Riflessi verdi

di Roberta Pedrotti

Al Festival Verdi si è affiancata anche nel 2021 la rassegna Verdi Off, con un programma ricco e variegato in cui eventuali polemiche non sono che parte del gioco di un teatro vivo nella società, non ridotto a una reliquia o un santino.

PARMA, settembre-ottobre 2021 - Due opere, un Requiem, concerti raffinati che hanno proposto inediti operistici, arie da camera, traiettorie nella drammaturgia della vocalità dall'ultimo al primo Verdi. Il Festival parmigiano, però, anche in una programmazione cauta di fronte all'evolversi della pandemia (che sarebbe in via di risoluzione se i soliti idioti ben manipolati non riusciranno nel loro intento di riportarci indietro), non si ferma qui. Ospita per esempio nel suo cartellone la consueta serata organizzata dal Club del 27, Fuoco di gioia, che quest'anno è l'occasione per insignire Raina Kabaivanska del “grado di cavalleressa” verdiana. Si affianca, soprattutto, al fittissimo calendario di Verdi Off. La rassegna ideata da Barbara Minghetti che da anni, ormai, anima le vie di Parma con eventi collaterali e nemmeno al tempo del covid si è arresa: meno assembramenti, prenotazioni e green pass obbligatori, ma tanta voglia di sperimentare in luoghi anche meno frequentati della città e dei dintorni – Busseto, ovviamente, compresa.

Si è cominciato quest'anno con un botto mediatico: la grafica del Verdi Off ha sempre puntato a colori squillanti, verde acido o rosa fluorescente, decisamente pop, su collage dal sapore vintage, fra vecchie cartoline e icone reinventate. E icona sia, dunque anche il faccione barbuto di Verdi con la tuba, che si incolla su un variopinto abito femminile ottocentesco. L'immagine servirebbe a presentare la Queer Night, nient'altro che una prova di Un ballo in maschera aperta agli under 30 con l'invito a vestirsi in totale libertà, mascherandosi o svelandosi, sbizzarrendosi (queer significa in origine proprio questo: bizzarro).. Naturalmente per qualcuno la serata e il suo manifesto sono uno scandalo, uno sfregio al santino delle vecchie mille lire che, probabilmente, il Verdi che disertava il Senato e sbuffava per le onorificenze non avrebbe tanto amato. Non sia mai, poi che qualcuno si senta leso nella propria virilità o femminilità (forse non troppo salde se basta così poco a minacciarle) dalla natura e dalla libertà altrui... Fatto sta che chi vuole andare alla Queer Night ci va e, a quanto pare, si diverte pure, le magliette con Verdi in gonna e frustino vanno a ruba, chi non apprezza borbotta e può voltarsi dall'altra parte.

Intanto Verdi Off prosegue e, fra le altre cose, ci regala – seppur per pochissimi spettatori – Black Aida, un racconto delle vicende dell'opera dal punto di vista della principessa etiope. Uno spettacolo pensato per i bambini, ma tanto ben fatto da essere godibile per ogni età, com'è giusto che sia – mai sottovalutare i più piccoli! La splendida Bintou Outtara recita, canta e danza la sua storia di principessa resa schiava e innamorata del condottiero nemico, il soprano Fiammetta Tofoni porta le melodie e le parole di Verdi ora nel canto esotico e ipnotico della sacerdotessa, ora con le frasi sferzanti di Amneris, ora nella nostalgia di Aida stessa. Al polo opposto c'è il musicista Souleymane Diabate, che canta e si destreggia fra strumenti tradizionali africani, ma non ha mai accompagnato prima una voce lirica, Verdi non fa parte della sua formazione, non conosce la notazione occidentale. Però è bravissimo e la miscela è dirompente, con il soprano che si lancia in intonazioni (per noi) esotiche mentre le melodie di Aida rinascono con timbri e sonorità lontani. Non si può non essere incuriositi, poi coinvolti, infine affascinati, sia per il lavoro musicale (a cura di Gianfranco Stortoni) sia per quello drammaturgico (di Simone Guerro, anche regista con Filippo Ughi), che riesce a essere fiabesco e non banale, a risolvere con una bella metafora il finale tragico e a inserire temi come il rapporto fra guerra, povertà, ecologia senza appesantimenti didascalici. I bambini apprezzano rapiti (anche quelli di malavoglia trascinati via prima della fine da mamme impazienti), i grandi pure: spunti verdiani offrono occasioni per incontri inattesi.

Così, capita anche di curiosare fra performance di danza contemporanea in chiese sconsacrate sulle note dei Quattro pezzi sacri, o di fermarsi con un buon numero di altri passanti, sotto un bellissimo sole di primo autunno, ad ascoltare un soprano che intona “O fatidica foresta” da Giovanna d'Arco sui terrazzi del Teatro Regio.

E il Regio, infatti resta lì, due passi, con le sue due opere, il Requiem, i concerti. Intorno si sperimenta e si esplora, perché no, e si gioca. Non importa che tutto riesca bene: lo dice anche la saggezza popolare “chi non fa non falla” e a teatro si fa, si fa intorno al teatro, perché sia vivo e non sia solo un monumento, perché Verdi sia il grande artista che continua a pungolarci e non il santino delle vecchie mille lire.