Isabella e una bottiglia di Cirò

di Roberta Pedrotti

Con Azio Corghi non ci lascia solo un compositore, un musicologo, un didatta, ma soprattutto un Maestro, un grande intellettuale e, per molti, un amico.

Io non scrivo coccodrilli, non amo le celebrazioni, gli omaggi, i necrologi. Non sono nelle mie corde, a meno che non si tratti di ricordare una persona che ho conosciuto davvero, o che comunque per me ha significato qualcosa. Questo era Azio Corghi.

Svegliarmi con la notizia che Azio non c'era più è stato un tale choc da bloccarmi nella scrittura per l'intera giornate. Altre volte mi ero avventata sulla tastiera per dare sfogo al dolore o anche solo alle memorie. Ieri no. Ieri mi sono sentita sola e incapace di articolare un pensiero,

Azio era un Maestro (non amo abusare delle maiuscole, ma in questo caso è d'obbligo) e, posso dirlo, un amico. Una persona che ascoltava, con la quale veniva naturale confidarsi, aprirsi, confrontarsi sull'arte, sull'attualità, ma anche su principi assoluti, sulla politica e sull'etica in senso lato, sui grandi temi della vita e della morte o sui nostri percorsi individuali. Allora, da un lato, con il vuoto assale anche il senso di colpa: una persona così, quando la si conosce, si rischia di darla per scontata. Azio c'è: so che se gli scrivo per esprimere un dubbio, per uno sfogo politico, per raccontare una cosa bella che mi è successa o chiedere un consiglio, lui risponderà subito e dirà la cosa giusta. E anche lui scriveva, chiamava, vuoi per commentare le elezioni, vuoi per condividere il dolore per la morte di Bruno Cagli. Ora, non è tanto la mancanza di quel che sarà, ma il pensiero delle mille occasioni che avrei potuto cogliere in passato per parlare con lui e che magari ho rimandato. Di persona non lo vedevo dal 2017, quando si festeggiavano i suoi ottant'anni e sapendo della sua passione per i piaceri della tavola volli portargli una bottiglia di Cirò di una cantina che conoscevo come ottima ma ancora poco distribuita nelle enoteche. Poi, però, non ci siamo più incontrati, solo scritti o parlati per telefono: non bisogna mai dare nessuno per scontato.

Poi, è difficile parlare di Azio perché si rischierebbe di parlare di sé. Leggendo anche le testimonianze di tanti suoi amici e allievi mi sono però resa conto che il mio particolare poteva essere raccontato in un universale: tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo hanno ricordi gratificanti perché lui era un vero Maestro in senso socratico, oltre che un intellettuale vero, curioso, aperto, onesto. La sua profonda libertà di pensiero lo portava a non ergersi mai in cattedra, ma a mettere a disposizione le sue esperienze e le sue competenze facendo sempre sentire importante l'interlocutore, senza temere di mettersi in gioco e di poter imperare dagli altri. Ho avuto la fortuna di assistere a un suo seminario di composizione e di ammirare il suo atteggiamento da primus inter pares, coordinatore di un dibattito in cui tutti erano coinvolti, tutti potevano dare un contributo o mettersi in discussione. Chi ha davvero valore, d'altra parte, non può essere sminuito dal riconoscimento delle idee altrui e Azio è stato davvero uno dei più grandi intellettuali e musicisti che abbia mai conosciuto. Coltissimo, animato da un amore profondo per l'arte e l'umanità, realizzava davvero il principio verdiano del progredire tornando all'antico: ricercava, sperimentava, elaborava sulla base di una conoscenza profonda e appassionata di chi lo ha preceduto. I suoi lavori su Bach, Rossini, Verdi dovrebbero parlare da soli, e spero continuino a farlo nei programmi delle istituzioni concertistiche, così come spero di vedere un po' del suo teatro nei cartelloni, lui che amava tanto la drammaturgia musicale e aveva realizzato con José Saramago uno di quei sodalizi che ricordano Mozart e Da Ponte o Strauss e Hofmannsthal. Ricordo che, non troppo tempo fa, gli confidai il mio rammarico che non avessero potuto metter mano insieme alle Intermittenze della morte, romanzo dalla struttura musicalissima anche al di là della presenza di un violoncellista fra i personaggi principali.

Forse quella sua integrità etica e politica, quel suo evitare ogni compiacimento, ogni autoreferenzialità, quel non essere mai “furbo”, ma sempre e solo una intellettuale e un artista intenzionato a fare ciò che ritiene giusto non gli avrà procurato né procurerà piogge di riconoscimenti ufficiali. Ma gli ha dato la riconoscenza eterna di tutti coloro (non solo i compositori, e quindi mi ci metto anch'io) che in qualche modo possono considerarlo un Maestro.

Per questo, concludo con un ricordo personale. Conobbi Azio quando realizzò per il Rossini Opera Festival Isabella. Teen Opera dall'Italiana in Algeri. Quando l'operazione venne annunciata, qualche semplificazione giornalistica fece passare la cosa come una riscrittura del capolavoro rossiniano per avvicinare i giovani, cosa che ovviamente infiammò la mia anima assolutista di adolescente: scrissi a Gianfranco Mariotti, sovrintendente del Rof, a Luigi Ferrari, direttore artistico, ad Azio Corghi. Nessuno di loro mi trattò con sufficienza, anzi, sono tutte persone con cui ho instaurato un rapporto che ho tuttora fra gli affetti più cari. Quando poi (avevo ormai diciassette anni), Isabella andò in scena mi accorsi già col senno di allora di quale finezza compositiva stava alla base di certi intrecci dei temi rossiniani, che in quel lavoro c'era molto di più. E, soprattutto, imparai ad aprirmi alla musica contemporanea, ad ascoltare il nuovo con curiosità e senza pregiudizi. Ecco un motivo, non l'unico ma il primo in ordine di tempo, per cui considero Azio un grande Maestro, di musica e di vita. Un maestro di cui sentirò la mancanza, ma soprattutto la responsabilità del testimone che con il suo esempio ha lasciato a tutti coloro che lo hanno conosciuto.