La necessità del pensiero e dell'incontro

di Roberta Pedrotti

 

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Spettacoli e artisti dell'anno

Le prospettive per il 2023

Il giro del mondo in più di cento tappe musicali. Google maps mi informa solerte che già in novembre aveva percorso una quantità di chilometri pari alla circonferenza media del nostro pianeta; la verifica delle recensioni mi porta a contare una  cinquantina di concerti (in realtà potrebbero essere anche una sessantina o più, dato che in alcuni casi come il Festival Trame sonore di Mantova o altri appuntamenti sono difficilmente quantificabili), almeno sessanta opere (anche qui, alcuni spettacoli visti più volte e dittici possono far lievitare il numero). Non male davvero, per tirare le somme in un moto continuo che mi ha portata a teatro in Austria, Francia, Irlanda e Oman, ma anche a fare un giro d'Italia che in meno di due settimane ha toccato, con una recita praticamente ogni sera, Pesaro, Macerata, Martina Franca, Benevento e Montepulciano. Di questi viaggi, più ancora delle singole opere e concerti, mi è rimasto il tesoro della musica come occasione di incontro con persone e realtà diverse. 

In tanta quantità, per fortuna, le belle serate sono state molte ed è difficile stilare delle rose ristrette di nomi e spettacoli per un'ideale classifica, ma proverò comunque a sintetizzare ciò che più mi ha colpita. Si vedrà che l'età media delle mie segnalazioni è piuttosto bassa, ma è un dato di fatto senz'altro piacevole che non deve indurre nella tentazione del giovanilismo a tutti i costi. Anzi, teniamo presente, sia per le "rivelazioni" sia per tutti i fenomeni di moda che la cautela è d'obbligo: ho sentito, in questo anno, anche ragazzi ed ex ragazzi buttati allo sbaraglio o magari a forte rischio di sopravvalutazione precoce, alcuni impari al compito, altri dotati d'indubbie doti ma non tali da gridare al miracolo. Teniamo presente proprio l'esempio di due direttori ascoltati quest'anno, in carriera ed entrambi lanciati prestissimo: Daniel Harding mi ha colpita con l'energia e la maturità della sua lettura, mentre Diego Matheuz nel Comte Ory a Pesaro ha mostrato parecchi limiti e una concertazione decisamente superficiale. 

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Le prospettive per il 2023


Un anno di musica e teatro

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Le prospettive per il 2023

SPETTACOLO dell'ANNO

La mia triade perfetta è formata da un Rossini serio, uno buffo e una pietra miliare del Belcanto romantico: Il barbiere di Siviglia a Macerata per me è stato un po' lo spettacolo dell'anno per la felice combinazione di elementi positivi, entusiasmo e qualità da ogni punto di vista. L'Otello a Pesaro, però, ne è stato il perfetto contraltare tragico, parimenti azzeccato in tutti gli aspetti. E poi c'è la Norma di OperaLombardia, esaltante per la concertazione e il cast, nonostante la cornice scenica (bella l'estetica di Tommaso Lagattolla, anonima la regia di Elena Barbalich) non aggiungesse granché. Dietro questa triade avrei molte altre cose da ricordare, fra cui Macbeth a Fermo, Boris Godunov alla Scala, La favorite a Bergamo e Ariadne auf Naxos a Bologna. Sono grata al Festival di Wexford e a Belcanto ritrovato per avermi permesso di ascoltare musica più unica che rara.

DIREZIONE d'ORCHESTRA

Per me il direttore dell'anno è senz'altro Alessandro Bonato, forse il musicista che più mi abbia impressionata almeno dai tempi del debutto di Jurowski. Ho ascoltato in Rossini e Bellini, Brahms e Mozart, Musorgskij e Johann Strauss II, Šostakovič, Ravel, Čajkovskij e Beethoven sempre a livelli altissimi per cura del suono, sensibilità artistica, profondità di lettura e naturalezza del porgere, controllo ed equilibrio, adesione stilistica. Ma il bello è che oggi abbiamo una fioritura di bacchette italiane nate negli anni '90, e quindi non posso non affiancargli il bravissimo Michele Spotti, che si conferma maturo, solido, pronto, ma mai routinier. L'impresa della Beatrice di Tenda a Martina Franca lo ha confermato: è un artista su cui puntare per il futuro ma anche per il presente, capace anche lui di coniugare la freschezza e l'entusiasmo della gioventù con la serietà di una salda preparazione. Sarà un caso che nel 2022 sia Bonato sia Spotti abbiano debuttato a Vienna sul podio di complessi viennesi?

Poiché la mia formazione classicista ama le triadi e poiché il Macbeth a Fermo è andato molto bene, dico che sono contenta di poter risentire un altro under 30, Diego Ceretta, in più occasioni nel prossimo anno: anche lui promette molto bene.

Fra gli over 40, allora cito Chailly per Boris Godunov, Valčuha per Ariadne auf Naxos e Abbado per La forza del destino.

REGIA

Un uomo e una donna, un nome nuovo e uno già ben conosciuto, anche con ruoli diversi, entrambi alle prese con Rossini: premio Daniele Menghini per Il barbiere di Siviglia e Rosetta Cucchi per Otello, non per nulla due spettacoli dell'anno. Premio speciale a Pierluigi Pizzi per il Macbeth a Fermo

SOLISTI

Largo ai giovani: Gennaro Cardaropoli al violino e Antonii Baryshevskyi al pianoforte, sebbene l'aver ritrovato dal vivo Sokolov e sentito (ebbene sì!) per la prima volta Kissin non sia da trascurare, né l'ascolto dal vivo di virtuosi di strumenti meno inflazionati: l'arpista Xavier de Maistre e il percussionista Christoph Sietzen.

CANTANTI

Una conferma e una rivelazione fra i soprani: Eleonora Buratto (che si conferma bravissima ma stupisce sempre per come sappia affrontare Verdi e Puccini e poi essere così a fuoco in Rossini) e Martina Gresia, con il suo notevolissimo debutto in Norma. Ma l'anno è andato molto bene per il registro più acuto, con la conferma della statura artistica di Mariangela Sicilia (Desdemona a Bologna), il sorprendente debutto come Lucrezia Borgia di Olga Peretyatko, l'ammirazione per Marta Torbidoni nella stessa Borgia e quale Luisa Miller (sempre a Bologna), Giuliana Gianfaldoni come Beatrice di Tenda a Martina Franca e Francesca Aspromonte come Almirena a Tours. Jennifer Davis come Armida di Dvorak a Wexford, Lidia Fridman come Lady Macbeth a Fermo. A loro aggiungo il fenomenale Bruno de Sà, che è un giovanotto barbuto, ma ha naturalissima voce di soprano e la usa assai bene.

Mezzosoprani: voto Annalisa Stroppa per La favorite. E poi bravissima Silvia Beltrami, nonnina nel Joueur a Martina Franca, così come Agostina Smimmero come Cieca nella Gioconda.

Controtenori: s'impone Carlo Vistoli per Xerse a Martina Franca.

Tenori: brillano per me Luciano Ganci (Aroldo e Chénier) e Javier Camarena (La favorite), però anche qui è stata una buona annata, retta non solo dall'eterno Gregory Kunde (che comunque a Bologna ha fatto una tripletta Otello/Luisa Miller/Chénier di tutto rispetto) ma anche, almeno, da Enea Scala (Otello rossiniano).

Baritoni: anche qui potrei fare diversi nomi, per esempio citare Alessandro Luongo, Giorgio Caoduro, Davide Luciano, però alla fine sul gradino più alto del podio metto Roberto De Candia per Bartolo e Melitone. Alessandro Corbelli, Don Giulio a Bergamo, è ormai un monumento al di là del bene e del male.

Bassi: Ildar Abdrazakov, mi pare inevitabile. Mi piace citare anche l'Oroveso di Michele Pertusi, l'Alvise Badoero e il Baldassarre di Simon Lim e riservare una menzione per il giovane Giorgi Manoshvili.

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Ripartiamo da testo e pensiero

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Spettacoli e artisti dell'anno

Naturalmente, non è solo tempo di consuntivi, ma anche di prospettive. Lancio allora alcuni spunti di riflessione per l'anno nuovo.

Filologia, testo, consapevolezza

La filologia, è bene ricordarlo, non è una scienza esatta e immutabile, ma si evolve nelle metodologie e nella percezione di cosa sia auspicabile sotto il profilo stilistico. Va da sé che sia anche materia specialistica, o comunque portata all'attenzione di una cerchia più ristretta di pubblico: proprio per questo, però, le direzioni artistiche, i direttori, i registi dovrebbero - come i critici - porre maggiore attenzione a quello che si propone. Tornando alla memoria a qualche anno fa, ci si potrà ben ricordare che a Pesaro - festival monografico dove la maggior parte del pubblico si presuppone più attenta a certi temi - si accendevano dibattiti feroci non tanto o non solo su una regia o la scelta di un cantante, quanto più sull'opportunità di alcune variazioni o di un'aria di baule. Oggi, purtroppo, si riscontra una sempre minore attenzione su questioni che invece dovrebbero essere sostanziali nell'approccio a un'opera, prima fra tutte la consapevolezza del testo adottato e la sua coerenza. 

Alcuni esempi pratici: la Fondazione Rossini e Casa Ricordi non hanno una propria edizione critica del Comte Ory, ma esiste quella edita da Bärenreiter e curata da Damien Colas, vale a dire il maggior esperto dell'attività parigina dei compositori italiani nell'Ottocento. Ora, non siamo al corrente delle eventuali trattative in merito, né sullo stato delle antiche ruggini della polemica fra Alberto Zedda e Philip Gossett che portò lo studioso americano ad abbandonare la Fondazione proprio in favore dell'editore tedesco, tuttavia dobbiamo riconoscere il dispiacere nel vedere un'opera data a Pesaro non in edizione critica quando un'edizione critica di ottima firma esisterebbe. Peraltro, lo splendido lavoro di Eleonora Di Cintio sulla Cambiale di matrimonio confermerebbe il valore delle nuove generazioni in forza alla Fondazione Rossini. Parimenti, dare il Xerse di Cavalli, opera nota per le sue ampie proporzioni, salvo poi tagliuzzarla per addomesticarne la durata come è avvenuto a Martina Franca in un altro festival dalla tradizione altamente specializzata deve far riflettere. Né bisogna dimenticare che non solo alla Scala si vede attuare la scelta drammaturgicamente e musicalmente insensata di innestare nel finale della seconda quello della prima versione del Macbeth verdiano, cosa che potrebbe essere ammessa solo con la coscienza di un'eccezione che deve essere assai ben motivata. D'altra parte, un altro esempio di un senso malinteso di integralità (inseriamo tutto quello che l'autore ha scritto!) rispetto alle logiche e all'equilibrio di un'opera si vede nel Turco in Italia, che ormai è entrato in uso in una versione ibrida che accumula tutte o quasi le arie opzionali o alternative scritte o approvate da Rossini senza considerare che mai le approvò per l'esecuzione tutte insieme. Così si verifica ciò che abbiamo visto con Don Giovanni, per il quale si è consolidata una forma mista fra le versioni di Praga e Vienna (e, quindi, due arie per Don Ottavio e due per Donna Elvira, quando Mozart e Da Ponte ne previdero una a testa in ciascuna versione). E, a proposito di Don Giovanni, nella recente produzione OperaLombardia abbiamo visto addirittura "Dalla sua pace" anticipato subito dopo "Che giuramento, oh dei" senza alcun senso drammatico e musicale (se gli autori l'hanno posta dopo "Or sai chi l'onore" sapevano quel che facevano); al contrario, in una produzione problematica per mille motivi, nella poco riuscita Trilogia d'autunno ravennate, si è almeno avuta l'occasione di ascoltare Don Giovanni nella versione di Praga, rinunciando a "Dalla sua pace" e a "Mi tradì quell'alma ingrata", ma guadagnando - sorpresa! - una fluidità drammaturgica di per sé superiore all'accumulo di bellissima musica a cui siamo abituati. Sarà anche difficile fare a meno di qualcosa, ma non è detto che non ne valga la pena, se questa era l'idea degli autori. Speranze concrete per il futuro, peraltro, ci sono: Il barbiere di Siviglia a Macerata e Norma per OperaLombardia con Bonato (che ha pure ben tenuto a battesimo la prima dell'edizione critica della Cambiale di matrimonio in Oman) integrali e con scupolo filologico come La traviata diretta da Enrico Lombardi sempre per OperaLombardia fanno capire che la sensibilità giusta nelle nuove generazioni si può trovare.

Dunque, l'auspicio per questo e i prossimi anni è che si torni a parlare più e meglio di filologia, che non si consideri l'opera italiana, anche quella barocca, una confezione di Lego da combinare a piacimento, ma un testo coerente con una propria logica da conoscere e comprendere. Le libertà, poi, si possono prendere, ma solo se si padroneggia il linguaggio.

Critica e società

Il 2022 ci ha posti di fronte a molti dibattiti etici legati all'attualità e a dinamiche sociali in evoluzione. Penso, ovviamente, alle ripercussioni della guerra in Ucraina (caso Gergiev, ma non solo) e alle tematiche di genere o etniche (per esempio, la questione del blackface sollevata dal soprano Angel Blue). L'arte, il teatro, la musica, d'altra parte, non posso essere una turris eburnea avulsa dal mondo che le circonda, da cui provengono e in cui si muovono gli artisti che le danno vita e il pubblico a cui si rivolgono. Conviene e sarebbe anzi doveroso ascoltare e dialogare, il che non vuol dire assorbire passivamente ogni istanza, ma contribuire a una crescita dialettica. Questo dovrebbe metterci anche al riparo dai sensazionalismo e dagli slogan che spesso distorcono i concetti dando vita a vere e proprie fake news che avvelenano il confronto invece di portare a una soluzione. Solo chi non è sicuro di sé, non ha competenza, consapevolezza e argomenti teme di mettersi in gioco e, nel caso, di cambiare, anche perché il cambiamento può essere evoluzione, non necessariamente negazione di sé.

Per questo ritengo sia fondamentale da parte di tutti una rivalutazione profonda del pensiero critico e quindi anche dell'attività critica (musicale, teatrale, letteraria, artistica che sia). Non si tratta di friggere aria su un regno di nuvole immaginato da Aristofane o Swift, ma si tratta di mettere il pensiero al centro dell'attenzione, contro i rischi del muro contro muro a prescindere, dello scontro urlato per luoghi comuni, della superficialità che dà spazio al pensiero distorto, falso, complottista. Alla boutade di chi ha pensato di creare una lista di critici "buoni" approvati dallo Stato possiamo rispondere con la qualità di un pensiero veramente libero. Libero anche dalle prese di posizioni a priori, dagli schieramenti che si ripetono ciclicamente dai tempi dell'asianesimo e dell'atticismo, dei filoelleni e degli antielleni, "des anciens et des modernes", dei lullisti e dei ramisti, verdiani e wagneriani, callasiani e tebaldiani... fino agli amanti delle regie moderne per partito preso e ai tradizionalisti a prescindere. E magari liberi anche dalla necessità di trovarsi d'accordo a incoronare rivelazioni e artisti di moda, di crearci zone di conforto umano e artistico. Poi, questi problemi non sono nuovi, seppur rapportati a nuovi media, tutti abbiamo i nostri limiti umani, certo, e anche questo il bello del pensiero critico: sa di non essere infallibile e quindi ragiona sempre anche su sé stesso.

Ditemi voi, signori, se non ne abbiamo bisogno? Dal 2023 proviamo a rivalutare il ruolo della critica, che ridimensioni come si deve i fenomeni senza sostanza, che vagli percorsi e meriti, che dia sostanza a un dibattito serio e argomentato, ragionato e costruttivo. Il mondo di oggi, l'arte che si confronta con la guerra, la globalizzazione, le tematiche sociali, di genere, religione, etnia ha più che mai bisogno di una critica vera, che deve essere riconosciuta e riconoscibile, in relazione sana di dialogo disinteressato con gli artisti e il pubblico, che persegua i principi deontologici di trasparenza, onestà, lealtà e buona fede con la responsabilità anche dello studio costante. Roba che non si mangia, eppure necessaria.

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