L’aurora degli dei

di Michele Olivieri

Coreografi, ballerini, compositori, figure legate in vario modo al mondo della danza e ai Ballets russes ci raccontano la straordinaria esperienza della compagnia fondata da Sergej Pavlovič Djagilev.

A distanza di decenni tutto ciò che riguarda i Ballets Russes e il suo fondatore Sergej Pavlovič Djagilev sono costantemente motivo di interesse, di scoperta, di studio, di ricerca, e di fascino inalterato nel tempo.

Un’impresa che ancora oggi appare straordinaria, resa possibile dall’impresario teatrale russo nonché organizzatore e direttore artistico di spettacoli di danza, ma anche di altre figure di spicco che hanno inciso il loro talento nella storia come Anna Pavlova, Coco Chanel, Ida Rubinštejn, Vaclav Fomič Nižinskij, Pablo Picasso, Tamara Karsavina, Nikolaj Rimskij-Korsakov e Igor’ Stravinskij, passando da luoghi iconici quali Montecarlo (sede di residenza della Compagnia dal 1911), San Pietroburgo, Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, New York e ai teatri più prestigiosi che il balletto ci ha potuto offrire, compreso il Teatro dell’Opera di Roma, a più riprese presso il Teatro alla Scala e il glorioso Teatro Lirico di Milano, da poco ritornato all’antico splendore quale luogo di cultura meneghino. Numerosi i nomi che hanno composto i Ballets Russes, alcuni pochi noti al grande pubblico, ma ognuno in piccola o grande misura ha contribuito a dare lustro alla compagnia e al mito. Nessuno come Djagilev è stato in grado di portare una ventata d’aria fresca in un momento in cui l’arte coreutica annaspava, ponendo sul gradino più alto la danza nella cultura e nella società, evidenziando altresì quel concetto di “teatro totale” dove la collaborazione tra le arti è apparsa raffinata nella sua arditezza e senza dubbio rivoluzionaria.

Analizzando i Ballets Russes quale fenomeno irripetibile dell’inizio del XX secolo, non solo sul versante tersicoreo ma soprattutto su quello puramente teatrale ed estetico, si ha una visione privilegiata a ridotto delle correnti artistiche caratterizzate da un programma di rottura e rinnovamento.

Sergei Djagilev ha speso la propria vita, tra ombre e luci, fondendo quei movimenti all’avanguardia, spaziando e allargando a dismisura il possibile nell’arte come concetto fondato sulla bellezza, dando colore e forma laddove ne era priva, superando così antichi confini, riuscendo a colmare la discrepanza tra i differenti generi figurativi ed astratti, scandagliando un rifiorire culturale al punto da influenzarci ancora ai giorni nostri.

Nel pensiero di Djagilev troviamo ciò che di meglio è stato creato in epoca moderna, spaziando in vari ambiti, tra cui scenografie e costumi, grafica, storie intime e personali mescolate al pubblico, senza tralasciare l’aspetto mondano e glamour che ha fornito lustro allo stile, alla moda, all’interior design, e ai complessi decorativi.

Come dimenticare Balanchine, Bakst, Benois, Matisse, Derain, Satie, Debussy e Ravel, ma anche Braque, Bilibin, Kandinsky, Larionov, De Chirico, Depero, Utrillo, Čeličev, Gončarova, Poulenc, Prokof’ev, Respighi? E poi Bronislava Nižinskaja, Anna Pavlova, Matil’da Kšesinskaja, Tamara Karsavina, Alicia Markova, Lydia Lopokova, Ruth Page, Enrico Cecchetti, Serge Lifar, Anton Dolin, Ida Rubinstein, Adolph Bolm, Michel Fokine, Aleksandra Danilova, Leonide Massine, Ol’ga Aleksandrovna Spesivceva, Carlotta Brianza e l’iconico Vaclav Fomič Nižinskij, considerato il “dio della Danza” e sicuramente la figura più popolare e carismatica nella storia dei Ballets Russes.

Basti pensare che le vite di questi leggendari protagonisti hanno ispirato in seguito nuove creazioni, opere letterarie, dipinti, sculture, film, mostre, pubblicazioni e più di tutti Nižinskij con la sua eccellenza, ma anche con la sua follia nei chiaroscuri di Djagilev, e nei tormenti della vita che gli hanno indicato una condizione interiore identificativa di una totale mancanza di adattamento nei confronti della società.

Un modo di essere che è diventato invocazione, racchiudendo i pensieri e i deliri di uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi, il cuore e l’anima dei Ballets Russes, ricordando l’ultima sua esibizione, avvenuta il 19 gennaio del 1919 presso la Sala da Ballo del Grand Hotel Suvretta House di St. Moritz, in Svizzera, lasciando intraprendere un elegiaco viaggio sulle vestigia amorose e dolorose di quella conclusiva apparizione. Capace di immergerci nella sua visione artistica ed umana, nel suo essere eccentrico seppur venato da fragilità.

Partiture e manufatti immortali per altrettanti immortali balletti come Les Sylphides, L’uccello di fuoco, Petruška, Pulcinella che diedero inizio al periodo neoclassico, e lo scandaloso Sacre du Printemps ma tanti e altri sono i titoli passati alla storia grazie all’intuito di Djagilev. Creazioni attualmente in scena e in repertorio nelle maggiori compagnie di balletto. Basti pensare a Carnaval, Schéhérazade, Le Spectre de la rose, L’après-midi d’un faune, Parade, Daphnis et Chloé, Jeux, La Boutique fantasque, Les biches, Apollon musagète eccetera. Per mezzo di Djagilev l’universo occidentale si interessò alla cultura russa, influenzando moda, costume, fotografia e tendenze, a partire dai costumi, che ancora oggi sono il sinonimo ineccepibile di cosa sia la creatività tra volume e colore.

A testimonianza, si riportano di seguito alcune inedite testimonianze di personalità della cultura e dell’arte contemporanea, che in via amichevole hanno voluto documentare la floridezza dei Ballets Russes. Sottolineando le suggestioni esotiche che hanno influenzato lo stile Art Déco e il Fauvé, si rende omaggio altresì come Sergej Pavlovič Djagilev, uomo di vasta cultura, riuscì ad inseguire quell’ideale di coesione tra i talenti dall’abilità innata.

Infatti, l’impresario, insieme a Michel Fokine in qualità di coreografo e al grande Maestro Enrico Cecchetti come maître (divenuto noto in qualità di maestro di ballo al Mariinskij di San Pietroburgo, e su volere di Toscanini nel 1925 direttore della Scuola di ballo della Scala), realizzò per il Théâtre du Châtelet a Parigi i suoi primi quattro balletti (La Silphide, Cleopatre, Le Pavillon d’Armide, Prince Igor) dando inizio ad un’avventura senza eguali, molto simile ad un romanzo

Si può affermare, senza tema di smentite, che su tutti l’autentica star dei Ballets Russes fu proprio Djagilev, in un vortice infinito che non smette di meravigliare.

TESTIMONIANZE INEDITE

DONATELLA BRUNAZZI, direttrice del Museo Teatrale alla Scala Fin dai miei primi passi nel Museo Teatrale alla Scala, nel fare conoscenza con i tanti personaggi che hanno fatto la storia della Scala, della musica e della danza qui ospitati, fui attratta da una forza magnetica che mi condusse dritta in un angolo della “sala busti “dove sono radunati i più grandi artisti del Novecento. Qui una testa di marmo niveo sprigionava una straordinaria vitalità quasi selvaggia. Rimasi rapita da questo volto silenzioso e austero, da quello sguardo dal taglio orientale, cieco e profondo, pieno di chissà quali visioni. Scoprì che si trattava del busto – probabilmente l’unico esistente – di Vaslav Nižinskij, l’inarrivabile ballerino che scosse dalle fondamenta il mondo della danza con la potenza espressiva del suo linguaggio coreografico – qui immortalato da Una Troubridge, scultrice britannica, nel ruolo del protagonista dell’Après-midi d’un faune. In questo busto, che ancora oggi mi soffermo spesso ad ammirare, si trova evocata tutta la leggenda dei Ballets Russes, quella apparizione bruciante e fugace che avrebbe segnato una svolta nel gusto e l’irruzione del moderno nell’arte della danza. Grazie al genio visionario di Sergej Djagilev, furono la prima compagnia di balletto a raccogliere attorno a sé artisti delle più varie discipline, scegliendo giovani debuttanti tra i compositori, gli artisti visivi, i pittori, i poeti e gli intellettuali che sarebbero poi divenuti i più grandi artisti del Novecento, come Stravinskij, Debussy, Picasso, Cocteau ma anche grandi ballerini come appunto, Vaslav Nižinskij, e coreografi come Mikhail Fokin, lo stesso Nižinskij, Léonide Massine e George Balanchine, autori di capolavori come L’Uccello di fuoco, Petruška, La sagra della primavera, Parade, Apollon Musagète, tuttora vivi nei repertori dei maggiori teatri, sia come balletti sia nella mera esecuzione sinfonica. La Scala, all’epoca del passaggio di questo vero e proprio fuoco d’artificio, non rimase certo a guardare e ne ospitò a più riprese numerose produzioni. Ed è stato inevitabile che, in occasione del Centenario dei Ballets Russes nel 2009, il Museo Teatrale li celebrasse con una memorabile mostra intitolata Les Ballets Russes alla Scala, Milano anni Venti, a cura di Toni Candeloro e Marinella Guatterini. Tra i molti oggetti esposti in quell’occasione – costumi, cimeli – ancora un altro segno di Nižinskij: un rarissimo bigliettino da visita del 1944, in cui sul retro compare la sua firma un po’ deformata ma singolarmente estesa. La singolarità sta nel fatto che Nižinskij, forse anche a seguito dei suoi molti anni di abisso mentale che lo portarono a lunghe reclusioni in istituti di cura, si era sempre rifiutato di rilasciare autografi, firmandosi, di solito, al massimo con una semplice “N”. Invece nel biglietto custodito negli Archivi del Museo Teatrale alla Scala la firma appare, ed è probabilmente l’unica in circolazione, in forma completa. Ancora oggi, i Ballets Russes, che furono principalmente un crogiolo di arti dello spettacolo come pochi altri, ci ricordano come dovrebbe essere ogni luogo della cultura: un’occasione di incontro tra diverse competenze e professionalità, artistiche e scientifiche, dinamico e sempre per vocazione sperimentale, a beneficio del pubblico e delle varie culture di cui è portatore. Cogliendone lo spirito più profondo: conservare perché nulla vada perso e raccontare perché nulla vada dimenticato.

ALESSANDRA CELENTANO, coreografa – I Ballets Russes, sinonimo di evoluzione e rinnovamento. Sergej Pavlovič Djagilev, genio innovatore delle arti in genere e della danza in particolare, è stato in grado di segnare un’epoca insostituibile ed irripetibile, tracciando, attraverso nuovi linguaggi, l’evoluzione della danza. Il passato fa parte del presente ed il presente fa parte del passato, è imprescindibile!

ANDREA COSTANZO MARTINI, coreografo – Nella mia recente creazione di un trio interpretato da Carmel Ben Asher, Avidan Ben Giat e me stesso ho voluto offrire al pubblico uno sguardo in un mondo unico dove bellezza, delicatezza, virtuosismo, forza, umorismo e grottesco possono coesistere. Il punto di partenza di questa creazione è l’immagine di Petruška e dei burattini in movimento animando il suo mondo. Petruška nella danza evoca un passato di esplorazione e ricerca innovativa del movimento a differenza di tutto ciò che è mai successo prima. Espressionismo estremo, musica che frena il suolo, creatività, capacità di guardare fuori dagli schemi e di interrogarsi su strutture e valori esistenti. Petruška nell’immaginario collettivo porta tutto questo, insieme ad un profondo senso di ‘nostalgia’ per un periodo che un tempo era grandioso e ora è passato, come una bambola costosa lasciata in un angolo da coprire dalla polvere del tempo. Trovo affascinante come questi due aspetti (il vecchio e il nuovo) possano convivere in un unico personaggio e come, a causa della tensione tra di loro, portano un senso di mistero. Dopotutto, la storia di Petruška era già vecchia di secoli quando il pezzo originale è stato presentato in anteprima in 1911, ma fu rappresentato in maniera del tutto innovativa anche per l’epoca. Nella mia ricerca vorrei spingere verso uno scontro estremo tra questo vecchio approccio a linguaggio del movimento e un suo nuovo uso. In “Les Ballets Russes” spesso si usavano gesti, pantomime ed espressioni facciali estreme creare una storia. Cosa possiamo fare oggi con quegli elementi? Cosa succede se li ricomponiamo in modo astratto, o se li organizziamo in una nuova narrazione più in contatto con valori e temi cari al nostro tempo. Credo che il nuovo significato sia sempre un riorganizzazione di precedenti strutture esistenti che non ci servono più. Oltre a tutto ciò, la natura stessa di questo personaggio è estremamente affascinante dal punto di vista fisico prospettiva. Petruška e i suoi compagni sono, dopo tutto, burattini. Una creatura grottesca ma amabile. La materia morta si comporta da umana. Un corpo senz’anima ma capace di esprimere sentimenti, come una maschera. Sotto l’apparente semplicità, questo è un concetto intrigante. Cosa rende vivo qualcosa e cosa ci permette di riconoscerlo o di ingannare la nostra percezione? La danza può esplorare questo territorio. Possiamo essere vuoti eppure espressivi? La forma è sufficiente per trasmettere una sensazione o abbiamo bisogno di effettivi? contenuto...non può bastare il contenitore? Esteticamente sto pianificando un palcoscenico molto vuoto, senza decorazioni lussuose per portare l’attenzione al dettaglio della coreografia e alla complessità dei gesti. Tre corpi vuoti che cercano di scoprire sentimenti, emozioni e il loro significato, e come quelli interagiscono tra loro. Voglio cercare uno stato d’animo di Petruška per vedere fino a che punto possiamo portarlo nel ritmo, nel passione, nella musicalità, nell’assurdo. Può questa fisicità quasi grottesca essere usata in modi alternativi non solo per creare un effetto wow? ma per raccontare qualcosa sull’emozione umana? Quanto “reale” si nasconde dietro una maschera vuota? Il vuoto di uno sguardo vuoto può rivelare qualcosa di noi?

FABRIZIO FAVALE, coreografo – Per parlare dei “Balletti Russi” proverò a prenderla da lontano, dalla danza americana (territorio che sento più vicino, forse per via della mia formazione come danzatore). E per raccontare una storia mi piacerebbe utilizzare qui la tecnica del disegno. Proverei dunque a tracciare una specie di parabola ellittica, come di rapidissimo asteroide che, partendo dagli Stati Uniti, tocca la Russia all’apice della sua curvatura e, passando per Parigi, ritorna negli Stati Uniti. Questa linea ellittica, questa virgola geografica, o meglio sarebbe dire questo ghirigoro che attraversa gli oceani andata e ritorno, potrebbe essere letto come il tracciato che la danza ha percorso togliendosi gli abiti di dosso per diventare finalmente quello che è: solo danza. Farei partire questa corsa dal lavoro di una danzatrice di nome Loïe Fuller e la farei concludere con il lavoro di un’altra danzatrice di nome Trisha Brown. Nel 1891 da qualche parte nei cieli americani transitò una cometa, e subito l’anno dopo si soffermò nei cieli sopra Folies Bergère a Parigi. Era la Serpentine Dance, una danza “scoperta” quasi accidentalmente dall’attrice e danzatrice Loïe Fuller. Una danza senza soggetto, astratta, dove corpo, enormi drappi di seta e luce si fondevano in un unico, inedito, alieno “nuovo corpo”. Un “alieno” quindi apriva una prospettiva di grande cambiamento, e forse da quell’esatto momento in poi molti coreografi e danzatori in tutto il mondo, si sintonizzarono con l’intuizione che la danza fosse un’arte indipendente da tutte le altre. Di lì a una ventina d’anni qualcosa di grande sarebbe germogliato anche in Russia. Siamo nel 1909... Ora non può non saltare all’occhio l’eterno confronto fra America e Russia... confronto che diventa più intenso quando si tratta di primati da stabilire. Ad ogni modo Parigi la possiamo immaginare come la zona franca, per così dire, di questo dialogo (città per eccellenza aperta al nuovo, eppure patria, assieme all’Italia, del balletto classico...). Ma mentre in America si avanzava come nella corrente d’un fiume, dove i punti di riferimento erano le personalità stesse dei coreografi e danzatori che portavano innovazione (da Isadora Duncan in poi), la Russia faceva le cose in grande e, reclutando il meglio di cui disponeva, scelse i migliori ballerini provenienti dai due teatri più importanti: il moscovita Bol’šoj e il pietroburghese Mariinskij, creando la compagnia dei Ballets Russes, una compagnia nomade ed esportabile. Partendo dal desiderio di divulgazione del tecnicismo classico e dell’arte russa, questa compagnia si apriva di fatto all’innovazione e al dialogo con tutte le arti del suo tempo. È in quegli anni che si iniziò a smontare e rimontare il linguaggio del balletto, in una serie infinita di incredibili variazioni e nuove invenzioni. Fu una specie di brillamento di stella dentro la storia della danza, immenso, e si sarebbe irraggiato in tutte le direzioni. Infiniti nuovi e stranissimi movimenti germogliavano ovunque sulle scene, come fosse una foresta tropicale in piena fioritura. Ma perché avvenne? Nessuno può dirlo con certezza. Eppure verrebbe da dire che un’energia immensa sarebbe stata liberata se la danza poteva essere pensata come arte a sé stante, indipendente da tutte le altre. Allora poteva essere sviluppata e articolata dentro e con la propria stessa materia, fatta di movimento. Questa intuizione iniziò a profilarsi con maggior chiarezza negli ultimi anni di vita di Djaghilev (e con lui dei Ballets Russes), con l’arrivo di George Balanchine e con Serge Lifar. E forse fu proprio Lifar a dichiarare per primo l’intento di rendere la danza un’arte a sé stante. O prima di lui l’aveva già messo in atto Isadora Duncan? Certamente sì. Già Sergej Djagilev e Michel Fokine la videro danzare in Russia qualche anno prima della fondazione dei Ballets Russes e certamente ne furono influenzati. Fatto sta che quella parabola d’asteroide già tornava indietro verso gli Stati Uniti (tra l’altro portandosi Balanchine con sé), abbandonando per sempre (?) la Russia. Già le grandi tecniche della danza moderna prendevano forma in America, e di lì a poco si sarebbe sbarcati su altro pianeta. Con l’arrivo di Merce Cunningham non ci furono più dubbi che la danza poteva essere semplicemente la danza. E pur avendo un percorso artistico molto diverso, proprio Cunningham venne celebrato come il successore di Djaghilev... È in questo contesto che la nostra fulminea parabola si chiude: con una danzatrice della compagnia di Merce Cunningham. Alta, flessuosa e “senza tensioni”, “Release”, diceva... Era Trisha Brown. E aggiunse che ci dev’essere una condizione del corpo che non solo si libera dalla dipendenza delle altre arti (inclusa la musica), dalla teatralità, dalla dipendenza e limite delle emozioni, ma si libera addirittura dalle modalità di danzare indicate dalle stesse tecniche della danza.E così prese i movimenti già codificati dalle tecniche e li mise semplicemente fra milioni di altri inediti, che il suo universo creativo di libero movimento dischiudeva. Questo fu il passo decisivo che proiettò la sua danza verso un futuro lontanissimo. Non codificando mai una propria tecnica, ma giocando una danza libera da schemi predefiniti, eppure estremamente precisa nelle architetture, nel peso e nelle dinamiche del corpo, la Brown potremmo dire che riconsegnò la danza al corpo e, così facendo, le riconsegnò anche un’immensa libertà. Avevamo detto che con lei avremmo concluso la nostra parabola. Ma con Trisha Brown sembra non esserci niente di definitivo, e la sua via non è stata neanche ancora raccolta per essere esplorata. Lo stesso inizio da cui siamo partiti, la Serpentine Danse di Loïe Fuller, rappresenta un futuro che deve ancora venire. Perché là non c’è nemmeno più il corpo. È l’organico e l’inorganico assieme, che sfuma nell’immateriale.

MASSIMILIANO GRECO, compositore – Quando si parla di Sergej Djagilev e dei Ballets Russes, non si può fare a meno di sottolineare lo straordinario risultato che l’impresario riuscì ad ottenere grazie alle sue molteplici idee, iniziative e produzioni artistiche. Può essere ritenuto un vero e proprio “talent scout” e “visionario”, dotato di un’ottima cultura e di un grande intuito artistico. In questa sede mi accingo a scrivere un’introduzione al suo rapporto con la musica, in quanto le sue competenze e le sue scelte hanno contribuito in maniera notevolissima allo sviluppo musicale del Novecento. GLI INIZI: La musica per Djagilev ha rivestito un ruolo fondamentale, fin da quando studiava con Rimsky-Korsakov al Conservatorio di San Pietroburgo. Nonostante fosse proprio il grande compositore russo a dissuaderlo dalla carriera musicale professionale, in quanto riteneva non fosse dotato di particolare talento, la passione per l’arte ed in particolare per la musica ha caratterizzato tutta la sua vita. Questa passione è cresciuta anche per l’influenza della seconda moglie del padre, Elena Panaeva, amante della musica e cantante, che lo stimolò ad approfondire le sue conoscenze, soprattutto musicali. L’insegnamento di Rimsky-Korsakov fornì a Djagilev la preparazione e la competenza per poter prendere decisioni ed iniziative in prima persona sulle partiture che sceglieva o che gli venivano proposte. LE SCELTE: Dalla nascita ufficiale dei Ballets Russes nel 1909 sino al 1929, i compositori che compaiono nei cartelloni sono soprattutto russi e francesi, con delle escursioni in Italia, Germania, Spagna e Inghilterra. Anche i direttori d’orchestra hanno avuto ruoli determinanti per il successo delle proposte musicali di Djagilev. I più importanti furono Nikolaj Tcherepnin, Pierre Monteux, André Messager, Ernest Ansermet, Adrian Boult ed anche Edward Clark e Roger Désormière. LA MUSICA RUSSA: Nei primi anni dei Ballets Russes, Djagilev aveva come obiettivo quello di far conoscere l’arte russa in genere, soprattutto la musica e la danza. Ciò spiega la sua scelta di compositori russi partendo da Glinka, per proseguire con Čajkovskij, Arensky, Serov, Lyadov, Balakirev, Mussorgsky, Glazunov, N. Tcherepnin, N. Nabokov, M. Steinberg, sino ad arrivare al lancio dei “fenomeni” Stravinsky e Prokof'ev, proponendo sia opere liriche che balletti. Inoltre, affascinato sia da una certa tradizione “favolistica” che da quella popolare russa, ha spesso prediletto la scelta di musiche ispirate proprio a queste tradizioni, basti pensare a Kikimora e Les Contes Russes di Lyadov, Il Gallo d’Oro e May Night di Rimsky-Korsakov (tratto dall’opera The Snow Maiden), Una Notte sul Monte Calvo di Mussorgsky, L’Uccello di Fuoco e Petruškadi Stravinsky. RIMSKY-KORSAKOV: Il più importante riferimento musicale di Djagilev, all’inizio della storia dei “Ballet Russes”, è stato proprio Nikolaj Rimsky-Korsakov, il suo maestro. Con lui ha studiato un’intera generazione di eccezionali talenti musicali, compresi molti citati prima. Ma che ruolo ha avuto esattamente il compositore per Djagilev? Senza questo immenso musicista l’evoluzione della musica non sarebbe stata la stessa. Rimsky-korsakov è stato forse il più grande didatta della storia musicale russa (soprattutto riguardo alla composizione e orchestrazione), e rappresentava, secondo il progetto di Djagilev, il perfetto riferimento artistico per far conoscere la musica russa attraverso le produzioni della nascente compagnia. Già nel 1908, l’anno prima della fondazione ufficiale dei “Ballet Russes” (nonché anno della scomparsa del compositore), Djagilev aveva già messo in scena il Boris Godunov di Moussorgsky con l’orchestrazione di Rimsky-Korsakov. Nelle prime stagioni, poi, il suo ex maestro compare nella maggior parte dei programmi, sia come autore unico che insieme ad altri, oppure in riorchestrazioni di opere altrui. Gli esempi sono molti, da Le Festin – Suite di Danze, (1909), continuando con le Danze Polovesiane dal 2º atto de Il Principe Igor di Borodin (1909), completate e parzialmente riorchestrate, proseguendo con l’allestimento dell’opera Ivan il Terribile, (musica originale,1909), ed ancora con il balletto Cleopatre, già eseguito nel 1908 con la musica di Arensky “Une nuit d’Egypte” op.50 quando fu allestito da Djagilev per i “Ballet Russes” nel 1909, vennero inserite musiche di altri compositori russi, tra cui Rimsky-Korsakov). Posso ancora citare numerose produzioni come Le Carnaval (Musiche di Schumann,1910), la sua magnifica e celeberrima Sheherazade (1910), Au Royaume Sous-Marin (Scene 6 dall’opera Sadko, 1911), Le Coq D’or (1914), May Night (1915), Le Soleil De La Nuit (1915, rinominato nel 1918 Midnight Sun) tratto dalla sua opera “The Snow Maiden”. Si può ben evincere la considerazione e l’ammirazione di Djagilev per il suo grande maestro e come sia stato quasi doveroso e ovvio cominciare l’avventura dei Ballets Russes con la presenza musicale pressoché costante di Rimsky-Korsakov! È importante sottolineare in questo periodo anche il grande contributo di Nikolaj Tcherepnin che collaborò con Djagilev sia come compositore (“naturalmente”, allievo di Rimsky-Korsakov) che come direttore d’orchestra dal 1909 al 1914 piuttosto assiduamente. Come compositore sarà uno dei primi ad essere proposti da Djagilev già nel 1909 con il suo famoso balletto Le Pavillon d’Armide seguito dal secondo, Narcisse. Inoltre collaborò alla stesura definitiva dei balletti Cleopatre e Papillon. Proprio con la sua orchestrazione della famosa composizione di Schumann, nel 1914 terminerà la sua collaborazione con l’impresario. Come direttore d’orchestra al suo posto arriverà Pierre Monteux, che era già stato sul podio per le due famose produzioni di Stravinsky: Petruška e la Sagra della Primavera. STRAVINSKY: Oltre a far conoscere la musica della generazione precedente, ciò che ha reso il lavoro di Djagilev fondamentale è stata la sua capacità di intuire e proporre quasi "in esclusiva" le novità che stavano nascendo nel mondo artistico dell’epoca. Il risultato di questa attività è stata la scoperta della musica di Stravinsky in generale, e della musica per la danza di Prokof'ev. Stravinsky, tra l’altro, è stato il più grande e geniale allievo di Rimsky-Korsakov! Il rapporto lavorativo e di amicizia tra Djagilev e Stravinsky, cominciato ufficialmente nel 1910 con la produzione dell’Uccello di Fuoco e finito nel 1928 con Apollon Musagète, avrebbe bisogno di una trattazione a parte. In questa sede mi limito a far notare i balletti e le opere a cui hanno lavorato assieme in diciotto anni: L’Uccello di Fuoco (1910), Petruška (1911), La Sagra della Primavera (1913), Le Rossignol (1914), Feu D’artifice (1917), Le Chant Du Rossignol (1914 e 1920), Pulcinella (1920, su musiche di Pergolesi), The Sleeping Princess (1921, dove Stravinsky riorchestrò alcune parti della musica di Čajkovskij), Aurora’s Wedding (1922, ancora Stravinsky “mise mano” in alcune parti della musica di Čajkovskij), Le Renard (1922), Mavra (1922), Les Noces (1923), Oedipus Rex (1927), Apollon Musagète (1928). Per Djagilev la musica di Stravinsky è stata il riferimento successivo a Rimsky-Korsakov. Nessuno come questi due compositori è stato così rappresentativo della storia dei Ballets Russes. Solo un nutrito numero di compositori francesi riuscirà ad avere altrettante attenzioni da parte dell’impresario. È interessante raccontare come Djagilev scelse Stravinsky nel 1910 per l’allestimento del balletto L’Uccello di Fuoco: aveva chiesto a Lyadov (allievo anch’egli di Rimsky-Korsakov e poi insegnante di Prokof'ev) di musicare la famosa fiaba, ma il compositore, estremamente autocritico, rinunciò spianando la strada al giovane Stravinsky. Djagilev, in effetti, era già stato colpito dall’ascolto del suo Scherzo nel febbraio 1909 ed aveva affidato a Stravinsky nello stesso anno alcuni pezzi da orchestrare per una rinnovata partitura de Les Sylphide (musiche di Chopin,1909) nonché l’orchestrazione di Les Orientales – Choreographic Divertissement (1910), dove troviamo anche alcuni pezzi di Grieg e Sinding (oltre ai russi Arensky, Borodin e Glazunov). Da quel momento il lavoro comune non si è quasi mai interrotto producendo una serie di spettacoli straordinari e creativi. Prokof'ev: Altra importantissima collaborazione fu quella con Sergej Prokof'ev. Un rapporto complesso, nato nel 1914 e durato sino alla morte di Djagilev. L’impresario aveva intuito le grandi capacità compositive di Prokof'ev, soprattutto per il mondo della danza. Secondo alcuni studi recenti, la personalità e le idee musicali di Djagilev hanno influito in maniera enorme sulla maniera di scrivere del compositore russo. In ogni caso egli ha contribuito alla consacrazione di Prokof'ev come uno dei più grandi compositori della storia della musica per la danza! La collaborazione si concretizza con tre balletti, sebbene avrebbero dovuto essere quattro.Il primo, Ala And Lolli (1914/1915), non è mai andato a buon fine. Djagilev non lo accettò perché non rifletteva abbastanza il carattere russo! Successivamente Prokof'ev rimaneggiò la partitura utilizzandone alcune parti per la sua Scythian Suite, eseguita sotto la sua direzione a San Pietroburgo nel 1916. La prima produzione ufficiale per i Ballets Russes, dunque, arriva solo nel 1921 con il balletto Chout, ancora con la direzione d’orchestra del compositore. Di questo balletto attualmente viene eseguita una suite creata successivamente da Prokof'ev, l’opera 21, un po’ più corta dell’originale. Dopo il ritorno dagli Stati Uniti ed un incontro burrascoso con Stravinsky in presenza di Djagilev mentre ascoltavano la sua partitura de L’Amore delle tre melarance op.33, Prokof'ev collaborerà ancora con i Ballets Russes, nel 1927, con il balletto Le Pas D’Acier. Anche in questo caso Prokof'ev trasse una suite orchestrale, l’opera 41b. Successivamente sarà la sua musica a concludere la storia dei Ballets Russes di Djagilev nel 1929 con il balletto The Prodigal Son. La prima del balletto avvenne il 21 maggio con la coreografia di Balanchine. Il 19 agosto Djagilev moriva a Venezia. LA MUSICA FRANCESE: Il primo riscontro di produzioni dei Ballets Russes con la musica francese si trova nella produzione di Giselle di Adolphe Adam nel 1910. Ma, a parte la produzione del balletto Le Dieu Bleu (1912) del compositore venezuelano naturalizzato francese Reynaldo Hahn, l’incontro fondamentale di Djagilev con la musica francese avvenne in occasione dell’allestimento di L’Après-Midi d’un Faune con la musica di Claude Debussy e la famosa coreografia di Nižinskij. Da quel momento la collaborazione di Djagilev con i grandi talenti musicali francesi si amplierà sempre di più. Già a distanza di un mese viene rappresentato Daphnis e Chloé di Maurice Ravel. Pochi giorni prima della famosa prima rappresentazione della Sagra della Primavera, sarà ancora Debussy a debuttare col suo balletto Jeux. “Di passaggio” abbiamo anche una collaborazione con Paul Dukas che scrisse per Djagilev la musica per il balletto La Peri. La produzione però fu cancellata per poi essere ripresa nel 1912 autonomamente da Natalia Trouhanova con le coreografie di Ivan Clustine e la direzione dello stesso Dukas. Un altro compositore francese coinvolto da Djagilev fu Florent Schmitt, compositore più vicino all’espressionismo. La scelta ricadde, nel 1913, sulla sua La Tragédie de Salomé Op. 50 da cui fu creata una versione come balletto coreografata da Boris Romanov. Nel 1916 avviene la collaborazione di Djagilev con Gabriel Fauré, con l’allestimento del balletto Las Meninas, (ispirato al famoso quadro di Velasquez che Djagilev aveva visto al museo del Prado nel 1916). L’anno successivo, il 1917, è speciale: viene allestito il balletto Parade, con musiche di Erik Satie, prima collaborazione col compositore francese, che aveva affascinato sia Djagilev che Cocteau con il suo stile musicale. Il grande merito di Djagilev fu quello di far lavorare insieme i più grandi talenti delle arti. In questo balletto coinvolse oltre Satie e Cocteau, anche Pablo Picasso. Ed il grande Ernest Ansermet sarà chiamato a dirigere l’orchestra a Parigi per la prima: una vera e propria “parata di stelle”. Satie collaborerà ancora con Djagilev per il suo secondo balletto Jack in the Box. La sua musica appare anche in una produzione non fatta direttamente dall’impresario ma che venne inserita nel cartellone dei Ballets Russes nel 1927:Mercure – Poses Plastique en 3 Tableaux. La musica francese la troviamo ancora nel 1924 con tre produzioni quasi di seguito, dedicate alla musica di Charles Gounod. Le scelte furono rivolte all’opera lirica e non ai balletti, eccetto un inserimento di sue musiche l’anno seguente per la produzione di L’assemblée(Suite di Danze, 1925) con musiche di vari compositori, tra cui Gounod (ma anche Delibes e per la prima volta Scriabin e AntonRubinstein). La prima produzione con la musica del compositore francese fu La Colombe, una ripresa dell’opera che aveva avuto la sua prima nel 1860, ma la versione di Djagilev aggiunge dei recitativi composti da Poulenc al posto dei dialoghi. Il secondo allestimento fu Le Médecin malgré lui. Anche questa fu una ripresa dell’opera del 1858, ma in questo caso Djagilev incaricò Satie di scrivere i recitativi, sempre al posto dei dialoghi parlati. “L’annata Gounod” si conclude con l’allestimento dell’opera Philémon et Baucis, anch’essa ripresa dalla versione del 1860. L’anno 1924 continua ad essere all’insegna della Francia, con vari debutti musicali. Per cominciare, una produzione un po’ diversa dal solito: Les Tentations de la Bergère, ou l’Amour Vainqueur, musica del compositore barocco Michel Pignolet De Montéclair, arrangiata e orchestrata da Henri Casadesus (compositore francese, zio del famoso pianista Robert Casadesus), a seguire Le Biches, musica di Francis Poulenc, e poi Chabrier, Auric e Milhaud. Il primo con l’opera Une Éducation Manquée, il secondo col balletto Les Fâcheux, il terzo col balletto Le Train Bleu. Auric sarà ancora presente l’anno dopo in cartellone col balletto Les Matelots e poi nel 1926 con ancora un altro balletto, La Pastorale. L’ultimo compositore francese da ricordare è Henri Sauguet, autore del balletto La Chatte (1926, autore tra l’altro molto prolifico nel mondo della danza). LA MUSICA DI SCHUMANN: Robert Schumann è entrato per due volte nelle scelte di Djagilev, che ha utilizzato sue composizioni pianistiche, proponendole come spesso è accaduto, con l’orchestrazione di altri compositori. I pezzi scelti furono Carnaval nel 1910, dove troviamo, tra i compositori “coinvolti” nella riorchestrazione, l’immancabile Rimsky-Korsakov e quel Nikolaj Tcherepnin nominato prima, che successivamente si occupò di orchestrare il secondo pezzo che Djagilev scelse nel 1914: Papillon. ITALIANI E Djagilev: Anche alcuni compositori italiani del passato colpirono l’attenzione di Djagilev, in particolar modo Paisiello e Cimarosa. Il fine di Djagilev era sempre quello di mettere in risalto la musica russa e nei due compositori italiani aveva trovato molto “stile russo”, in particolare nelle composizioni dei periodi in cui avevano lavorato alla corte di Caterina II, alla fine del settecento. Ma prima ancora, le sue scelte andarono alla musica di Domenico Scarlatti, del quale selezionò alcune sonate per clavicembalo. Il balletto che nacque fu Les Femmes de Bonne Humeur (1917), ispirato alla omonima commedia goldoniana. Per l’orchestrazione si affidò a Vincenzo Tommasini, compositore e critico musicale romano, allievo anche di Max Bruch. Dunque Tommasini fu il primo compositore italiano che collaborò con Djagilev. Successivamente sarà Ottorino Respighi a collaborare col grande impresario. Come risultato, nasceranno due balletti: La Boutique Fantasque e Le Astuzie Femminili. Respighi era stato invitato da Djagilev a fare delle orchestrazioni sulle musiche di Rossini (per La Boutique Fantasque) e di Cimarosa (per Le Astuzie Femminili). Questo ultimo balletto fu rimaneggiato per due volte, per cambiare il nome poi in Cimarosiana, eseguito nel 1924. Ma in queste versioni non è ben chiaro chi “ci mise mano”, a quanto pare forse non molto Respighi. Vorrei citare anche la produzione mai realizzata de La Serva Padrona di Paisiello (1920), ancora con l’orchestrazione di Respighi: inizialmente ritenuto incompiuto, il lavoro è stato recentemente ricostruito dal Maestro Elia Corazza e si spera di poterlo rivedere presto in scena. L’anno successivo arriva all’attenzione di Djagilev un altro compositore italiano (poi naturalizzato Statunitense), Vittorio Rieti. Egli fu allievo per un certo periodo di Respighi ed anche di Casella. Fu fatto conoscere a Djagilev grazie all’intervento di Milhaud, Messager e Poulenc. La collaborazione portò alla produzione di due balletti: Barabau (1925) e Le Bal (1929). Barabau è famoso per il suo tema, conosciuto come la canzone MARAMAO (perché sei morto, pan e vin non ti mancava...). Quel tema divenne poi quello del balletto. Anche qui Djagilev intervenne sulla partitura con modifiche ed indicazioni di aggiunte. Alla fine il balletto debuttò a Londra nel 1925. Fu la prima creazione “ufficiale” di Balanchine per i Ballets Russes, sebbene il grande coreografo avesse già coreografato alcuni interventi in altre produzioni. (Nel 1925 Balanchine sarà anche il coreografo del nuovo allestimento di Le Chant du Rossignol). Le Bal è stata la penultima produzione di Djagilev prima della morte. Sebbene Rieti giudicasse questo lavoro meno interessante di Barabau, ebbe un ottimo successo. Vittorio Rieti è un compositore estremamente interessante, pressoché autodidatta e buon amico, tra gli altri, di Stravinsky. Meriterebbe una più lunga trattazione che rimando ad un’altra occasione. Per terminare, vorrei citare i compositori tedeschi, gli inglesi e spagnoli. Il primo compositore tedesco ad essere scelto da Djagilev per i Ballets Russes fu Carl Maria Von Weber. Infatti nel 1911 nasce il balletto Le Spectre de La Rose, (sarebbe il celebre pezzo L’Invitation à la Danse, con l’orchestrazione di Hector Berlioz). In questo balletto i protagonisti saranno due immensi nomi della storia della danza: Nižinskij e la Karsavina. Fu proprio Nižinskij a convincere Djagilev a fare uno spettacolo con la famosa composizione di Weber. Successivamente ad attirare l’attenzione di Djagilev fu Richard Strauss, compositore che ha dato un interessante contributo al mondo della danza con numerosi balletti. La scelta ricadde su due composizioni: Joseph Legende (1914) e Till Eulenspiegel (1916). Alla première di Joseph Legende fu lo stesso Strauss a dirigere l’orchestra con l’appena diciannovenne Massine, nel ruolo principale. Per quanto riguarda Till Eulenspiegel, a quanto pare Djagilev non seguì molto l’allestimento e non era presente alla prima di New York. Fu una produzione voluta e organizzata da Nižinskij comunque approvata da Djagilev. Purtroppo è stato un balletto che ha avuto poche rappresentazioni. “L’AMERICANO” E GLI INGLESI: Prima di addentrarmi nelle “scelte inglesi” di Djagilev, vorrei evidenziare la collaborazione con Vernon Duke (vero nome Vladimir Dukelsky), compositore russo ma naturalizzato statunitense. È stato un compositore molto famoso nella musica jazz, autore tra l’altro di brani famosissimi come Autumn in New York, April in Paris ed altri. Autore anche di musiche da film e per produzioni di Brodway, dopo essersi trasferito negli USA nel 1921, tornò in Europa dove nel 1925 fu scritturato da Djagilev per la composizione del balletto Zephire Et Flore (da non confondere col balletto dallo stesso nome del 1796 con la coreografia di Didelot e la musica dell’italiano Cesare Bossi). Dukelsky fu il terzo compositore russo vivente che Djagilev lanciò con i suoi Ballets Russes, tanto che arrivò a dire che Dukelsky fosse il suo “terzo figlio” (dopo Stravinsky e Prokof'ev). Ed eccoci al 1926, l’anno degli inglesi Constant Lambert e Lord Berners. Constant Lambert, compositore e critico musicale, allievo di Vaughan-Williams, per i Ballets Russes fu l’autore del balletto Romeo and Juliet. Tra l’altro egli ha avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo del balletto in Inghilterra negli anni trenta del Novecento in quanto è stato direttore della “Camargo Society” che portò alla creazione del “Sadler’s Wells Ballet”, divenuto poi il “Royal Ballet”. Sebbene Djagilev fosse dubbioso sui talenti musicali inglesi, apprezzò la musica di Lambert, commissionandogli il balletto. Romeo and Juliet ebbe strana sorte perchè, divenendo un allestimento di genere surrealista, fu un successo a Montecarlo ed un vero scandalo a Parigi, per motivi ancora poco chiari. Altro compositore inglese entrato nei cartelloni dei Ballets Russes fu Lord Berners, (vero nome GeraldTyrwhitt -Wilson). Artista eclettico, compositore ma anche pittore e novellista, Berners fu autore di molti balletti oltre la produzione per Djagilev, collaborando soprattutto con Frederick Ashton, Il balletto scritto per Djagilev fu The Triumph Of Neptune-Pantomimic Ballet in 10 Tableaux (1926). Lord Berners aveva già attirato l’attenzione dell’impresario nel 1919. Difatti aveva fatto eseguire durante un intervallo di uno spettacolo londinese, i suoi Trois Pièces, con la direzione di Ansermet. LO SPAGNOLO: Per finire, l’unico compositore spagnolo nella storia delle scelte dell’impresario: Manuel De Falla. Nel 1919 Djagilev produsse il suo balletto Il Cappello a Tre Punte. Già nel 1916 Djagilev e Massine erano in tournée in Spagna e si trovavano a Granada, ad assistere ad un concerto dove si eseguiva Notti nei Giardini di Spagna per pianoforte e orchestra, con De falla al pianoforte. Djagilev fu colpito dallo stile del compositore e gli propose una collaborazione per la creazione della partitura del balletto, che andò ufficialmente in scena tre anni dopo. Nel 1921 De falla sarà ancora coinvolto da Djagilev per l’arrangiamento di musiche tradizionali andaluse nella produzione Cuadro Flamenco,dove però non saranno coinvolti danzatori dei Ballets Russes. Finisce qui questa breve introduzione. Gli argomenti sono interconnessi e vastissimi. I suoi rapporti con la musica, i musicisti ed i direttori d’orchestra meritano ancora molte ricerche ed approfondimenti, che rimando ad altre occasioni.

CHARLES JUDE, maître de ballet – Il periodo dei Ballets Russes sotto la direzione di Djagilev fu un progresso creativo molto importante. Le coreografie di Fokine, Nižinskij, Massine, Balanchine e altri sono apparse fin da subito rivoluzionarie. Le collaborazioni con i più grandi pittori, compositori, costumisti e decoratori che Djagilev assunse per la sua compagnia ne fanno dei capolavori rappresentati in tutte le compagnie del mondo. Ciò ha segnato una rinascita e un rinnovamento nello stile coreografico dopo Petipa. In seguito alla scomparsa di Djagilev, Lifar continuò sulla stessa scia come pure Balanchine, Béjart e molti altri. Djagilev rappresenta il genio, ancora oggi!

MARTA LEVIS, coreografa – La modernità ha sempre dei precursori, spesso non capiti e contestati dall’accademismo conservatore ma che trova invece la sua consacrazione nell’entusiasmo e curiosità di ampie platee popolari. Il successo dei Balletti russi di Djagilev fu così travolgente e innovativo che ancor oggi ne avvertiamo le influenze. Se possiamo usare il termine “contaminazione” qui apprezziamo una suggestiva fusione nella mise en scène dei balletti dove scenografie, costumi, musica, colori si fondono in tableau vivant coreografici di rara forza e bellezza. “La sagra della primavera”, l’“Uccello di fuoco” per citare due delle tante produzioni del geniale Djagilev che seppe cambiare la storia della Danza, sono il simbolo dei tempi che cambiano, e l’arte, tutta, ne è la grande rivelatrice!

GIORGIO MADIA, coreografoSi dice “Ballet Russes” e si intende Djagilev. Non che manchino nomi altisonanti dell’arte mondiale da associare a quella storica compagnia, ma un solo uomo al comando ha avuto la visione, l’amore, il coraggio, il gusto e il callo del rischio per immaginare e costruire quello che è tuttora, passati cento anni, rimasto insuperato nella danza e nello spettacolo in generale. La prima compagnia di balletto privata della storia e quell’impresario quindi sono un unico concetto. Perché la compagnia era sua. Non solo lui l’ha creata, ma ne ha anche sviluppato il suo successo in ogni minimo dettaglio. Era lui che ingaggiava sia tutti gli artisti ma che decideva le programmazioni, che influenzava le coreografie (si sospetta che Nižinskij preparasse le sue coreografie a casa con lui) e addirittura sapeva dire ad un compositore quello che avrebbe o non avrebbe funzionato e quale parte doveva essere tagliata, grazie alla sua prima aspirazione da compositore. Persino i teatri venivano da lui modificati e imbelliti per le occasioni. Quello che ora definiremmo un control freak. E io non l’ho mai trovato un aggettivo negativo nella mia professione. In un senso molto più intrinseco la compagnia era sua! Da dove cominciamo? Da tutti gli ingredienti e personalità che quest’impresario è riuscito ad individuare, convincere e mischiare per una ricetta esplosiva. Dai suoi coreografi che hanno contribuito, anzi costituito la danza del XX secolo e continuano a farlo? Michel Fokine, Vaslav Nižinskij,Bronislava Nijinska,Léonide Massine, e il giovane George Balanchine appena scappato dall’Unione Sovietica a cui Djagilev dette il suo nome d’arte? Chi avrebbe oggi giorno il fiuto per capire chi avrà tra un secolo ancora una rilevanza? La risposta è: oggi nessuno. Questi coreografi hanno fondato quello che poi è diventato per esempio il balletto astratto; molto più merito della Nijinska che di Balanchine che la rimpiazzò, anche se Fokine con “Le Silfidi” ci era già arrivato. Sorella del più famoso fratello Vaslav ha, non di meno, da sola raggiunto frontiere allora inimmaginabili gettando le basi per quello che noi coreografi facciamo ora ma con meno rischio e scalpore. Un paio di esempi sono: dei Romeo e Giulietta che scappano in aereo (1926), l’introduzione di costumi unisex, il ruolo della donna emancipata (La Garçonne, La dame en bleu), dei ruoli androgini e donne che visibilmente formavano una coppia (Les Biches). Quindi balletti con temi contemporanei: il sesso, lo sport, la tecnologia. Nel contempo però, coi Ballet Russes e grazie a Djagilev (forse per la sua inclinazione personale e per valorizzare le sue star) per la prima volta l’uomo nella danza comincia ad essere un ruolo principale. A testimonianza ci rimangono balletti come Petruška,un pupazzo maschile,L’Apres-midi d’un Fauneun dio per metà bestia e metà umano, Le Spectre de la Rose, ApolloeIl figliol prodigo. Il suo genio più spiccato a mio avviso è quello di aver implementato a fondo la riforma gluckiana del rinnovamento del teatro che Gluck e Noverre, centocinquanta anni prima, si erano posti come obiettivo. Unificare in scena tutte le arti in un unico lavoro fuso e inseparabile. Non più scenografie pompose tutto fare e ballerine che viaggiavano di produzione in produzione con le proprie variazioni e spartiti di musica sottobraccio. Quindi letteratura, musica, pittura e danza in collaborazione. Djagilev che commissiona concetti per creazioni a Jean Cocteau dicendogli: “etonne moi!” (“sorprendimi!”) ha avuto il talento e il coraggio di aver ingaggiato musicisti del calibro di Claude Debussy(Jeux, 1913),Maurice Ravel(Daphnis et Chloé, 1912),Erik Satie(Parade, 1917),Manuel de Falla(El Sombrero de Tres Picos, 1917),Richard Strauss(Josephslegende, 1914),Ottorino Respighi(La Boutique fantasque, 1919);Francis Poulenc(Les biches, 1923) Georges Auric, di avere avuto un ruolo decisivo nella carriera di compositori come Sergei Prokof'ev(The Prodigal Son, 1929);e il fiuto per compositori quasi sconosciuti portandoli a fama mondiale come Igor Stravinski conThe Firebird(1910),Petruška(1911), andThe Rite of Spring(1913). Solo l’elencare queste composizioni fa venire i brividi dalla magnificenza della sua opera! Quindi è lui che scopre talenti coreografici abbracciandone sperimentalismi radicali come con Nižinskij, che cambia l’impatto della donna e dell’uomo, che abbraccia e promuove compositori di calibro mondiale. È lui che riesce ad essere all’avanguardia inventandosi combinazioni con l’arte contemporanea. A mio parere con operazioni coraggiose ma non sempre riuscite anche se blasonate da un nome come Picasso, come quelle con il futurismo and cubismo, che restringevano la danza a scapito di un manifesto. Altre meglio riuscite, come per esempio col movimento costruttivista che nel balletto La Chatte, disegnato da Pevsner e Gabo con materiali inusuali come la celluloide e la plastica, con elementi tridimensionali e trasparenti che, mobili, riflettevano e rifrangevano la luce. Questi esperimenti hanno gettato le basi per la scenografia contemporanea! Riusciti o no comunque parliamo di una sfilza di artisti, di pittori, scultori e costumisti del calibro di Matisse, Braque, Miró, de Chirico, Ernst, Benois,Bakst,Picasso, Chanel,Dalì. Coi “Ballet Russes” il Balletto diventa allora l’arte teatrale più nuova ed eccitante non solo implementando la crème de la crème di tutto il panorama artistico ma promuovendo anche nuovi talenti che grazie a Djagilev diventeranno icone mondiali. Non si può che fare un paragone con la pallida creatività e il valore delle compagnie contemporanee e delle loro produzioni odierne. Per me l’esempio più fulgido è Le Sacre du Primptemps che solo nel suo titolo originale ne risalta la sacralità! La particolarità di questo balletto è che la sua concezione sia nata dal compositore e non da una commissione, e nata non come un’opera musicale ma come drammaturgia, in una sorta di visione. La versione originale probabilmente non fu riuscitissima dal punto di vista coreografico, visto anche che ebbe più successo in versione concertistica lo stesso anno. Questo fu dovuto per l’inesperienza di Nijisnkji che, comunque, ebbe la visione istintiva dell’anticonvenzionale, quasi con l’ambizione di trovare una nuova danza per una nuova musica con l’uso dell’“en dedans” invece dell’“en dehors” ovvero posizioni di piedi e gambe esattamente opposti alla tecnica classica. Immaginiamo: Parigi1913, Théâtre des Champs-Élysées, 99 orchestrali, parterre de rois: la bella società, intellettuali e artisti come Debussy, Ravel e D’Annunzio.In scena un rituale pagano di folclore slavo, una forza della musica travolgente e il pubblico in furore, chi pro e chi contro. È un’opera che come concezione è rimasta attuale e, in tantissime compagnie del mondo, è stata ricreata mille volte in nuove interpretazioni coreografiche e in una versione che si dichiara come ricostruzione dell’originale ma che gli addetti ai lavori sanno non essere tale in quanto non vi è rimasto molto oltre a qualche foto, bozzetto d’epoca e qualche ricordo sbiadito di anziani ex ballerini sul letto di morte. La questione delle ricostruzioni è un discorso a parte e, giudicata da me in quanto coreografo, non può che incontrare il mio assoluto scetticismo per l’impossibilità materiale e per la questione morale dell’operazione. Quindi è tutto sparito? Ci è rimasto dei Ballet Russes un repertorio enorme, considerando la brevità della sua esistenza, che ha gettato le basi per tutta la danza fino ai giorni nostri. Quindi fondamentale. È rimasto il gusto implementato allora per la prima volta per corpi sempre piu filiformi. Non ci sono ora i soldi, ma quelli neanche allora. Ma si trovavano; per un ideale si corteggiavano i mecenati e ci si indebitava. Non è rimasto nulla del successo nel portare il Balletto verso l’élite culturale mentre ora è il cugino povero delle arti volendo renderlo più democratico. Non esistono più gli impresari con fiuto artistico e gusto che viaggiando per il mondo scoprono i talenti che, come ingredienti, vengono serviti al pubblico più acculturato in una ricetta unica e raffinata. E come si riconoscerebbe che si è di fronte a dell’arte? Purtroppo solo vedendo quello che sopravvive alla prova del tempo. A me rimane un desiderio di orientarsi verso la grandeur che questa compagnia ha rappresentato. Ma è in generale è rimasto poco anche dell’ambizione. Solo un ricordo. Ed è un piacere ricordarsene!

PIOTR NARDELLI, maître de ballet – I balletti russi di Diagilev hanno permesso di compiere un balzo in avanti nella disciplina della danza. Il suo genio e il suo amore per l’arte, in senso pieno, hanno avuto un impatto sulla cultura del XXI secolo. La ricerca di talenti, non solo nel campo del balletto, ma anche nella musica e nelle arti visive, ha cambiato l’immagine della danza nel mondo. Vaslav Nižinskij rimane una leggenda ancora oggi. Il preside della mia vecchia scuola di ballo a Varsavia era il famoso ballerino della compagnia di Djagilev, Leon Wojcikowski. Era celebre come artista di danza di carattere. Balanchine, Fokin, Miassin, Nijinska, Rubinstein prima di iniziare la loro carriera coreografica erano eccellenti ballerini in questa compagnia. È un peccato che non si facciano più ricerche come quelle di Djagilev per rivelare nuovi creatori. Trovo che non si dia abbastanza opportunità ai giovani coreografi principianti per esprimersi sui palcoscenici dei grandi teatri. Ricordo che la Sagra della Primavera nell’arrangiamento di Nižinskij si concluse con un grande scandalo. Djagilev però decise di correre il rischio. Nutro grande ammirazione per quell’epoca irripetibile.

MARGHERITA PALLI, scenografa – La Parigi dei Ballets Russes di Sergej Pavlovič Djagilev, di Jean Cocteau, di Picasso, di Coco Chanel... una Parigi frenetica e creativa che coinvolge e riunisce le arti, le mischia e detta le mode. Chanel viene chiamata a disegnare i costumi da bagno per Le Train Bleau, il testo di Jan Cocteau, ci gioca, inventa e detta uno stile con costumi da bagno azzardati, moderni... la borghesia parigina del Novecento se ne appropria e parte dalla Gare verso le vacanza... un inizio secolo folgorante. Amo viaggiare in treno... ancora oggi a Parigi alla Gare de Lyon, Le Train Bleu è uno dei miei luoghi preferiti.

FRANCESCO PITITTO, drammaturgo – Come un astro di gigantesche dimensioni, dotato di grande attrazione gravitazionale e magnetica nell’universo dei favolosi Ballets Russes di Djagilev – tra compositori, pittori, coreografi, danzatori che hanno rivoluzionato i linguaggi artistici ed estetici del secolo scorso – attira a sé ogni mio sguardo critico, stimola la messa a fuoco di un’esperienza storica, anche nel suo continuo mutarsi, la ricerca privilegia lui, Vaslav Fomič Nižinskij, il “ballerino di Dio”. Almeno dal punto di vista di chi per anni ha sperimentato l’intreccio ineludibile tra arte e follia, tra gesto corporeo e gesto poetico, tra movimento continuo e movimento inter/rotto. Il profilo, la bidimensionalità, le dita costrette, unite, lo scatto progressivo non lineare, le punte dei piedi in dentro, i salti en dedans, fino a quel salto che solo la fotografia – nella serie di più riprese scattate in sanatorio, nel 1939, mentre Serge Lifar esegue di fronte a lui alcune sequenze di L’après-midi d’un faune) nella sua fissità riesce a far volare chi vuole ancora volare, vestito di un completo grigio e gli occhi, semichiusi, a guardare il pavimento. “I nervi del naso si stanno calmando, ma i nervi del cranio mi danno fastidio, perché sento il sangue che defluisce dalla testa. I miei capelli si muovono, li sento. Ho mangiato molto, perciò sento la morte”: il ballerino divino esperiva ogni parte del suo Sé corporeo, ogni muoversi “dentro”, ogni insofferenza al “fuori”, alla realtà delle cose, alla vita degli altri. Come non pensare al poeta che, come lui, ha abitato per metà della vita altrove, in un altro tempo, con altre visioni, Friedrich Hölderlin. Altri universi ma stessa vis motrix, affine anima poetica, antigravi entrambi poiché Marionette divine (“... non conoscono l’inerzia della materia, la proprietà che più di tutte si oppone alla danza, poiché la forza che li solleva in aria è superiore a quella che li incatena alla terra.” cit. da Über das Marionettentheater, Heinrich von Kleist). Dal tuffo nel vulcano per rientrare a far parte del Tutto/Natura in La morte di Empedocle e poi vivere la vita di un altro, un secolo prima con firma Scardanelli, e osservare dall’unica finestra di una Torre, le epoche, le stagioni, le Vedute sempre apparentemente uguali, gli eroi di un tempo fino a quella distanza infinita tra piedi e pavimento, a quel salto che ci ricorda quanto feroce fosse stata la battaglia del Fauno e dell’Adolescente, in L’après-midi d’un faune e in Le Sacre du printemps. Quel salto ancora attende, sospeso. Èuna cesura, ed è ancora poesia.

LUCA TIEPPO, pianista e compositore – Quante volte ho detto e pensato nella mia vita: “Non mancano gli Stravinskij, Nižinskij, Cocteau, Picasso e compagnia, mancano i Djagilev!” e ringrazio Michele Olivieri per l’opportunità che ho di dirlo. Difficile pensare, infatti, che nel giro di tre generazioni le nostre capacità creative e artistiche si siano affievolite o in alcuni casi – penso all’opinione di molti fruitori di musica classica, ad esempio – azzerate. Ritengo invece che sia cambiata la società, così come il modo di presentare e fruire l’arte, e soprattutto che non ci siano più i Djagilev a fare da mentori, e da networker fra artisti e committenti. Riflettiamo, ad esempio, su come Djagilev ha iniziato: portando a Parigi il Boris Gudunov di Mussorgsky nell’orchestrazione di Rimsky-Korsakov. Possiamo davvero immaginare cosa questo significasse come impegno economico ed organizzativo? Andare in tournée con un titolo del genere sarebbe una scommessa estenuante anche per un teatro di oggi, figuriamoci nel 1908! Ma in quegli anni lui poteva contare anche su un cospicuo supporto finanziario da parte dello Zar Nicola II. Era l’ambasciatore e il promoter di una cultura, quella russa, completamente nuova per l’occidente. Le sue produzioni erano un fondamentale veicolo di marketing per l’Impero. Ma dal 1911 questo sostegno cesserà, pare per la liaison omosessuale fra lui e il Principe Lvov che non sarà più tollerata da alcuni influenti elementi conservatori della società russa. E lui abbandonerà il paese: per sempre! Djagilev era omosessuale dichiarato, il primo a poterlo mostrare pubblicamente sapendo che la società che conta l’avrebbe accettato; e questo suo anticonformismo, questo suo saper vendere per prima la sua immagine ha aperto, nella società dell’epoca, molte più porte di quante ne abbia chiuse. Divenne infatti, il punto di riferimento di tantissimi artisti, ma soprattutto di tantissimi nobili e persone influenti omosessuali che formarono un gruppo libero finalmente di potersi incontrare per fare sesso nei grandi parchi pubblici, scambiarsi gli amanti e vivere le proprie relazioni in maniera non più clandestina. Tramite l’arte, veicolo di immortalità, per lui ateo convinto, gli artisti passavano da servi di una società aristocratica ad ambasciatori della stessa. In una parola: da pari. Un’intuizione straordinaria, forse la sua migliore! È stata proprio la capacità, incredibilmente moderna, di fare networking a permettere a Djagilev di superare anche la mancanza del supporto finanziario dello Zar. Perché la sua rete di contatti, ma soprattutto il suo anticonformismo e la sua capacità di risultare accentratore, andavano ben al di là della madre patria e si diramavano per tutta Europa. Alcuni anni prima, infatti, a Parigi era entrato in contatto con Robert de Montesquiou che l’aveva introdotto in un network di gay e personalità molto influenti che includeva Marcel Proust e il giovane Cocteau, ma anche la Contessa Greffulhe che sarà il modello per la Duchessa di Guermantes nella À la recherche du temps perdu (mentre invece il Barone di Charlus era Montesquiou). Questa rete toccava anche Londra, Berlino, Budapest, tanto per citarne alcune, creando tutta una serie di supporter capaci di sovvenzionare ogni progetto della Compagnia. Per dare una misura della capacità di Djagilev di attirare risorse, sovvenzioni, e visibilità, prendiamo ad esempio il lavoro forse più emblematico e noto di tutti i “Ballet Russes”: Le Sacre du printemps con l’accoppiata straordinaria di Stravinskij e Nižinskij. Il suo organico orchestrale è sconfinato, c’è addirittura il flauto contralto, insieme ad 8 corni e due tube basse, 5 timpani, percussioni di ogni tipo e praticamente ogni strumento orchestrale disponibile tranne i campanacci delle mucche al pascolo. Produrla fa sempre tremare i polsi per l’ammontare di aggiunti che bisogna chiamare, perché non c’è orchestra che abbia in organico così tanti strumenti e professori d’orchestra. E parliamo di soli 37 minuti di musica, seppure incredibile; il che ovviamente significa che lo spettacolo non era autonomo ma inserito in un programma più ampio che iniziava con Les Sylphildes su musica di Chopin, per terminare con la Sacre, una scelta ovviamente voluta da Djagilev e Stravinskij per enfatizzare il contrasto e creare scandalo; era questo l’obiettivo dichiarato di tutta l’operazione. Aggiungiamo inoltre il corpo di ballo, gli scenografi, i costumisti, le maestranze, l’affitto del teatro e la consapevolezza che, se oggi tutti conoscono quel balletto che ha rivoluzionato la musica e la danza del XX secolo, all’epoca era nuovo. Non oso quindi immaginare il numero di ore di prova per montarlo, sia in sala ballo sia in buca, e il sudore che devono aver sputato Nižinskij e soprattutto il primo direttore d’orchestra, Pierre Monteux, nome che pochi ricordano, ma che ha tutto il mio plauso per le indubbie capacità professionali, e per essersi sorbito imperterrito tutti i fischi e il rumore infernale del pubblico presente, inorridito da quanto vedeva e ascoltava... Questa capacità di Djagilev di attrarre risorse non si è esaurita in una stagione di fuochi artificiali ma è durata anni, ventidue per la precisione, dal 1907 al 1929, anno della sua morte e dello scioglimento della Compagnia; sempre presentando programmi nuovi e rivoluzionari e lanciando nell’empireo della fama decine di artisti di ogni estrazione. Certo, tutto nasceva a Parigi, il centro del mondo dell’epoca, dove tutta la vita artistica convergeva perché era un posto in cui si “doveva” essere. Certo, parliamo della cultura russa che per quella società occidentale era un po’ come se oggi presentassimo una stagione fatta da marziani, ma resta il miracolo di un uomo che ha saputo “vendere”, a chi poteva comprare a caro prezzo, un sogno di unicità, un investimento per il presente e il futuro di una città di cui sarebbe rimasto il ricordo di quegli anni come Les années folles. La cosa meriterebbe un approfondimento dedicato, anche se dubito che sarei poi capace di farlo in maniera organica, ma mi concedo ancora una domanda: ci sono oggi dei Djagilev? Nel mondo dell’arte performativa e del teatro, direi purtroppo di no; gli impresari in Italia, se proprio vogliamo ridurre Djagilev a tale figura, non ci sono più da qualche anno. Ma quello di cui si sente maggiormente la mancanza è la sua capacità imprenditoriale, quello che oggi diremmo “il suo essere un influencer”, il suo saper “vendere” i “Ballet Russes” come qualcosa di essenziale per far parte del mondo “che conta”. E il mondo che conta alla prima della Sacre c’era tutto, non solo francesi o parigini. Fra il pubblico c’era D’Annunzio che ne era rimasto esterrefatto; c’erano Prokof'ev, Skrjabin “che ne uscì orripilato”, Debussy, Ravel e tanti altri. Si narra addirittura che il vecchio Camille Saint-Saëns chiese ad un giovane Alfredo Casella a che strumento appartenesse quello strano suono del solo iniziale. Appena saputo che si trattava di un semplice fagotto nel suo estremo registro acuto, il vecchio compositore lasciò la sala sbattendo la porta. Ecco, per radunare così tante personalità ci si deve essere creati una reputation tale da travalicare addirittura il prodotto artistico. Il coraggio, la capacità imprenditoriale nelle arti performative, la lungimiranza, ora non ci sono più o sono estremamente rari, e sicuramente non hanno più il richiamo mondano che era così evidente in Djagilev. Quindi se volessimo fare un parallelo, chi sarebbe Djagilev oggi? Probabilmente sarebbe un misto fra un influencer à la Ferragni, capace di dirottare sugli Uffizi un numero imprecisato ma cospicuo di followers, e un guru à la Elon Musk, capace di trasformare un’auto elettrica in una religione il cui possesso fa aumentare il ranking del tuo appeal. Peccato solo che nessuno di loro trovi di nuovo affascinante investire nel teatro, per stupire davvero il mondo come fece Djagilev, e per cercare, come lui, attraverso l’arte l’immortalità.

TESSA ROSENFELD CALENDA, scrittrice – Yolanda Lacca, mia madre, è stata una baby ballerina ai tempi dei Ballets Russes di Montecarlo. Scoperta da Serge Lifar, per anni ha fatto parte della prestigiosa compagnia. Fu allieva all’École des Etoiles a Parigi e di Bronislava Nijinskaia. Prima della morte di mio padre, Yolanda ha ballato come guest artist ne Le Sylphides di Anton Dolin. Ricordo che sia lui che la Bronislava, venivano spesso a Roma a trovare mia madre. Insieme a George Zoritch, Ludmilla Tcherina e tanti altri. 

Prokof'ev ebbe modo di affermare, a proposito di Djagilev: “è un gigante, senza dubbio l’unico le cui dimensioni aumentano quanto più si allontana nella distanza”.