fa musica barocca, si commissionano partiture a compositori contemporanei, si tributa il giusto spazio ai colossi del grande repertorio, si propone il meno consueto, non si storce il naso di fronte alla musica vocale e all'opera in forma di concerto. Si fa divulgazione, si dedicano eventi alle famiglie e alle scuole. Il parterre artistico, fra bacchette e solisti virtuosi della voce o dello strumento, è notevole. L'evidenza è stata di recente confermata ufficialmente: La Verdi è l'orchestra più produttiva d'Europa. È, quindi, o dovrebbe essere un valore irrinunciabile. È un autentico centro culturale, dal cui terreno è fiorito – e non è merito da poco – il talento di un direttore come Jader Bignamini.

Con La Verdi accanto alla Scala in prima fila nella sua proposta musicale, Milano potrebbe ben vantare appieno un profilo intellettuale internazionale. Potrebbe annoverarsi fra le capitali che normalmente ospitano almeno un teatro d'opera e almeno un'istituzione concertistica (in Italia avremmo anche a Roma l'Opera e Santa Cecilia, a Torino il Regio e l'Orchestra Rai, per esempio). Dovrebbe essere nell'ordine delle cose valorizzare una realtà come questa; e con la crisi dovrebbe essere logico ricalibrare la definizione delle risorse tutelando chi lo merita.

La Verdi lo merita. Dopo essere stata in largo Mahler e aver visto e udito personalmente cosa sia, in tutti i suoi aspetti, l'orchestra fondata nel '92 da Vladimir Delman (di cui corre il ventennale dalla scomparsa) mi pare incredibile constatare che si trovi ancora una volta a rischio la sua attività. Sembra che regolarmente le istituzioni si dimentichino di lei, forse perché fa molto ma senza proclami, senza rumore, senza guai?

Da lombarda mi chiedo come sia possibile riuscire a dimenticare le nostre risorse artistiche, archeologiche, storiche e naturalistiche per farci credere grigi sacerdoti del cemento, della finanza e dell'industria. Costruiamo e parliamo tanto intorno all'Expo, creiamo polemiche sull'esposizione o meno di opere provenienti da altre città, e lasciamo che l'Orchestra Verdi di Milano si trovi sull'orlo del baratro senza che mai si sia parlato di sue colpe amministrative, ma solo di sue virtù artistiche?

Io non firmo mai petizioni, è uno strumento che trovo inflazionato e spesso svuotato di significato. Questa volta l'ho fatto.