Storia di tre assenze

di Roberta Pedrotti

“Dammi una Pepsi senza” “Senza che? Se vuoi dire senza pagare hai sbagliato posto!” Catapultato negli iperglicemici e ipercalorici anni '50, l'adolescente del 1985 ha il suo bel da fare a ordinare una bevanda senza zucchero in Ritorno al futuro. A noi, invece, il destino ha preparato un imprevisto menù di “musica senza” in giro per l'Italia. Coincidenza curiosa, che non festeggiamo – è una dieta alla quale è meglio non sottoporsi – ma nemmeno trascuriamo.


Jesi, Tosca senza Tosca

JESI, 15 dicembre 2022 - Si chiude la stagione lirica della Fondazione Pergolesi Spontini e l'unica opportunità per intercettare questa Tosca – dopo che non era stato possibile assistere agli spettacoli precedenti – è l'anteprima per le scuole. Tanto meglio, si mette in conto la possibilità che qualcuno, alla vigilia del debutto ufficiale, si risparmi un po', ma si può entrare in contatto con le attività di formazione per il pubblico più giovane. La sala, infatti, si popola di ragazzi per lo più delle superiori, come sempre in questi casi bisogna sopportare qualche chiacchiera intemperante, ma si gode anche dell'atmosfera che si crea quando invece l'opera comincia a conquistare la sala. Certo, sul limbo fra rapimento e distrazione si affollano gli interrogativi: sapranno queste esperienze istillare la curiosità a tornare a teatro anche in autonomia? Da dove viene la diffusa incapacità a stare zitti per tutta la durata di uno spettacolo? Qualcuno ha mai spiegato che il fischio non è inteso come segno di approvazione e anche certi acuti ululati durante gli applausi non sono ben catalogabili nei codici dell'assenso o del dissenso? Frattanto, però, se qualcuno si distrae non possiamo fargliene una colpa, perché non è proprio facile seguire una “Tosca senza Tosca”, con la titolare Francesca Tiburzi assente per indisposizione e sostituita nell'azione dall'aiuto regista, mentre per il canto non si trova rimedio. Nel primo atto silenzio, con giusto qualche frase lanciata dal direttore Nir Kabaretti per dare le direttive all'orchestra e al resto del cast. Negli atti successivi contribuisce, accennando dalle quinte, anche una maestra collaboratrice, ma non può sostituire sempre la voce assente, sicché l'effetto per chi conosce l'opera è quasi di una versione karaoke in cui, mormorando sotto la mascherina, ci si mette alla prova nella memoria degli attacchi esatti (non è facile, anche per un'opera che sembra di sapere da sempre per osmosi). Con abilissimo esercizio retorico il direttore artistico Carrara pone l'accento sulla possibilità di concentrarsi sulla scrittura orchestrale di Puccini: verissimo, sia perché la partitura è oggettivamente un capolavoro di drammaturgia strumentale, sia perché la Filarmonica marchigiana ammalia ancora con il bel suono e i frutti del lavoro degli ultimi due anni (e siccome piange il cuore ricordarlo, non torniamo sulle tristi vicende della fine di quell'esperienza e sulla paralisi amministrativa che la fa ancora navigare a vista). D'altra parte, però, ci si rende ancor più conto conto che l'organismo della partitura non vive di segmenti separati e in molti punti l'attacco è dato inesorabilmente dalla voce, dall'atto teatrale, dal gesto musicale della scena in relazione a quello in buca. È ovvio, sì, tanto ovvio da parer scontato finché non se ne fa a meno. Va da sé che il direttore non possa concertare granché e si prodighi per far funzionare il più possibile ciò che deve esser provato, a maggior ragione di fronte a un pubblico. Devid Cecconi (Scarpia) e Raffaele Abete (Cavaradossi) sono comprensibilmente un po' impacciati nel dialogare e duettare da soli, con una Tosca muta. I ragazzi in sala alla fine, giustamente, li premiano.

Anche sulla regia di Paul Emile Fourny, coprodotta con Metz, è ovviamente difficile, e forse nemmeno giusto, dir molto. Una certa staticità è connaturata alla necessità di condividere l'allestimento in teatri di piccole dimensioni e limitate risorse scenotecniche, ma semmai può lasciar perplessi l'idea di animarla con degli “angeli custodi” che sembrano più che altro le versioni zombie di Tosca, Cavaradossi, Scarpia e Angelotti tornati ad assistere alla storia delle loro morti.

Citiamo ancora il Coro lirico marchigiano Vincenzo Bellini preparato da Riccardo Serenelli, i Pueri cantores “D. Zamberletti” di Macerata diretti da Gian Luca Paolucci, Alessandro Della Morte (Cesare Angelotti/un carceriere), Giacomo Medici (Sagrestano/Sciarrone/un gendarme), Orlando Polidoro (Spoletta), Petra Leonori (pastorello). Le scene sono firmate dal regista con Patrick Méeus, che cura anche le luci; i costumi sono di Giovanna Fiorentini, bello soprattutto il primo di Tosca, mentre per Scarpia forse si potevano evitare i pantaloni attillati in pelle nera.

Alla fine, fra i tanti quesiti, un rammarico: tanti, troppi teatri sono costretti a rinunciare alle cover. Lo capiamo, non tutti hanno i mezzi per pagare cantanti potenzialmente a vuoto. Tuttavia, per tanti giovani può essere un'ottima palestra per studiare il repertorio e crescere professionalmente senza bruciarsi con esposizioni premature. Una “Tosca senza” ci insegna tante cose, anche che sarebbe bello poter evitare senza patemi d'animo gli inconvenienti che fanno parte del quotidiano.


Bologna, senza teatro e senza Traviata

BOLOGNA, 16 dicembre 2022 - Doveva essere il debutto del Comunale fuori sede, in questo caso all'EuropAuditorium in zona fiera, per via dei lavori che chiuderanno la sala del Bibbiena all'attività musicale per circa quattro anni (qualcuno dice un po' meno, speriamo non un giorno di più). Tra l'altro, per la maggiore capienza, le recite si contraggono e diventano solo quattro in quattro giorni, le tre compagnie previste in origine diventano due, il progetto registico si deve rimodellare su un piano prove ridotto e su un palcoscenico diverso. Basta poco, e tutto se ne va in fumo. Arriviamo all'ingresso e ci si dice che possiamo tornare a casa o andare a cena: niente Traviata stasera, niente debutto fuori sede. I lavoratori del Comunale aderiscono in massa allo sciopero generale e di certo esprimono un disagio su cui riflettere, anche se la mobilitazione è nazionale e non viene diffusa alcuna dichiarazione specifica. Si torna indietro con l'amaro in bocca, perché con così poche recite e così ravvicinate non sarà possibile recuperare lo spettacolo, ma si sa che lo scopo dello sciopero è creare disagio, non farci stare al calduccio e se i lavoratori del teatro hanno un problema questo ci riguarda tutti. Ci riguarda come amanti del teatro, ma anche come persone che per andarci a loro volta lavorano (sia chi guadagna il denaro per acquistare un biglietto, sia chi il biglietto lo ha direttamente in virtù del proprio lavoro), ma anche per chi non è coinvolto nello sciopero e perde in una sera il frutto del lavoro di giorni, settimane, mesi e anni (direttore, regista, cantanti...). Se uno spettacolo salta, vuol sempre dire che qualcosa non va, in teatro e nella società che lo circonda. Pensiamoci: anche una sera senza teatro e senza opera ci deve servire.

E speriamo che questa Traviata venga ripresa nelle prossime stagioni per poterla recuperare.


Roma, Orchestra senza direttore

RAI da ROMA, 18 dicembre 2022 - Che un'orchestra, soprattutto in certo repertorio e con organico ridotto, possa far da sé con il riferimento di una buona spalla non è cosa ignota o stravagante. Balza semmai all'occhio quando non è ufficializzata ma sul podio qualcuno si presenta.

Il concerto di Natale in Senato è un appuntamento istituzionale più che prettamente artistico, si sa, tuttavia, al netto di qualche caduta di stile (ci sono passati pure Allevi, Bocelli e Il Volo) ha mantenuto un livello medio alto negli ospiti e negli intenti, sicché anche quando non c'erano Muti o Maazel, Accardo o Gergiev, si trattava spesso di programmi significativi, per esempio con l'orchestra dei conservatori o il coro Mani bianche. Dunque, senza entrare in nessuna delle questioni extramusicali già sviscerate e sviscerabili nell'universo e in altri siti, ci concentriamo sul programma trasmesso in diretta tv da palazzo Madama, il tipico caso in cui si percepisce evidente la separazione fra la spalla dell'orchestra e il podio.

Prendiamo ad esempio la Sinfonia di Giovanna d'Arco di Verdi, in cui subito si nota la separazione fra il gesto direttoriale e quello orchestrale, soprattutto quando da una parte si vedono mani e bacchetta ondeggiare in un unico continuo movimento legato mentre gli archi evidenziano invece un'articolazione tutta staccata, oppure una gestualità più descrittiva sulla musica (anche nel viso, con le gote che si gonfiano sull'attacco dei tromboni) che presente nella musica. Il gesto non è causa del suono effettivo, semmai il contrario, ma anche così sempre sfasato in un'oscillazione fra ampiezza danzante e piccoli scatti che però non corrisponde a quella che è la reale articolazione. Allora, anche senza conoscere lo stile di Marco Mandolini, ottima spalla dell'Orchestra Haydn abituato anche a concertare programmi senza direttore, pare ovvio e naturale a chi osservi e ascolti con attenzione che si tratta di un'ottima prova di “orchestra con il pilota automatico” che si dà un tempo e si coordina con affiatamento e professionalità. Tant'è vero che, nella sostanziale correttezza esecutiva, quel che manca è proprio il quid che fa la differenza nella concertazione: uno scavo nella dinamica, nel colore, nell'accentazione che confermano un vuoto di vera personalità e autorevolezza sul podio anche al netto della trasmissione in streaming (ma la qualità della compressione audio di Rai1 soprattutto via web è superiore a quella di Rai5 da cui comunque questi elementi restano comprensibili).

Un discorso quasi identico si potrebbe ripetere per L'abbandono e La tregenda dalle Villi di Puccini, in cui la Haydn ribadisce di suonar bene, compatta, con un suono ben controllato e tuttavia manca qualcosa: manca il carattere, la suggestione, l'atmosfera dell'Abbandono come lo spirito febbrile, la danza diabolica e travolgente della Tregenda, che rimangono sottotono, subordinati a un'esigenza di correttezza, nonostante al moto blando della bacchetta si accompagni una mimica sopra le righe (e, ancora, senza rapporto con quanto ascoltiamo). Il bis della Tregenda, se possibile, risulta ancor più piatto e schematico, privo di un'autentica propulsione metrica e ritmica, inutilmente appesantita. La visione attenta è quasi un manuale, per negazione, del senso della direzione e della concertazione, che non deve seguire ma condurre e ispirare l'orchestra, che non deve disperdersi in gesti e mimica d'effetto, ma far ciò che è giusto ed esatto per dare un vero punto di riferimento ed esprimere le proprie idee. Altrimenti, si gioca a dirigere davanti allo specchio o al video di un altro concerto, altrimenti l'orchestra fa da sé e dimostra che tanto quanto un direttore può fare la differenza, allo stesso modo può essere inutile se questa differenza non la sa fare.

Istruttivo, quindi, anche il concerto dal Senato “senza direttore” sebbene ufficialmente ci fosse e non si sia data a Marco Mandolini e ai suoi colleghi il merito di autogestione e ascolto reciproco che spetta loro.