La luna e Raffaello

di Roberta Pedrotti

Dopo la corsa a ostacoli determinata dall'evoluzione della pandemia, è giunta alla meta, con ingressi gratuiti nelle ultime settimane, il 19 febbraio la mostra Raffaello. L'invenzione del divino pittore. Inserita in un calendario regionale dedicato all'artista di Urbino nello sfortunato cinquecentenario dalla morte, l'esposizione bresciana offre uno sguardo illuminante sulla storia del mito di Raffaello, sulla ricezione e interpretazione della sua opera, ma anche dell'arte in assoluto. 

“La lune ressemble à la lune, c’est tout...” La luna non è nient’altro che la luna, sentenzia Herodias nella Salomé di Wilde (“der Mond ist wie der Mond, das ist alles” per Strauss), spazientita dopo che, di volta in volta, di bocca in bocca, il nostro satellite era parso a chi “una donna morta”, a chi “una principessa danzante”, una “piccola moneta”, una “vergine”, una “donna nuda e isterica”. La luna è la luna, ma non è la stessa per tutti.

Nemmeno Raffaello è lo stesso per tutti. Senz’altro, quando si parla di arti performative, distinguere l’oggetto dalla sua interpretazione, almeno per sommi capi, è più semplice: il drammaturgo, il poeta, il compositore lascia note e parole che poi dovranno essere cantate, suonate, agite su una scena da altre persone. Il pittore o lo scultore sembra che ci lascino un prodotto finito, ma davvero la luna non è che la luna o è solo più difficile distinguere oggetto e medium, guardare con occhi diversi dai nostri un dipinto o una statua?

La mostra Raffaello. L'invenzione del divino pittore in Santa Giulia a Brescia non raccoglie direttamente opere dell’Urbinate - per le quali, senza uscire dal centro, basterà spostarsi alla Pinacoteca Tosio Martinengo per trovare il Cristo redentore, un Angelo giovanile e una pregevole versione della Madonna dei garofani. Si tratta quasi esclusivamente di incisioni realizzate fra il XVI e il XIX, a partire dalle copie effettuate proprio nella bottega di Raffaello quando l’artista era ancora in vita.

Per gli esperti e i cultori si tratta anche di un’interessantissima rassegna nell’evoluzione delle tecniche e negli stili d’incisione, illustrata anche nelle tavole a disposizione dei visitatori e nell’audioguida. Alcune sale con fogli incorniciati alle pareti, però, non sono solo sale con fogli incorniciati alle pareti. Sono la storia di un sistema di creazione e riproduzione di immagini, sono la storia del mito di un pittore, di come la sua opera era conosciuta da chi non poteva vederla di persona e riprodotta per chi l’amava, di come veniva vista, di cosa colpiva l’attenzione. Sono, insomma, un percorso nella molteplicità dell’opera d’arte, nella sua riproduzione che ne rivela, o influenza, il mutare della percezione e dell’influenza nel tempo e nello spazio. Resta, peraltro, in evidenza anche l’unicità. Pensiamo solo a quante volte abbiamo visto - e abbiamo la possibilità di vedere solo con un click su google - La scuola di Atene, rivisitata o fotografata. Anche senza essere stati nei musei Vaticani si potrebbe dire di conoscerla a memoria, anzi: la sua immagine potrebbe persino essersi ormai usurata, come quella di tanti capolavori. Eppure, chiunque sia stato a Roma sa che quello che ci si trova davanti in quelle quattro Stanze non è minimamente paragonabile a quel che conoscevamo o credevamo di conoscere. Non c’è riproduzione che tenga, la luna è sempre la luna. Eppure, che la luna abbia mostrato volti diversi e che nei suoi crateri si siano viste forme differenti è ben rappresentato dalle variazioni - non sempre così sottili - fra le riproduzioni. Talora, ovviamente, si tratta soprattutto delle capacità del riproduttore e delle caratteristiche tecniche, ma non se ne può fare solo una questione meccanica: al netto delle doti individuali, la stessa tecnica si sviluppa in funzione dello scopo, dello stile, dell’idea che si ha dell’opera e della sua interpretazione. E viceversa, gusto, stile, immaginario sono influenzati dalla tecnica. Pensiamo, per esempio, all’acquaforte di Giovanni Volpato (1735-1803) tratta dall’Incendio di borgo, che pare una copia pedissequa, ma in realtà ingentilisce in maniera evidente i corpi nerboruti per ricondurre l’affresco a un’idea più raffaellesca dello stesso Raffaello. È chiaro che la sensibilità settecentesca costituisca un filtro, seppure inconsapevole, e non potremo negare che, allora, anche la sensibilità del ventunesimo secolo possa farci guardare con altri occhi quello stesso intonaco dipinto. Abbiamo, d’altra parte, la medesima sensazione a pochi passi da Santa Giulia, nel Tempio Capitolino. Guardiamo la Vittoria Alata restaurata nel nuovo allestimento, ricordiamo la Vittoria Alata di qualche lustro fa, osserviamo le incisioni realizzate nel 1836, poco dopo la scoperta, e sembra di vedere il disegno di una dea marmorea di Canova o Prassitele. [Brescia, il ritorno della Vittoria Alata]

Anche la scelta dei soggetti cambia e racconta quale Raffaello, quale faccia della luna, si considerasse più importante. Fra Sei e Settecento, per esempio, godono di buona fortuna, oltre ai grandi affreschi vaticani e a soggetti sacri di respiro epico, le scene mitologiche e le decorazioni a grottesca ispirate agli arazzi. Solo alla fine del XVIII si affaccia la Madonna della seggiola, e con essa la pittura da cavalletto di carattere più intimo. Nasce anche un’iconografia tuttora fortunata e madre incolpevole di parecchio kitsch commerciale: vediamo un Cristo redentore trasformarsi in santino, perdere la composizione per ridursi a un volto incorniciato. Le stampe in serie cui rivolgere le preghierine serali o i segnalibri con gli angioletti non sono lontani, ma forse la loro storia è più lunga di quanto siamo abituati a immaginare, arte e mercato si intrecciano davvero più di quel che si pensi di solito. 

Un altro percorso, infatti, è quello che segue le motivazioni di queste copie e va anch’essa di pari passo con il mito e la storia delle ricezione di Raffaello. Le prime vengono dalla sua stessa bottega, dove le incisioni andavano perfino a documentare fasi intermedie del lavoro, bozze o varianti poi cambiate in corso d’opera. Segno che, sì, l’Urbinate voleva documentare il suo modus operandi e alcune soluzioni poi non sviluppate in via definitiva, ma anche che intorno alla bottega c’era un interesse che andava al di là del singolo dipinto finito. C’è già a Brescia, l’abbiamo accennato, una Madonna dei garofani ad attestare come fin da subito nella stessa bottega, vivente l’artista o negli anni d’attività subito seguenti alla sua morte, si predisponessero copie “originali”, versioni doc per un pubblico ansioso di possedere un Raffaello. Dunque, l’opera unica nasce già, paradossalmente, con la prospettiva di versioni e riproduzioni. Poi, il lavoro di incisori e stampatori farà quello che hanno fatto e fanno vicino a noi fotografi, cartoline, siti web, cataloghi e libri d’arte: ci portano in casa, sempre a portata di mano, un’arte fisicamente lontana, talora addirittura mai raggiunta. Poi, sarà anche esercizio, studio, come quello sollecitato dal mecenate bresciano Paolo Tosio (1775-1842), che mantenne a Roma giovani artisti internazionali per copiare da vicino l’opera dell’amato Raffaello. Uno di questi, il sassone Ludwig Grüner (1801-1882), diventerà poi art advisor della Regina Vittoria e del Principe Alberto. Il gusto che stimola l’azione del mecenate e l’emulazione delle nuove generazioni è da questi alimentato e indirizzato. Ancora circoli, ancora scambi vicendevoli, ancora sguardi che nel tempo cercano e trovano nella luna luci, ombre e forme diverse. Il mito stesso di Raffaello, per esempio, diventa intanto romantico, si fantastica sulla storia d’amore con la Fornarina, sul fascino del genio purissimo morto a trentasette anni. Rapito giovane dagli dei un po’ come Mozart, Chopin o Bellini, alla stessa età in cui Rossini lascia il teatro: fra le incisioni ottocentesche è difficile non pensare a Stendhal, al suo amore per il pittore paragonato a Cimarosa e al compositore del Tancredi, alla sua idea di classica bellezza che, ancora una volta, della luna coglieva un aspetto, quello che i suoi occhi cercavano.

Forse questo Raffaello, giovane, attraente, dalla pennellata pura e luminosa è quello a cui finiamo per affezionarci ancora noi, ma Raffaello è stato anche neoclassico, rococò, barocco, manierista, maestoso e lezioso, a seconda delle mani che lo riproducevano, degli occhi che lo guardavano, delle voci che lo raccontavano. La sua opera è unica, ma lui stesso organizzava la riproduzione dei suoi lavori o la documentazione di fasi e varianti. è di moda, perfetto per il marketing, ma continua a esserlo e non perde il suo valore assoluto, mentre la sua opera si irradia per vie diverse (e Brescia è fra questi centri di raccolta e diffusione) fra collezionisti, mecenati, emuli più o meno creativi. 

Forse, semplicemente, dovremmo un po’ sfumare la nostra distinzione fra arte performativa e non performativa, soprattutto ora in cui lo spettacolo dal vivo è sospeso dietro a uno schermo e i musei aprono a singhiozzo, senza poter dar nulla per scontato. E, se già a volte risulta difficile capire che la musica e il teatro si rinnovano continuamente nell’immanente, necessitando della mediazione di un interprete, ancor più forse sarebbe opportuno valutare l'importanza della storia critica e della ricezione di ogni arte, per dire che anche quando abbiamo un oggetto finito, un dipinto o una statua, la luna può restar sempre la luna, ma potrà anche essere “una donna morta”, a chi “una principessa danzante”, una “piccola moneta”, una “vergine”, una “donna nuda e isterica”. 

1 Raffaello Morghen Madonna con il Bambino (Madonna della seggiola), 1793 circa Acquaforte e bulino; mm 419x360 Brescia, Musei Civici, Gabinetto Disegni e Stampe
2 Marcantonio Raimondi Giudizio di Paride, 1513-1515 circa Bulino; mm 296x439 Brescia, Musei Civici, Gabinetto Disegni e Stampe
3 Giovanni Volpato La Scuola di Atene, 1775-1779 circa Su disegno di Giuseppe Cades (Roma 1750-1799) Acquaforte e bulino; impronta mm 570 x 745 Brescia, Musei Civici, Gabinetto Disegni e Stampe
4 Giovanni Volpato Bordura dell’arazzo con le tre Parche, 1775 Su disegno di Ludovico Tesio Acquaforte; impronta mm 1095x480 Brescia, Musei Civici, Gabinetto Disegni e Stampe
5 Nicolas Dorigny Mercurio, dalla serie Psyches et Amoris Nuptiae ac Fabula, Acquaforte e bulino, 1693 Brescia, Musei Civici, Gabinetto Disegni e Stampe
6 Felice Schiavoni Raffaello che ritrae la Fornarina, 1834 Olio su tavola; cm 69,8 x 52,8 Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
7 Giuseppe Bezzuoli Scuola di Atene, 1819 Olio su tela; cm 167 x 227 Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
8 Giovanni Carnovali, detto il Piccio Redentore, 1829 Matita su carta bianca; mm 421 x 284 Brescia, Musei Civici, Gabinetto Disegni e Stampe
9 Brescia, Fondazione Brescia Musei, Museo di Santa Giulia
10 Brescia, Fondazione Brescia Musei, Museo di Santa Giulia
11 Brescia, Fondazione Brescia Musei, Pinacoteca Tosio Martinengo
12 Raffaello Sanzio Angelo, 1500-1501 Olio su tavola, trasferito su tela, cm 31 x 26,5 Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
13 Raffaello Sanzio Cristo redentore benedicente, 1505-1506 circa Olio su tavola, cm 31,5x25,5 Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo