L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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IL DISCORSO MUSICALE NEL XVIII SECOLO

LA TEMATIZZAZIONE DEL SOGGETTO

In Francia, sul finire del Seicento, prende il via un acceso dibattito fra sapienti, che vede contrapporsi gli Antichi ai Moderni, e il principale teatro della cosiddetta Querelle des Anciens et des Modernes sono pagine concernenti l’arte, dunque anche la musica, e la letteratura. I primi “contendenti” sono coloro che sostengono che la classicità greco-romana costituisca un modello cui ispirarsi, ma non superabile, mentre i Moderni sono i difensori del progresso e delle possibilità degli artisti e letterati loro contemporanei.

Nelle opere dei Moderni, inoltre, emerge che la musica non è solo scienza; inizia a configurarsi come una sorta di antropologia, il cui fine è l’esplorazione dell'uomo. L’interiorità, specchio dell’esteriorità e asilo dell’irripetibilità, è agitata come una sorta di atmosfera interna, motivo di felicità e dolore: le considerazioni estetiche moderne sulla musica (che, come già detto, sono tali nonostante la coniatura del termine sia successiva al XVIII secolo) vogliono portare pace tra il mondo interno dell’uomo e quello esterno che, irrimediabilmente, lo turba, lo scuote, e indagare gli effetti che la musica ha su chi la ode.

L’esperienza musicale, nel Settecento, coinvolge la triade esecutore-esecuzione-ascoltatore. È la prima volta che ci si interessa anche al pubblico: si scrivono testi per chi, pur non conoscendo la musica, riflette e si interroga su di essa e sulle emozioni che suscita.

L’ottica si sposta dall’oggetto al soggetto. Ogni essere umano è un unicum di esperienze, vissuto, educazione, ha un’interiorità che lo contraddistingue e che proietta all’esterno la propria impressione della realtà: in tal senso, gli uomini non sono solo creature, divengono creatori, che plasmano la realtà grazie alla loro immaginazione. La musica è intangibile e altrettanto impalpabile è quel “certo non so che” che la pervade, a proposito del quale ognuno darà una personale interpretazione.

UN PUBBLICO RAFFINATO

Claudio Monteverdi coniò, nei primi anni del XVII secolo, l’espressione “seconda pratica”, che designava una tecnica compositiva che si opponeva alla tradizione polifonica e contrappuntistica. La pratica monteverdiana è assai differente da quella, ad esempio, di Gioseffo Zarlino, grande teorico musicale del Rinascimento: la musica è ora concepita in qualità di messaggera della passione, che tiranneggia le menti ed è qualcosa di più rispetto alla pura conoscenza; assistiamo, agli inizi del Seicento, ad una retoricizzazione della musica, che si popola di miti classici. Il teatro musicale seicentesco crea e mette in scena archetipi antropologici delle passioni, che, per gli uomini del tempo, erano estremamente nette e definite.

Dunque, vi furono sforzi atti a costruire l’interiorità ancor prima del XVIII secolo e l’estetica musicale è uno dei punti di arrivo di codesto processo. La progressiva costruzione del soggetto attraverso la musica culmina nel Settecento, quando si sviluppò una relativizzazione anche degli affetti. Il Seicento è caratterizzato da un’eccessiva ricerca di sentimenti puri e dalla pretesa di renderli statici, mentre nel XVIII secolo si auspica un ritorno all’equilibrio, si tenta di portare alla luce tutte le sfumature dell’animo.

Un primo passo verso la ricostruzione dell’individualità si ha certamente in epoca barocca, ma è alle menti illuminate che dobbiamo una vera svolta per la soggettività. Attraverso l’analisi dei sentimenti, nel Settecento si tematizza l’uomo musicale, non il teorico, bensì colui che percepisce e gode della sfera sonora e ha un’esperienza estetica da condividere; si è detto che le realtà salottiere ospitano sia uomini sia donne e la delicatezza di queste ultime le erge a giudici del bello. Il gentil sesso si ritiene conoscere bene la sensibilità, poiché il suo spirito è soave e questo rende le donne muse ispiratrici di discorsi musicali raffinati e scritti in cui si parla di musica, ma in maniera decisamente differente rispetto ai trattati.

Il trattato è destinato agli esperti, non agli amatori, mentre i generi letterari settecenteschi che lo affiancano danno vita a opere che non illustrano la musica come un costrutto; i protagonisti di questi innovativi generi sono persone dotate di sensibilità. Alcuni generi sono assolutamente nuovi, altri costituiscono invece la riscoperta e il recupero di forme preesistenti, in particolare rinascimentali; ricordiamo, ad esempio, l’opera del 1702 di François Raguenet, Parallèle des Italiens et des Français en ce qui regarde la musique et les opéras: il titolo richiama il modello umanista del genere letterario del confronto, la disputa delle arti, il cui scopo era cercare di capire quale arte fosse più vicina a Dio, mentre Raguenet si interroga sulle musiche nazionali italiana e francese, sostenendo che la prima sia superiore alla seconda.

La tradizione trattatistica non conosce una crisi nel Settecento: difatti, Rameau scrisse il suo trattato di armonia, Traité de l’harmonie réduite à ses principes naturels, nel 1722; però è innegabile che in quest’epoca vi sia anche un filone letterario musicale parallelo a quello dei trattati, di grande valore estetico e storico.

Gli scritti che anticipano, nell’Età dei Lumi, la disciplina che nel secolo successivo prenderà il nome di estetica musicale, contribuiscono a conferire alla musica nuove connotazioni e proprietà; quest’arte non è esclusivamente una semplice concatenazione di suoni. Gli schemi compositivi sono finalizzati a riprodurre l’interiorità, i sentimenti, gli affetti; la teoria è votata a muovere le passioni; la musica deve raggiungere l’individuo e accompagnarlo nel cammino che lo porta alla definizione della sua soggettività e unicità.

LA RICERCA DI PRINCIPI ORDINATORI: IL SISTEMA DELLE BELLE ARTI E LA QUESTIONE DEL GUSTO

Nell’antichità si cercava di controllare l’affettività: si pensi alla filosofia stoica, che condanna le passioni in quanto turbano il saggio. I filosofi classici identificano nella passione un fattore destabilizzante; per mantenere l’ordine sono necessarie precise regole, precetti basilari. In definitiva, questa tendenza è sentita anche dai Moderni, che avvertono il bisogno di una legge universale che dia stabilità e senso di compiutezza.

Pitagora quantificò il piacere dell’ascolto musicale stabilendo che i suoni sono matematicamente e proporzionalmente rapportabili tra loro: dai rapporti matematici deriverebbero consonanze e dissonanze, ergo piacere o fastidio per l’orecchio. Anche nel Seicento si cerca di rendere più “tangibile” la musica e si persegue un approccio di tipo scientifico, si indagano i corpi, si studia la fisica acustica. L’eredità seicentesca pone delle basi metodologiche per il secolo successivo: l’impostazione scientifica, che caratterizza anche il XVIII secolo, porta al sistema delle Belle Arti.

La necessità di unificare tutte le arti secondo un unico principio, cioè l’imitazione della bella natura, che riprende la mimesi aristotelica, è di chiara ascendenza classica. L’artista riesce a cogliere la vera bellezza intrinseca della natura e a mostrarla al pubblico attraverso le proprie opere, anche musicali; l’arte, in quanto imitazione del reale, permette all’osservatore-uditore di gioire del mondo, muovendo le passioni disugualmente rispetto a esso, mettendole in scena. Una copia, per quanto attiva e piena di vibrante vitalità, non è la realtà e chi ammira o ascolta ne è coscio. La riproduzione della natura e degli affetti è più confortante e riposante per la mente, che può abbandonarsi alla contemplazione. Quindi, l’arte diviene una sorta di mediatrice e permette di controllare le emozioni, che possono essere, in questo modo, anche minuziosamente analizzate e individuate.

Di fronte all’arte, però, diverse sono le reazioni. La soggettività della sensibilità porta ad un tema centrale, ovvero il gusto, che, nel Sei-Settecento, non ha più solo a che fare con gli oggetti del palato, ma coinvolge anche quelli dello spirito: è una facoltà di giudizio fondata sulla proporzione, che si situa a metà tra il concreto e l’astratto.

Precedentemente abbiamo sottolineato come ognuno abbia percezioni proprie, e, anche in ambito musicale, difficilmente è possibile individuare un’opinione universale. La musica è oggetto di dibattiti, provocati dai gusti personali. In un secolo che accomuna le arti in base ad un unico principio, si ricerca una legge che unifichi anche i gusti musicali, ricordando che il conflitto non è solo esterno all’uomo; non ci imbattiamo solamente in altre persone, dobbiamo confrontarci anche con noi stessi, tentando di accordare giudizio razionale (vicino alle leggi compositive, al bello “tecnico” e oggettivo) e istintivo (cioè dettato dal cuore, che può apprezzare anche qualcosa che la ragione non approva). Gli antichi soccorrono ancora una volta i moderni: la perfezione della proporzione è, in generale, universalmente riconosciuta come fonte di bellezza e piacere; eppure, la simmetria non basta, non riesce a ergersi come principio assoluto, che sembra, invece, essere, l’assenza di concordia.

Non è possibile stabilire con esattezza cosa sia davvero bello e cosa no, chi abbia ragione e chi torto. Ciò che conta è che tale questione sia stata sollevata e che alcuni autori si siano cimentati, ognuno a proprio modo, nella ricerca di una soluzione portatrice di maggiore equilibrio e benessere.

NUOVI GENERI LETTERARI

Gli scritti sulla musica non sono la musica stessa, ma le consentono di sopravvivere anche quando cessa di risuonare, perciò, indipendentemente dal genere, sono tutti degni di nota e di interesse musicologico, perché consentono di ricostruire il suono del passato.

I nuovi generi letterari settecenteschi non si interessano alla musica teorica, bensì a quella “viva”, quella che si ascolta a teatro, quella dei fruitori. Cercando di dare una delimitazione cronologica a codesti discorsi, sono individuabili due opere, poli fondamentali: la Lettre de Monsieur Le Gallois à Mademoiselle Reganault de Solier (1680) e Observations sur la musique et principalement sur la metaphysique de l’art di Michel Chabanon (1779).

Grazie a Le Gallois iniziamo a scorgere una realtà speculare a quella delle corti rinascimentali, si riscopre l’arte della conversazione nei salotti di signore illuminate; come la tradizione insegna, gli spiriti muliebri sono fini ed ora educano gli uomini, insegnando loro ad essere sensibili.

La lettera di Le Gallois sembra essere il primo testo che presenta particolari elementi di novità, sintomatici di una coscienza musicale estetica. Innanzi tutto, il rivolgersi ad un pubblico sensibile di non-professionisti; poi, la scelta del genere epistolare, già prediletto dagli umanisti, implica un nuovo modo di comunicare, la presenza di un interlocutore (anzi, di un’interlocutrice) rende il discorso meno formale, la lettera è uno scritto personale. Le Gallois parla di musica, ma non come uno studioso, nonostante definisca questa sua opera “trattato”: si chiede come mai la musica dia piacere agli uomini e per quale motivo, nonostante esistano regole ordinatrici, le menti abbiano pareri tanto diversi su di essa; per rispondere al primo quesito, l’autore si basa su assiomi metafisici platonici, affermando che sia l’uomo sia la musica sono formati da numeri e, in quanto simili, si attraggono.

Per quanto riguarda la questione dei gusti, Le Gallois si mostra consapevole del fatto che non esistono musiche e giudizi giusti o errati, ma svariate alterità che portano ricchezza conoscitiva: egli fa riferimento anche alle differenti musiche nazionali, di cui dirà anche Raguenet. Quest’ultimo era un ecclesiastico francese che si trattenne in Italia per circa due anni e, in questo periodo, ne seguì la musica da vicino. Al suo ritorno in Francia, Raguenet scrisse il testo che abbiamo citatovedi↑, per elogiare il melodramma italiano.

Dunque, nei discorsi preestetici compare anche il teatro d’opera e, secondo Raguenet, le arie italiane riescono talmente a veicolare gli affetti da rendere la musica italiana superiore a quella francese, affermazione che risveglia il patriottismo di Le Cerf de la Viéville, magistrato e aristocratico francese che, per riabilitare la musica della propria nazione, pubblica a sua volta un testo nel 1705: Comparaison de la musique Italienne et de la musique Française.

Quindi anche Le Cerf si rifà al genere letterario del confronto, mentre diversi anni dopo, esattamente nel 1748, Denis Diderot scrive di musica in un testo scientifico, nella prima memoria (Principes généraux d’acoustique) dell’opera intitolata Mémoires sur différents sujets de mathématique: lo scritto tratta di matematica e inaugura un’ulteriore forma letteraria che ospita discorsi musicali. L’enciclopedista riporta il focus sulla musica-scienza, problematizza la questione della diversità dei gusti con atteggiamento moderno approdando anch’egli a conclusioni classicistiche; è, insomma, l’emblema di un’estetica settecentesca che vuole opporsi a quella barocca, auspicando ad un ritorno alla semplicità, o meglio, come si diceva in precedenza, all’ordine.

Si è visto il genere epistolare, quello comparativo e, in ultimo, le memorie. Oltre a codeste forme, un’utile strumento per la diffusione del sapere musicale e delle nuove meditazioni in materia è il giornale: il primo in Europa, risalente a metà Seicento è “Le journal des scavans”. Un ulteriore genere è, indubbiamente, il saggio.

Nel XVIII secolo, poi, l’Europa si apre al resto del mondo, la lettera di Le Gallois e i paralléles di Raguenet e Le Cerf dimostrano che ci si comincia a rendere conto di “altre musiche” e culture; il diario di viaggio è una fonte di conoscenza per i posteri di tale varietà sonora, oltre a testimoniare il nuovo interesse maturato dagli uomini del Settecento. La diversità non è guardata con sospetto, risulta piuttosto stimolante.

Accanto ai trattati, si sviluppano, quindi, tipologie scrittorie adatte a rendere giustizia a quegli aspetti, propri della musica, che conferiscono un’anima alle sue disciplinate strutture. Michel Chabanon conclude un cammino intellettuale, di cui abbiamo citato solo pochi esempi: il titolo della sua opera del 1779 richiama, da un lato, la scienza, dall’altro la metafisica. Egli indaga i moti dell’anima, ma per parlare di ciò la scienza non è sufficiente. Come asseriva Le Gallois, seguendo la tradizione ficiniana e antica, la musica è un medico dell’anima. Il metodo scientifico ritorna sempre, spina dorsale dell’epoca in esame, tuttavia le scienze non riescono a spiegare ogni cosa, hanno un limite. A un certo punto non si può far altro che fermarsi e semplicemente contemplare gli effetti della musica sull’uomo.

Nel 1785, Chabanon scrisse De la musique considérée en elle-même et dans ses rapports avec la parole, les langues, la poésie et le théâtre, un complemento all’opera del 1779. L’epoca dei Lumi volge al termine e lo spessore assunto dalla musica in questi anni è a un punto di svolta. Sul finire del XVIII secolo, quest’arte è pronta ad identificarsi come assoluta (caratterizzazione che la contrassegnerà per tutto l’Ottocento), all’apice del suo splendore, protagonista di un vero e proprio ribaltamento dialettico; credo che le parole di Chabanon illustrino questo progresso, pertanto l’autore si configura come punto di passaggio da un periodo storico-musicologico a un altro e, a mio avviso, merita una particolare menzione.


 

 

 
 
 

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