Il rito di sant'Ambrogio

di Roberta Pedrotti

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Compiuto è il rito. Si è da poco conclusa la sacra celebrazione annuale in cui improvvisamente chi si occupa d'opera e ne è appassionato balza al centro dell'attenzione degli amici normalmente privi d'interesse per quest'arte che cominciano a tempestare di domande e curiosità sul titolo in programma e sul melodramma in generale, culminanti con il fatidico, immancabile "Tu andrai alla Scala per la prima?". Una piccola ingenuità verso chi non nutre interesse alcuno per la mondanità e pensa più che altro a reperire biglietti economici in date compatibili con trasporti, lavoro, famiglia e altri spettacoli in altri teatri. Proprio la mondanità è l'altro effetto collaterale del grande rito del 7 dicembre, perché se tutti si ricordano improvvisamente che l'opera esiste, la associano anche alle sfilate di vip ingioiellati, ai servizi sugli abiti da sera più eleganti o bizzarri, sulle cene di gala, sugli interventi istituzionali e sugli svarioni dei parvenu del mondo della televisione.

La crisi e l'austerity vengono in aiuto almeno da questo punto di vista, mettendo in secondo piano diamanti e visoni e lasciando levare al più il lamento dell'atelier che non vende più come un tempo perché non si compra più un abito nuovo per ogni Sant'Ambrogio. Contemporaneamente la tecnologia permette ormai un diverso coinvolgimento, non più limitato alle cronache glamour che relegano l'interesse musicale e le dirette radiofoniche alle sette melomani. Ormai la prima della Scala viaggia con il suo contenuto principale, l'opera, in video nei canali satellitari e del digitale terrestre, rimbalza fra post e tweet per i social network. Il rito mondano diventa a pieno titolo rito mediatico globale, nel bene e nel male.

Una recita non si recensisce da una diretta televisiva, è qualcosa di diverso anche da un prodotto finito peculiare come può essere un dvd. È una testimonianza diretta che ci offre delle impressioni anche molto nette, ma che non riteniamo debba essere oggetto di critica perché filtrate attraverso un mezzo non sufficientemente fedele. È altro da una rappresentazione teatrale come da un'uscita discografica. Potremo così dire che le riprese erano ben fatte, che la regia video pareva ben studiata ed efficace, ma pure che, per esempio, ogniqualvolta la tessitura del soprano si alzava avvertivamo un'alterazione del suono, il comparire di uno strano riverbero metallico (saturazione non ben calibrata?) che è solo uno degli elementi che ci fa desistere dall'esprimere ufficialmente ogni giudizio.

Ma del rito non si può tacere.

Non si può tacere del giorno in cui la politica deve entrare in rapporto con il teatro, anche se solo per rappresentanza (ma Napolitano e Ciampi erano appassionati frequentatori ben prima di salire al Colle). E se un ministro mancherà ci sarà chi l'accuserà per la sua assenza, se presenzierà ci sarà chi lo accuserà di vita mondana a spese pubbliche. Ma, per una volta, non possono esimersi dall'avere a che fare con l'opera.

Non si può tacere del fatto che finalmente Rai5 abbia cominciato ad attivare una programmazione culturale più ordinata e intensa, con concerti e documentari riproposti regolarmente in diverse fasce orarie. Francamente, non se ne poteva più di un palinsesto dominato da repliche di David Letterman Show e Gordon Ramsey & C. a ciclo continuo con l'intermezzo di un Passepartout di tanto in tanto. Non si può non rilevare però anche come Michele Dall'Ongaro, conduttore unico di tutti i programmi musicali, sia terribilmente poco accattivante, sia per i neofiti sia per gli esperti. Basta assistere a qualche diretta di Arte o di Mezzo per trovare tutt'altro passo e tutt'altra comunicativa, senza cedere quanto a divulgazione e competenza. Sentirsi dire, nelle varie interviste degli intervalli, che "La traviata va ascoltata perché Verdi desiderava che la sua musica fosse eseguita e conosciuta" (principio che si potrebbe applicare a qualunque compositore) o che le eroine verdiane prima di Violetta sono timide "vergini e spose" (quando gli "anni di galera" contano un invidiabile catalogo di guerriere e dominatrici fra cui Lady Macbeth) fa perlomeno sorridere: suvvia, si può fare di meglio, si può fare di più. Ci auguriamo che Rai5 colga l'occasione di questo rinnovo di palinsesto per rinnovare anche la sua immagine, cosa che ci piacerebbe constatare anche in una Radio3 sempre più spenta e ripetitiva (con alcune felici eccezioni, come i programmi d'attualità del mattino o Hollywood party).

Non si può tacere dei social network, che entrano in collisione con il rito di Sant'Ambrogio con effetti a dir poco stranianti, come quando Fabrizio Della Seta, un tantino impacciato come affabulatore televisivo ma musicologo d'eccellente caratura, deve rispondere in diretta al tweet in gergo adolescenziale "Preferisco la sceneggiatura originale, ma la Traviata è sempre WOW" che pur dimostrando un confortante entusiasmo per la musica di Verdi fa scempio della lingua italiana nella sintassi e nel lessico, giacché la parola sceneggiatura con l'opera non ha nulla a che fare. Ma mentre le Tv locali lombarde ripropongono le loro annuali maratone scaligere caserecce un po' surreali - con opinionisti del calibro di Enrico Beruschi ed Emilio Fede - e la radiotelevisione italiana (e non solo, ovviamente) trasmette la diretta in video e in audio, le immagini rimbalzano fra i cinema e i maxischermi seguitissimi, e la battaglia dilaga a macchia d'olio in ogni spazio web. Blog, forum, facebook, twitter: ogni vetrina è buona per un lapidario commento a caldo, per scherzare con gli amici, per atteggiarsi a critici, per proporre dubbi, esprimere pareri, decretare verità assolute, condanne e osanna. È divertente, interessante osservare il risveglio lirico della rete: i melomani si dividono fra chi dichiara che non seguirà l'evento (e che lo faccia per sincero disinteresse o per ostentato snobismo, in ogni caso si sente in dovere di annunciarlo al mondo) e chi si affanna per non perdere né una nota né un fotogramma; i non melomani sbirciano curiosi, finalmente si sentono autorizzati a partecipare, a inviare un sms o un cinguettio senza curarsi d'essere forbiti. Sacrosanto non incutere un timore reverenziale che allontani i potenziali neofiti; l'inesperto ha diritto a esprimere il suo entusiasmo e i suoi dubbi anche se non ha ancora acquisito il linguaggio specifico della materia, ma questo deve comunque essere una fase di passaggio. Che il rito sia iniziatico, e non una celebrazione annuale, dimenticata il giorno dopo; che le x e le k d troppo, le "sceneggiature" citate a sproposito siano una base da cui partire, non i vessilli di un livellamento verso il basso.

Non confortano i ragazzi inamidati intervistati alla "primina" del 4 dicembre in pelliccia o smoking, con l'assortimento di varie banalità, qualche sciocchezza e un pizzico di atteggiamenti snob o intellettuali, ma sappiamo che spesso i giornalisti televisivi nel selezionare la parte dal tutto scelgono i più appariscenti, i più predisposti al quarto d'ora di celebrità e non sempre i più significativi e rappresentativi. Capiamo anche che di fronte alla telecamera ci si possa irrigidire e imbarazzare, quindi, semplicemente, lasciamo un consiglio ai giovani melomani o aspiranti tali: possono rilassarsi, vestirsi sì bene ma in modo più naturale, possono sciogliersi in un po' più di sano entusiasmo, senza dover dimostrare nulla, se non una vivace curiosità che non deve spegnersi prima di Santa Lucia. Possono concedersi il lusso di stare fermi e in silenzio di fronte a uno spettacolo dal vivo, di spegnere gli i-phone durante la recita. Non si preoccupino di esagerare, capita a tutti i melomani giovani di esagerare, di sentirsi i padroni e gli scopritori del mondo, di non avere mezze misure. Poi si cresce, a volte.

Sì, a teatro bisogna interrompere i contatti con i social network. Non nel rito lirico mediatico di Sant'Ambrogio. L'ascolto radiofonico collettivo in famiglia si è convertito in visione televisiva e ora si è ampliato con la condivisione on line di battute e commenti istantanei con amici lontani. Anche questo fa parte del rito dell'opera che unisce tutti i melomani, anche quelli che scelgono di non seguirla in diretta. Al rito non si può sfuggire, ma può diventare una piacevole ricorrenza, una riunione virtuale.

Alla fine, l'Annina irresistibile della Zampieri, gli applausi per la Damrau e i buu per Beczala, Gatti e Tcherniakov sono sotto gli occhi di tutti, condiviso e fonte di mille altre discussioni. Più di tutte, come ormai quasi ogni anno, quella sulla regia. Diatriba curiosa perché comunque sia e comunque vada lo spettacolo se l'ambientazione è d'epoca chi lo loda viene incondizionatamente etichettato come passatista e chi lo critica come modernista, viceversa se l'ambientazione è trasposta in altro tempo o spazio. Mi può così capitare di essere tacciata di avanguardismo o di tradizionalismo da un momento all'altro con la stessa convinzione solo perché io non valuto gli spettacoli in base all'ambientazione ma ad altri elementi. Forse converrebbe che qualcuno spiegasse nel nuovo vocabolario della rete che la "sceneggiatura" si usa al cinema o in televisione, nel teatro di prosa ci sono i copioni, in quello d'opera libretti e partiture, e in tutte queste forme di spettacolo esistono scene, costumi, coreografie e regie che sono cose ben distinte, per convenga siano anche ben armonizzate fra loro.

Ma queste discussioni rimarranno fra noi, che già domani, dopo un paio di servizi al Tg con due frasi di circostanza sull'esito della serata, saremo dimenticati per un altro anno dal resto del mondo. Forse però qualcuno avrà deciso questa sera, davanti alla TV, accanto a una radio, di fronte a un computer o un tablet, che forse può valere la pena di proseguire con il percorso iniziatico, di provare a restare nel mondo dell'opera per arrivare al prossimo 7 dicembre un po' più pronto, sulla strada per diventare l'amico a cui gli altri chiedono notizie sulla Scala e sul titolo in programma per la serata fatidica.