Filosofia e filologia

di Michele Olivieri

Rai 5 nel palinsesto di Rai Cultura, ha proposto nuovamente Raymonda nell’accademica ed esemplare ricostruzione firmata da Sergej Vikharev dall’originale di Marius Petipa. Il balletto è stato registrato nel 2012 e presenta contesse, cavalieri e saraceni, corti e castelli, un matrimonio imminente, un pericolo in agguato, l’enigmatica visione della Dama Bianca, con un maestoso finale suggellato dagli eccellenti protagonisti (Olesia Novikova e Friedemann Vogel) e dallo sfavillante Corpo di Ballo del Teatro alla Scala.

MILANO – Nel 2012 in debutto assoluto per il Ballo della Scala, allora diretto da Makhar Vaziev, Raymonda è andata in scena nella ricostruzione di Sergej Vikharev (riproposta anche di da Rai 5) che aveva destato particolare interesse tra gli addetti ai lavori e il grande pubblico della danza internazionale per l’importanza dell’operazione ricevendo il plauso della critica. Si può ben affermare che l’allestimento sia da annoverare tra quelle produzioni che a livello storico hanno segnato un punto a favore al titolo. La bellezza della musica, la concatenazione dei passi, la narrazione, la costruzione hanno fatto ritrovare allo spettatore i sentori di un’epoca ormai scomparsa, ma ancora viva se riproposta con cura e autorevolezza. Protagonisti Olesia Novikova (Raymonda contessa de Doris) e Friedemann Vogel (Jean de Brienne) rispettosi nell’assecondare le intenzioni della produzione. Lei è l’assoluta protagonista di una creazione per la “prima ballerina”; così abile ed esemplare dal punto di vista tecnico, riesce ad unire leggerezza e soavità, trasmettendo l’espressività più con il corpo e forse meno con il volto. Nel pas de chale, cioè la variazione languida durante la scena del sogno, è risultata ineccepibile. È uno dei pochi balletti a serata intera improntato quasi esclusivamente sulla figura della danzatrice, tant’è che è quasi insussistente trovare assoli maschili, se non quelli di Jean de Brienne alias il bellissimo Friedemann Vogel (attualmente principal allo Stuttgart Ballet). Quest’ultimo ha ridefinito i modi del pensare, del conoscere e dell’agire e lo ha fatto con grande rispetto e convinzione (con una punta di modernità). Entrambi hanno applicato la loro disciplina ponendosi in toto al servizio della suadente ricostruzione e della corretta interpretazione dei documenti ritrovati, applicandosi con senso di cultura alla forma originaria.

Da menzionare, l’intenso Mick Zeni nella parte del cavaliere saraceno Abderahman, composto e concentrato nell’interiorizzare il ruolo interpretato restituendo una realtà virtuale, avvolgente, che non ha più niente a che fare con quella in cui viviamo e a cui siamo abituati. Di grande impatto la presenza di una sessantina di allievi della Scuola di Ballo della Scala diretta da Frédéric Olivieri (dal secondo all’ottavo corso) in una serie interminabile e pregiata di variazioni e passerelle accademiche: da quelle di carattere a quelle esotiche, passando dalla pantomima, con momenti lirici sui passi e due, e grandi occasioni di trasparenza per il corpo di ballo, con un finale spettacolare che rimanda alla tradizione ballettistica della scuola russa, che non ha bisogno di ulteriori citazioni.

Sulla partitura di Aleksandr Konstantinovič Glazunov, diretta dal compianto Michail Jurowski, nello svolgersi dei tre atti si trovano valse provençal, pas d’action, valse fantastique, danze saracene, danze spagnole, danze ungheresi (meravigliosa la Csardas che sposa perfettamente l’azione del corteggiamento, la mazurka, la palotás in voga nel XV secolo a solo beneficio della nobiltà e dei militari presso la corte reale ungherese, pas classique hongrois) che fanno di Raymonda il titolo emblematico per una autorevole compagnia classica. La musica non è mai separata dai passi, anzi diventa un tutt’uno, un unico respiro armonico (con complicate “parole” di danza che vengono disposte in sequenze logiche creando “frasi” ricche di significato). Dalle notazioni coreografiche archiviate ad Harvard, dai disegni originali custoditi nel Museo e nella Biblioteca Teatrali di San Pietroburgo si è così messo il sigillo finale sul glorioso periodo dei balletti imperiali. Dai bozzetti e dai documenti originali del 1898, il balletto di Vikharev grazie agli sforzi e alle maestranze della Scala si è potuto recuperare nella sua messa in scena (con l’aiuto del ricercatore storico Pavel Gershenzon e di altri esperti del settore). L’esito è affascinante, la Collezione Sergeyev presso la Harvard Theatre Collection in cui sono custodite le notazioni trascritte con il metodo Stepanov ha restituito la coreografia di Marius Petipa. Le monumentali scenografie rinascono sulla base di modellini e fotografie e dei materiali messi a disposizione dall’Archivio Storico Statale Russo di San Pietroburgo.

Raymonda è un balletto che si sviluppa in tre atti e quattro scene, il libretto venne scritto da Petipa in collaborazione con Lydia Pashkova. Fu rappresentato a San Pietroburgo dal Balletto Imperiale al Teatro Mariinskij nel 1898 con la direzione orchestrale di Ivan Vsevoložskij, le scene di Oreste Allegri e con interpreti principali Pierina Legnani, Sergej Legat, Nikolaj Legat, e Pavel Gerdt. Definito gran balletto mediovaleggiante, risulta sontuoso, immerso in un’atmosfera fiabesca fra conti e contesse, cavalieri e saraceni, castelli e dame. A distanza di anni è ancora sorprendente la visione di tale versione, che si spera possa tornare presto sul palcoscenico del Piermarini, per godere con occhi contemporanei di un tempo lontano in cui il lieto fine (“e vissero felici e contenti”) è per sempre, senza mai passare di moda.

La trama, ambientata nel Medioevo e basata su una leggenda cavalleresca, è presto condensata nel racconto di una storia d’amore fra la protagonista e il principe. Il cavaliere parte per una crociata e il tirannico saraceno Abderaman molesta la giovane Raymonda. Nonostante i rivolgimenti del destino, i due giovani riescono a ricongiungersi, dopo la sconfitta degli infedeli e la riconquista dell’amore di Raymonda, esprimendo i loro sentimenti nel famoso Grand Pas Classique, per concludersi nell’Apoteosi con il matrimonio tra il gaudio di principi, invitati e cortigiani.

Messo in scena diverse volte dopo la prima rappresentazione originale: il Bol’šoj ne curò un’edizione nel 1900 con la coreografia di Aleksandr Alekseevič Gorskij; Michel Fokine ne creò una per i “Ballet Russes” di Diaghilev nel 1909, e Anna Pavlova lo portò in scena per la sua compagnia nel 1914. A Londra ad opera del Balletto Nazionale della Lituania si vide la versione di Nicholas Zverev nel 1935 e in seguito fu coreografato da George Balanchine e Alexandra Danilova per il “Ballet Russe de Monte Carlo” nel 1946. Lo ritroviamo con Konstantin Sergeev per il Kirov Ballet di Leningrado nel 1948 e con Rudolf Nureyev che rivisitò la versione di Petipa nel 1964. Nel 1976 comparve una nuova realizzazione al Teatro San Carlo di Napoli con Carla Fracci e Burton Taylor per la regia di Beppe Menegatti; ancora nel 1984 fece capolino la versione di Jurij Grigorovič per il Balletto del Bol’šoj. Importante anche la versione di Marinel Stefanescu, in prima rappresentazione l’8 novembre del 1977 al Teatro Petruzzelli di Bari, con le scenografie di Emanuele Luzzati e i costumi dello stesso Stefanescu. Il cast contemplava Liliana Cosi (Raymonda), Marinel Stefanescu (Jean de Brienne), Yelko Yuresha, Gheorghe Iancu, Pieleanu Paraschiv, Ion Bosioc (i cavalieri crociati), Louise Stefanescu, Adriana Scameroni (le dame della corte ungherese). Un nuovo allestimento, sempre a cura della compagnia Stefanescu/Cosi, andò in scena il 23 marzo del 1985 a Reggio Emilia presso il Teatro Municipale Valli con le scene e i costumi di Hristofenia Cazacu. Nel 2009 al Teatro dell’Opera di Zurigo viene presentata la versione coreografica di Heinz Spoerli su musica di Alexander Glazunov con interprete Aliya Tanykpayeva negli splendidi costumi di Luisa Spinatelli e la direzione musicale di Michail Jurowski. Nel 2004 Anna-Marie Holmes lo rivisitò per il Balletto Nazionale Finlandese, quest’ultimo allestimento fu messo allestito anche dall’American Ballet Theatre nel 2004 e dal Balletto Nazionale Olandese nel 2005. Carla Fracci interpretò nuovamente Raymonda nel 2008 per il balletto del Teatro dell’Opera di Roma con la regia di Beppe Menegatti, la coreografia della Fracci stessa da Petipa (passo a due del III atto e variazioni di Raymonda) e Gillian Whittingham da Loris Gai (scene e dei costumi di Raimonda Gaetani). Nureyev con Margot Fonteyn interpretarono, nel 1968, il terzo atto al Festival Internazionale del Balletto di Nervi diretto da Mario Porcile. Anche l’English National Ballet ha presentato una nuova produzione di Raymonda a cura di Tamara Rojo, in coproduzione con la Finnish National Opera and Ballet che trasferisce l’azione dall’era medievale al XIX secolo. La Rojo ha coinvolto lo storico di danza Doug Fullington per attingere alle informazioni della produzione originale, insieme a Sergey Konaev (anch’egli storico del balletto per diversi anni archivista al Teatro Bolshoi di Mosca).

Ma è proprio la versione registrata da Rai Cultura - rimontata dal Sergej Vikharev con oltre cinquecento costumi, quattro cambi di scena e numerose comparse - che ha fatto comprendere l’imponente ed importante ricerca per la ricostruzione durata più di un anno. Ricco di dettagli, è diretto con scrupolosa precisione dal compianto coreografo russo (scomparso prematuramente nel 2017 a soli 55 anni). Il lavoro si è attuato presso i Laboratori Ansaldo di Milano per dipingere a mano le scenografie, mentre per i costumi ci si è avvalsi dell’eccellente esperienza di Irene Monti (dai figurini primigeni di Ivan Vsevoložkij). Un patrimonio artigianale, quello della Scala, che esiste grazie al lavoro quotidiano degli oltre centocinquanta addetti tra falegnami, fabbri, carpentieri, scenografi, tecnici di scenografia, scultori, sarte, costumiste che da un semplice bozzetto realizzano l’intero allestimento scenico.

Raymonda non è un balletto facile da portare in scena. Con il suo monumentale cast, il ruolo arduo della prima ballerina (o étoile) e la trama leggera, è stato spesso trascurato o modificato in modo irriconoscibile, ma Vikharev ha restaurato caratteristiche da tempo scomparse dalle produzioni di tutto il mondo. Uno dei suoi punti di forza è stato ridare pienamente voce a Marius Petipa. La storia è narrata come era stata scritta, con un’ampia mimica e, di conseguenza, un ampio senso. La Dama Bianca, un ruolo non danzante, è daccapo comprimaria al castello di Raymonda e la storia d’amore, così superficiale nella maggior parte delle versioni, qui trae giovamento dai preparatori atti I e II che concorrono a spiegare i fatti successivi. Raymonda, è un banco di prova per gli artisti, ma anche una sfida che pochi teatri possono concedersi (alla Scala sono stati necessari diciotto mesi di preparazione e due per le prove) così da restituire al balletto la sua splendente totalità, senza alterazioni, lasciando trionfare (in tutti i sensi) la saga primordiale.

Friedrich Nietzsche scriveva “filologia, infatti, è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento."