Magia all'aeroporto

 di Roberta Pedrotti

 

Finalmente una serata di qualità dedicata all'opera e (co)prodotta dalla Rai: L'elisir d'amore all'aeroporto di Malpensa con cast e maestranze scaligere non vuole essere un'imitazione o una manomissione dell'esperienza teatrale, ma un prodotto televisivo autonomo ben realizzato e pensato come un atto d'amore e una celebrazione della magia e della passione per il melodramma.

In principio fu La traviata à la gare de Zurich. Era il 2008 e la locandina musicale era in prevalenza italiana, con Eva Mei, Vittorio Grigolo e Angelo Veccia diretti da Paolo Carignani, anche se in Italia lo si vide solo avventurosamente via satellite, ché lo streaming non era ancora diffuso come oggi e la Rai si teneva ben lontana dal circuito europeo di Arte. L'effetto, festoso e straniante, magari un po' disordinato, è quello di un flash mob della prima ora, precedente all'esplosione globale del fenomeno. Si guarda un po' divertiti e un po' perplessi, ma con spirito leggero, scene e arie eseguite fra bar e binari. L'anno dopo fu la volta della Bohème en banlieue a Berna, unico nome di spicco quello di Saimir Pirgu, più intimista, quasi un film in presa diretta che trasferiva i giovani spiantati pucciniani dal quartiere latino dei tempi di Luigi Filippo a una periferia contemporanea: Mimì muore su un autobus che riparte trascinandola via dal disperato Rodolfo mentre la telecamera allarga il campo su uno straziante panorama urbano di mille luci e solitudini. Si replica, ma Arte cede il passo ad altre emittenti d'Oltralpe, nel 2010, con Aida am Rhein (protagoniste femminili Angeles Blancas e Michelle DeYoung), sul Lungoreno di Basilea, fra i palazzi del potere negli hotel di lusso e la folla dei passanti a mescolarsi curiosa per la strada con il coro e la marcia trionfale, finché gli amanti non saranno esiliati su una chiatta alla deriva mentre le tenebre calano lentamente. Ancora, nel 2013, il Festival di Salisburgo propone una diretta tv di Die Entführung aus dem Serail dal locale aeroporto e con un cast nel quale ricordiamo i nomi di Desirée Rancatore, Javier Camarena, Kurt Rydl. Direttore artistico era Alexander Pereira, lo stesso che reggeva le programmazioni zurighesi ai tempi della Traviata ferroviaria, lo stesso che ora sovrintende alle sorti dei cartelloni scaligeri.

Lo stesso, dunque, che promuove un sodalizio con Arte che non sia solo la ripresa congiunta dell'emittente francotedesca e della Rai per appuntamenti nel regolare cartellone teatrale, ma uno spettacolo ad hoc, cogliendo l'occasione anche del'Expo e del movimento internazionale intorno a Milano e allo snodo aeroportuale di Malpensa.

Ecco l'antefatto di cui anche i librettisti si premuravano d'informarci prima di portare sulle scene intrighi, tradimenti, calunnie, condanne e agnizioni.

Eccoci al fatto, che per nostra fortuna è un melodramma giocoso e il finale decisamente lieto.

Potremmo scomodare erudite e infinite dissertazioni sul teatro come metafora della polis, della comunità e su tutte le esperienze che hanno esteso i confini della performance fuori da quinte e arco scenico, fuori dagli stessi edifici e dai tempi e dai modi codificati dalla tradizione. Gli esempi non mancherebbero. Ma la questione può essere molto più semplice: se la casa dell'opera è il teatro (quello all'italiana o di altro impianto, all'aperto o al chiuso, purché per questo fine sia pensato, adattato, circoscritto), l'appassionato non l'abbandona uscendo dalla sala. L'appassionato porta l'opera sempre con sé, cita i libretti, paragona i casi della vita ai suoi personaggi e ai suoi interpreti, alle sue situazioni, con passione e ironia.

Quale appassionato d'opera non guarda attraverso di essa almeno una parte della sua vita?

E allora, non è poi così strano e fuori dal mondo se un po' di musica e di teatro d'opera prende forma in un luogo quotidiano e di passaggio. È un po' quello che portiamo sempre nei nostri cuori, nella nostra fantasia. Il ragazzo innamorato può cantare “Quanto è bella, quanto è cara” mentre lavora sospirando per chi non sembra nemmeno vederlo, può cantare “Una furtiva lagrima” mentre pensa di partire e rimugina su quell'ultimo sguardo che si sono scambiati, forse una promessa di felicità. I sentimenti sono sempre quelli, noi ci riconosciamo, li riconosciamo, li citiamo e li canticchiamo, anche se siamo al bar e non siamo mietitori che cercano conforto dalla canicola. L'opera spesso va oltre il significato letterale dei versi. Però crea un mondo, e allora può succedere che il cameriere, la bella titolare, il cialtrone di passaggio, il capitano rubacuori piano piano siano risucchiati da un palco, che compaiano costumi surreali, coloratissimi, che siano gli stessi usati alla Scala, che un po' di Teatro, quello vero con poltrone e velluti, sia sempre lì con noi con la sua magia. E poi svanisca, lasciando ancora posto agli abiti di tutti i giorni, giù dal palco, mentre le verzure di cartapesta smettono d'essere le scenografia che erano state per un momento e tornano a sembrare istallazioni per l'Expo.

Capita anche che i cantanti in questione, il direttore, il coro e l'orchestra, quelli che si aggiravano spalla a spalla con i viaggiatori in arrivo e in partenza, uomini e donne come tanti, siano poi gli artisti che andranno in scena alla Scala e, fatta magari un po' di tara per la ripresa sonora in diretta e in continuo movimento fra spazi differenti e anche distanti, è un gran bel cast. Michele Pertusi ha la classe e l'ironia del grandissimo qual è; Eleonora Buratto è una giovane che canta assai bene, ma soprattutto colpisce per la disinvoltura da attrice consumata anche davanti alla macchina da presa (il teatro e la televisione non son la stessa cosa…); Mattia Olivieri, pure giovanissimo, è un Belcore perfetto per timbro intenzione e figura, animale teatrale che riuta l'obbiettivo e trova la giusta confidenza fino a bucare lo schermo. Anche Bianca Tognocchi si fa notare come promettente Giannetta. Vittorio Grigolo gigioneggia, è naturale, com'è nella sua indole, ma stiamo giocando alla magia dell'opera e anche il suo personaggio fa parte di questo nostro pazzo mondo, il tenore che fa il tenore nel bene e nel male. Ci divertiamo, oggi, al resto (la voce è bella, la musicalità caotica) penseremo in teatro.

Vogliamo anche dire che sul podio c'è Fabio Luisi, che già potrebbe considerarsi un lusso per un titolo troppo spesso affidato a dei routinier, e che qui fa quadrare tutti i conti senza perdere lo spirito e l'umore della commedia?

E, dunque, non si sono forse fatte le cose per bene? Cose che si farebbero anche in teatro, ma tenendo ben presente che siamo all'aeroporto, siamo in televisione, le misure son diverse, lo spettacolo stesso è qualcosa di diverso.

A Brescia da qualche anno in settembre si organizza la Festa dell'Opera, una giornata in cui si apre il teatro per far entrare tutti coloro che lo desiderino, ma anche per lasciar uscire tutta la musica, che si incontra nei luoghi e nelle modalità più inaspettate per la città. L'appassionato passeggia, si sente meno alieno del solito, si diverte; il non appassionato curiosa, esplora, si diverte. Non succede ormai solo a Brescia, fra Flash mob dimostrativi e feste di vario genere l'Opera può manifestarsi per le strade. E non dobbiamo per forza cercare l'alibi della divulgazione: è vero, se si esce dalla porta di casa è più facile far nuove amicizie, ma ci si può anche divertire con leggerezza senza pensare a far proselitismo. Forse, anzi, questa è la via migliore per far capire che il melomane non è (o almeno, non sempre) un bizzarro animale facilmente irritabile, ma sono un concentrato di passione.

Saremo felici se anche una sola persona, vedendo questo Elisir in cui il regista Grischa Asagaroff ha mescolato così bene realtà e sogno, sarà incuriosita a varcare le sacre soglie della Scala, del San Carlo, del Regio o della Fenice, a comprare un CD o un DVD. Soprattutto, però, siamo felici, qui e ora, di aver visto un atto d'amore per l'opera, una festa e un grande sforzo produttivo, in cui tutte le energie italiane in campo (titolo, musicisti, maestranze, coproduzione televisiva) si notano non per campanilismo ma per orgoglio, a fronte di tante giustificate lamentele in ambito culturale.

E notiamo un prodotto di buon livello professionale, che ha tenuto sotto controllo le inevitabili sbavature di una diretta tanto complessa con una buona gestione dei tempi e una coppia di presentatori ben assortiti. Neri Marcoré non è un musicologo e non fa finta di esserlo, fa la sua parte con misura, dà le informazioni necessarie, le direttive minime per guidare il neofita e il telespettatore generalista senza farsi prendere la mano, senza infastidire il melomane. Senza protagonismo, senza, soprattutto, voler fare il simpatico a tutti i costi: non vuole esserlo perché semplicemente lo è, con intelligenza. Annette Gerlach è un volto noto di Arte, è poliglotta e abituata a gestire queste dirette: il tipo di presentatrice professionale, garbata, competente ma non supponente, sempre nella giusta misura di cui troppo spesso sentiamo la mancanza nelle trasmissioni musicali di Rai5.

Le interviste, l'exploit di Pertusi a spasso per l'Expo (i soliti incontentabili parleranno di réclame, ma il successo c'è già stato, l'evento è di caratura mondiale e a due passi dalla Scala e da Malpensa), l'intervista al regista con immagini di Bergamo e del festival donizettiano completano l'opera senza ridondanti banalità, non stuccano l'esperto, non stordiscono, anzi informano, l'ignaro. Tv generalista di qualità, tv di qualità accessibile a tutti.

Insomma, dopo tanti disastri, una serata modello televisivamente parlando, per tempistiche e professionalità. Da prendere ad esempio per il prossimo Sant'Ambrogio.