di Alberto Ponti
Riflettore puntato sul 2023 msuciale a Torino dal punto di vista di Alberto Ponti
Lasciato ormai in modo definitivo alle spalle il momento di magra conseguente all'epidemia di Covid, Torino nel 2023 ha saputo rinnovare la sua grande offerta concertistica grazie all'attività delle principali istituzioni musicali cittadine, tanto che in alcune serate, fra Teatro Regio, Auditorium Rai, Conservatorio e Concerti del Lingotto capita addirittura che si sovrappongano eventi di sicuro interesse con gli ascoltatori costretti a dubbi amletici e scelte sofferte.
A livello personale, mi trovo con una certa frequenza a Roma per lavoro e debbo dire che, al di là della qualità degli interpreti (quasi sempre di alto livello), il panorama musicale della capitale mi appare sovente meno ricco di opportunità.
Tra i protagonisti degli appuntamenti sotto la Mole tante conferme e qualche bella sorpresa.
Per la stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, sotto la bacchetta di Daniele Gatti si è ascoltata un'ottima integrale delle quattro sinfonie di Mendelssohn con una seconda (Lobgesang, la più ostica della serie in chiave interpretativa) di rara intensità. Un altro maestro italiano, Fabio Luisi, è salito sul podio più volte, in virtù della sua nomina a direttore emerito, privilegiando nei programmi pagine del grande repertorio tardoromantico: a una magniloquente ma analitica Settima di Mahler presentata a febbraio si contrappone una più appassionata lettura della Quinta di Čajkovskij ad ottobre, nel primo concerto della stagione 2023-24. Ritornando indietro al Settecento, Ottavio Dantone ha lasciato il segno in due memorabili concerti a fine marzo, esplorando oltre al Mozart e Haydn proiettati al futuro delle ultime sinfonie anche nomi meno battuti ma di grande fascino, tra cui il gradevolissimo concerto per violino in sol maggiore (solista Roberto Ranfaldi) di Joseph Boulogne, Chevalier de St. Georges. Altra riscoperta è il concerto per violino di Robert Schumann, purtroppo di sporadica esecuzione, a cui ha reso giustizia la lettura appassionata e delicata allo stesso tempo di Sergey Khachatryan. Se ci spostiamo dall'archetto alla tastiera, un'autentica scoperta è stata Yulianna Avdeeva, pianista russa già vincitrice del Concorso Chopin nel 2010, che per il suo debutto con l'Osn Rai ha scelto la Rapsodia su tema di Paganini di Rachmaninov dove ha avuto occasione di sfoderare un connubio di tecnica impeccabile e squisita sensibilità, accompagnata da uno Juraj Valčuha in gran forma, protagonista ancora nel nome di Rachmaninov nella seconda parte della serata con una Terza sinfonia dai tempi serrati e dall'accesso senso teatrale.
Sempre gradito il ritorno di James Conlon, con una drammatica Incompiuta di Schubert seguita dai brani sinfonici della wagneriana Götterdämmerung.
Numerosi gli appuntamenti con Robert Treviño, direttore ospite principale: a tre capisaldi del repertorio quali Quinta e Sesta di Mahler e Sacre di Stravinskij, concertati con generosa enfasi, sono stati affiancati brani di maggiore introspezione, tra cui non si può non ricordare il Concerto per viola di Schnittke, solista un eccellente Antoine Tamestit, dalla scrittura sinfonica non meno impegnativa di quella dello strumento in rilievo. Ricco di spunti l'esordio della franco-albanese Marie-Ange Nguci nel concerto per pianoforte in do minore di Mozart, dal tocco curato e seducente nonostante una visione interpretativa abbastanza convenzionale del lavoro. Fin troppo originale è invece stata la presentazione da parte di Ivo Pogorelich degli Études Symphoniques di Schumann nella sala grande del Conservatorio per MiTo Settembre Musica: durata dilatata all'inverosimile e sovrabbondanza di forte e fortissimo in grado di mettere in luce insospettate parentele con Wagner.
Torino è spesso tappa obbligata del gotha del concertismo internazionale. Quest'autunno hanno fatto registrare il tutto esaurito due miti viventi del pianoforte. Martha Argerich, superata l'ottantina, ha assottigliato da tempo il repertorio ma, quel poco che fa, lo fa in maniera egregia. Il suo Concerto n. 1 di Beethoven, valorizzato da un tocco unico fin nelle minime sottigliezze, è uno dei più affascinanti che oggi ci sia dato ascoltare. Un discorso analogo vale per Grigory Sokolov, a cui l'8 novembre l'auditorium del Lingotto ha tributato quasi mezz'ora di applausi trionfali, inframezzati da un numero elevato di bis. Programma abbastanza introverso, senza pezzi di richiamo virtuosistico (Bach e Mozart) ma ricreati alla tastiera con gusto e intelligenza fuori della norma. Non c'è due senza tre, e non si può non ricordare la serata incandescente di fine maggio con Kirill Petrenko sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale con Alban Berg (Tre pezzi op. 6) e Jean Sibelius (Lemminkainen Suite op.22). L'attuale guida dei Berliner Philarmoniker riesce a imprimere un'impronta personale e un'impressionante esattezza di suono a qualsiasi compagine si trovi davanti.
Sul fronte del massimo teatro torinese, l'anno è iniziato con un Barbiere di Siviglia: a emergere è stata soprattutto la direzione sostenuta e scintillante di Diego Fasolis con un cast dove hanno suscitato buona impressione l'Almaviva di Nico Darmanin e la Rosina di José Maria Lo Monaco. Si destreggia con buon mestiere Michele Gamba sul podio del Regio a fine febbraio con un banco di prova più che impegnativo quale Aida, con protagonisti principali Erika Grimaldi, che si conferma voce dal timbro duttile e sfaccettato, e Gaston Rivero, interprete appassionato ma con qualche riserva nel registro medio acuto. A spezzare una lancia in favore della versatilità di Gamba, ricordiamo che poche settimane più tardi, all'auditorium, si è cimentato con i padri della musica di oggi Bernd Alois Zimmermann e Iannis Xenakis. Nel solco della tradizione è stato Il flauto magico di aprile sotto la guida dell'impetuoso, talvolta al limite dell'irruenza, Sesto Quatrini, con un'ottima impronta lasciata da Ekaterina Bakanova (Pamina), soprano dall'intonazione sicura e capace di raggiungere un'alta densità emotiva, così come Serena Sainz (Regina della Notte), che supplisce con una tecnica di prim'ordine a un'emissione vocale non potentissima. Maggiormente in ombra i ruoli maschili di Tamino (Joel Prieto) e Papageno (Alessia Arduini), sacrificati anche da una regia che, pur innovativa e intrigante, annullava il lato comico dei personaggi.
A seguire, in chiusura di stagione 2022-23, due titoli ritagliati su misura per figure femminili di forte impatto. La donizettiana Fille du régiment poteva fare affidamento su una coppia di partner del calibro di Giuliana Gianfaldoni e John Osborn, sostenuti da un comprimario di lusso quale il Sulpice di Simone Alberghini, in uno spettacolo le cui fila sono tenute con sapiente maestria dalla bacchetta di Evelino Pidò, per il migliore dei ritorni al Regio dopo oltre 15 anni di assenza. La successiva Madama Butterfly, con la ripresa dell'ormai storico spettacolo di Damiano Michieletto, poteva vantare, con la muscolosa conduzione di Dmitri Jurowski, un cast di vaglia, capitanato da Barno Ismatullaeva (Butterfly) e Matteo Lippi (Pinkerton), nell'occasione forse un poco al di sotto delle aspettative nel bilanciamento tra canto e presenza scenica.