A proposito del Turco in Italia

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento del maestro Bruno De Simone a proposito del Turco in Italia trasmesso dal Teatro di San Carlo [leggi la recensione:Streaming da Napoli, Il turco in Italia, 19/03/2021] e rimaniamo sempre a disposizione per repliche e contraddittori.

Sono trascorsi poco più di tre anni dalla scomparsa di Alberto Zedda e poco più da quella di Philip Gosset, cioè la “Cassazione” di ogni disputa o dubbio in campo rossiniano: purtroppo i tempi della Renaissance rossiniana sono lontani ma si era più che legittimati a pensare che il rispetto unito al buon senso avrebbero potuto proteggere sine die i capolavori del cigno pesarese da ogni possibile scellerata contaminazione o inaccettabile stravaganza che ne avessero mutato i connotati.

Senza alcuna autoreferenzialità di intenti, tendenza sempre più praticata in tempi pandemici, mi viene spontaneo il ricordo di quando appena tre anni fa ero Don Bartolo nel cast de “Il barbiere di Siviglia”, per l'inaugurazione del Gran Théatre de Genève, con la regia affidata ad un inglese... di Londra, che dopo ben 15 giorni di prove, ci rese partecipi della sua intenzione di eseguire tutta l'opera senza alcun recitativo: alle mie ovvie richieste di spiegazioni, egli rispose che i recitativi erano noiosi ed il pubblico aspetta solo i momenti musicali, per sentire le voci. Che il regista in questione non conoscesse nemmeno una parola di italiano era solo un aggravante per chi, con imperdonabile imprudenza, lo avesse scelto; ma il problema era amplificato dal fatto che nemmeno il direttore, tra l'altro ottimo musicista, fosse in grado di comprendere il significato delle parole del libretto. Mi recai decisamente, accompagnato da un altro collega, unico altro italiano presente nel cast, in sovrintendenza ad esporre il mio legittimo sdegno, minacciando di lasciare la produzione che, tra l'altro, sarebbe andata in streaming: vinsi... ma a vincere furono forse il buon senso ed il rispetto per ciò che si fosse deciso di eseguire.

Che nel 2021, in Italia, a Napoli il cui glorioso Teatro San Carlo Rossini amava molto - come il massimo esperto del compositore, Sergio Ragni, ci insegna - si proponga “Il Turco in Italia” senza alcun recitativo è cosa che allo sdegno deve far seguire delle riflessioni. Le fa volentieri il sottoscritto, cui è stato conferito uno degli ultimi “Rossini d'oro” nel 2007 per le numerose frequentazioni avute: ben sedici ruoli cantati nelle varie opere.

Già ben prima della Renaissance succitata degli anni '70, era acclarato che il corpo dei recitativi secchi contenuti in tutto il '700 operistico come nell'800 costituissero parte essenziale ed ancor più inscindibile dai numeri musicali: essi sono la colonna portante dell'azione drammatica dell'opera senza i quali la comprensibilità della vicenda verrebbe a mancare, amputando così l'intera produzione della sua peculiarità essenziale. Il libretto del Turco, poi, è stato concepito da uno dei più grandi letterati e librettisti dell'epoca, Felice Romani; e ciò a prescindere dalla realizzazione musicale dei recitativi che sappiamo essere stati affidati da Rossini, come era d'uso, ai suoi allievi più rodati e collaudati, salvo approvazione finale del maestro.

Aver cassato nella produzione sancarliana completamente tutti i recitativi costituisce uno scempio, non solo culturale, ma anche istituzionale. L'insensibilità dimostrata da parte dei responsabili, ivi compreso il direttore, è tutta a danno del glorioso e blasonato marchio del Teatro San Carlo, dal momento che si sarebbe anche optato di trasmettere in streaming (meglio forse definirlo... streaminziting) tale infelice produzione: che messaggio si dà a tutti fruitori ed addetti al comparto, nell'esternare una nefandezza sottoculturale del genere? Addirittura si va a divulgare ennesima prova del progressivo imbarbarimento cui è sottoposta la nostra cultura, diffondendo gli evidenti e marchiani errori che stanno facendo progressivamente perdere di credibilità il nostro comparto, fornendo pessimi esempi alle giovani generazioni di validi musicisti che rischiano di vedere nella pandemia una sorta di esaltatore di stupidità ed ignoranza cui consegue l'arroganza di chi tenti di convalidare le proprie scelte.

Ancor più irrispettoso appare l'infelice scelta se si tiene conto dell'apporto vitale che il regista Roberto De Simone ha fornito nell'approfondimento e studio artigianale del recitativo in tutti i suoi aspetti, nel corso delle innumerevoli produzioni sancarliane, e non, cui il sottoscritto ha preso parte, ivi compresa quella storica de “Lu frate 'nnammorato” del Teatro alla Scala, con tutto il libretto in vernacolo...pas par hasard!

Tutto ciò accade perché mancano validi controlli di esperti e competenti nelle strutture produttive che possano far da argine e porre limiti a tali scelte vergognose. E non è da meno lo sdegno e lo scoramento che assalgono laddove si pensi agli artisti, sottoposti a tali insulti alla loro professionalità e dignità. Siamo lavoratori autonomi, ma quando andiamo a perfezionare un impegno con la nostra firma, si deve tener conto dell'oggetto specificato della nostra prestazione: se sono chiamato per eseguire un ruolo di un'opera, ho il sacrosanto diritto di sapere se questa sia soggetta ad amputazioni o revisioni dell'ultima ora. Se parliamo del “Turco”, io ho sostenuto due ruoli, Prosdocimo e Don Geronio, e so bene che il povero Poeta vive con e nei recitativi dell'opera, avendo solo due interventi cantati in tre numeri musicali. Ecco allora che un artista, costretto a ricoprire questo ruolo in tale contesto, deve subire frustrazione ingiustificata e irrispettosa del proprio impegno.

Ad aggravare l’infelice situazione, ci si dimentica (o almeno, si spera) che tutta la vicenda rossiniana sarebbe ambientata proprio nel capoluogo campano: ancor più destano legittime perplessità i pallidi dissensi espressi in loco in merito a una questione sulla quale Paolo Isotta avrebbe certo lanciato i propri dotti strali. Alla base di tutto, resta la situazione finanziaria gravemente pregiudizievole delle Fondazioni lirico sinfoniche, che accusano un debito consolidato di oltre 500 milioni di euro, a conferma del fallimento totale della conversione, illo tempore, da enti lirici a figure di diritto privato: la riforma del settore ormai è diventata imperativa per tornare alla gestione statale di istituzioni culturali che meritano di essere condotte e dirette da elementi scelti da bandi appositi, con oculate valutazioni sugli operati dei vari candidati ai vertici. Se “Il Turco in Italia” in questione andrà in streaming sarà una divulgazione almeno improvvida e irresponsabile da parte di tutti i dirigenti del nostro Massimo, che daranno un'immagine di sé, e quindi del teatro, certo non edificante.

Europa Unita, certo. Ma occorre essere anche Uniti nella difesa della Cultura, con uguale sensibilità e rispetto!