Il discorso sulla voce nella Lettera sul canto del Maffei

 di Giada Maria Zanzi

Leggi anche:

Maffei e l'estetica della vocalità I

Maffei e l'estetica della vocalità II

Maffei e l'estetica della vocalità IV

L’essere umano come strumento musicale pag 1

Anima e voce pag 2

Dall'articolazione del linguaggio all'emissione cantata pag 3

La voce nell'arte e le sue tipologie pag 4

BIBLIOGRAFIA pag 5

L’essere umano come strumento musicale

La Lettera sul canto è testimonianza indiscussa del fatto che il grande maestro di Giovanni Camillo Maffei sia Aristotele, ma l’illustre solofrano si rifà anche all’approccio medico di Claudio Galeno (che è a sua volta influenzato dai precetti dello stagirita), medico e filosofo romano, nato a Pergamo nel 130 d.C. circa. All’inizio delle Lettere, Maffei afferma:

«[…] toglio quello che lasciò scritto Galeno nel suo libretto della dissettione degli organi della voce, cioè ch’in tutte l’opere ch’in questa vita si fanno è forza che queste tre cose vi concorrano: il maestro, l’instromento e la materia […].»

Sia Galeno sia Maffei sostengono che il corpo di un essere vivente sia inscindibile dalla sua anima e che un bravo medico debba prima di tutto essere un guaritore dello spirito; la conoscenza dell’anatomia è capitale per riconoscere le affezioni dell’anima e scegliere la giusta terapia per riportare l’equilibrio nell’anima, e conseguentemente nel fisico, del paziente.

I risultati degli studi di Galeno costituiscono la base del sapere medico rinascimentale e Maffei deve a lui le conoscenze concernenti la fisiologia dell’apparato fonatorio, anche se si avvicina all’anatomia in maniera differente rispetto ad altri studiosi suoi contemporanei: ad esempio le indagini di Giulio Casserio e Fabrizio D’Acquapendente costituiscono modelli di veri e propri studi anatomici, praticati certamente secondo la rigorosa metodologia galenica, tuttavia, contrariamente a Maffei e Galeno, essi portano avanti un interesse puramente scientifico; se sfogliamo il De visione voce auditu di Fabrizio D’Acquapendente o De vocis auditusque organis historia anatomica di Giulio Casserio noteremo che siamo dinnanzi a veri e propri trattati di medicina, costellati di tavole anatomiche. Entrambi questi testi sono successivi alle pubblicazioni maffeiane (sono tutti e due databili 1600) e testimoniano un graduale passaggio all’empirismo galileiano: hanno una carattere completamente differente da quello delle Lettere e i loro autori non hanno lo stesso intento di Maffei. Casserio non è interessato a fornire precetti canori, Fabrizio D’Acquapendente non desidera certo trattare di voce e emozioni; Maffei si appoggia a Galeno per illustrare il corpo sonoro, senza il quale non vi sarebbe voce, ma non si prefigge di scrivere un trattato sistematico di anatomia. Le nozioni fisiologiche servono a Maffei per esplicare come nasce una voce (il che non si riduce a un mero atto meccanico e fisico: la voce è un effetto acustico intriso di significato e riflesso dell’interiorità).

Aristotele afferma che gli organi preposti alla fonazione plasmano l’aria rendendola voce e Maffei concorda con lo stagirita: «a far la voce si richiede la ripercussione dell’aere». Più precisamente:

«[...] accioché questa [la voce] fatta si fosse, fu necessario nel capo della canna fare molte cartilaggini, molti nervi, e molti moscoli [...]. E accioch'io e V. S. rimanga sodisfatta, resti contenta udire come il capo de la canna è composto di tre cartilagini, delle quali la più grande a guisa di scudo a noi si mostra e è quel nodo, che nella gola di ciascun uomo si vede, la qual, essendo fatta per difesa di quello luogo così dura e simile allo scudo, si fa chiamare scudiforme, e nella capacità di questa se ne contiene un ’a ltra, fatta per maggior difesa, se pure la prima non bastasse, e questa è senza nome. E dentro di questa, cioè nel mezzo di quello luogo, ve n'è un'altra chiamata cimbalare, fatta a similitudine e guisa della lingua della sampogna, e in questa si fa la ripercussion dell'aere e la voce. [...] E perché bisognava il movimento per potere o stringere o allargare le dette cartilaggini secondo il necessario fosse, fè la natura che da quei nervi, i quali dal sesto pare discendono allo stomaco, nascesse un ramo, il quale, con i suoi moscoli accompagnato, loro porgesse il detto movimento. E tali nervi si fanno chiamare riversivi poiché dallo stomaco alle dette cartilaggini ritornano. Ed è il mover loro tanto volontario che se ne serve il cerebro in quel medesimo modo ch'il cavaliere della briglia del cavallo..»

Innanzi tutto, Maffei sottolinea che la voce è frutto della volontà di un individuo. Il controllo volontario sul proprio corpo concorre alla creazione di una voce: muscoli e nervi aprono e chiudono le cartilagini per mandare l’aria immessa all’atto dell’inspirazione verso il cuore. Nella fase emissiva, l’aria si ripercuote nella cartilagine cimbalare (cioè la glottide, un organo costituito per la maggior parte da uno scheletro cartilagineo articolato da legamenti e muscoli che hanno il compito di restringere, dilatare, tendere o rilasciare le corde vocali; la glottide, che , in base alle varie posizioni assunte dalle corde vocali, modifica la colonna d’aria che giunge dai polmoni per dar luogo alla fonazione, è situata all’altezza della laringe), che, per forma e funzione, ricorda una parte della zampogna:

« Si come nella sampogna si veggono tre cose, cioè l'otre d'aria, e'l braccio che preme l'otre e la canna della sampogna, aggiongendovi per quarta la lingua della sampogna, laqual si tiene in bocca con le dita delle mani per potere ora chiudere e or aprire i buchi secondo il suono richiede, cosi ancora nella voce queste simili cose si conoscono; percioche la concavità del petto e del polmone dove l'aere si richiude è simile all'otre. E i muscoli ch'il petto muovono si somigliano al braccio, e la canna del polmone si può senza dubbio veruno uguagliar alla sampogna, e la cartilagine detta cimbalare veramente si può dire che sia lingua e i nervi e moscoli a quali ora chiudere e ora aprire appartiene, fanno ufficio de'diti. E applicando più strettamente questo esempio dico che si come rimbomba il suono nella concavità larga della sampogna per l'aere, il quale da l'otre alla lingua si manda e da'diti ch'a buchi soprastanno si ripercuote e si modera secondo a chi suona piace, cosi la voce risuona nel palato, per l'aere il quale dal petto fin alla gola si spinge e si ripercuote e rifrange dalla fistola cimbalare e de'nervi e moscoli dilatandosi e costringendosi secondo vuole chi la voce fa.»

L’essere umano è come uno strumento musicale a fiato e l’aria è elemento vitale e fonatorio. Maffei precisa che :

«[...] tutti gli animali che camminano e hanno sangue hanno anche il polmone e sono caldissimi perché, avendo dato la natura lo polmone per cagione del core, ne segue che dove sia quello si ritrovi questo. E essendo il core principio e vase di calore, fu necessario che gli fusse di due cose proveduto, cioè d'alcuno rifriggerio, acciò che non s'avesse infiammato per lo soverchio caldo, e d'alcuno modo di poter isfogare e mandar fuora le superfluità e fumi ch'in esso per lo continuo fervore del sangue si generano. Onde furon fatti duo contrari movimenti: l'ispiratione, dico, e l'espiratione, cioè (per dir più chiaro) l'allargare, e lo stringer del petto, a l'uno e a l'altro effetto molto giovevoli, percioche per la dilatatione del petto si tira l'aere che raffredda e tempra la soverchia caldezza del core e per lo stringere si manda fuora tutto'l fumo e tutti gli escrementi ch'ivi si trovano. [...] E per questo la madre Natura, governata dal sommo Iddio, accioché fossimo di qualsivoglia comodità partecipi, puose intorno al cuore lo polmone, nel quale si trattiene e si prepara l'aere inanzi ch'entri, e nel quale ancor si conservano quelli aerei spiriti ch'il detto rifrigerio porgono. Onde essendo il polmone quasi una doana dalla quale il core il suo bisogno tira ne siegue che non è necessario così spesso spesso respirare, e potendosi per qualche spatio ritenere si tolgono tutti i sopradetti inconvenienti. E accioché s ’a vesse potuto comodamente fiatare e formar la voce fu aggionta al polmone la canna, onde l'operationi del polmone sono due, delle quali l'una, cioè lo fiatare, è necessario per la conservation della vita, e l'altra, cioè la voce, è utile solo per più comodamente vivere [...].»

I polmoni portano refrigerio al cuore, fonte di calore. Fisicamente, l’incontro tra aria e corpo produce suono, ma questo non basta a fare una voce:

«La voce è un suono cagionato dall'anima per la ripercussione dell'aere fatta nella gola con intentione di significar alcuna cosa.»

Dunque è l’anima il vero motore della voce. Il calore del cuore, a contatto con l’aria esterna fredda, crea la voce come un’esalazione fumosa; a monte di tutto ciò deve esservi un’intenzione che giustifichi l’azione, che la animi, appunto. Galeno, basandosi sul Timeo, lega il cuore al lato passionale dell’uomo, mentre nel cervello risiederebbe la sua anima razionale: secondo Maffei questi veri e propri “fumi vocali” hanno origine dal cuore e ne diventano quasi un prolungamento; la voce è una manifestazione dell’interiorità.


Anima e voce

Cos’è esattamente l’anima? Maffei la identifica come l’entità che muove l’aria, che si trasfigura in voce quando l’immaginazione si attiva; differenzia la vocalità dal mero suono, inoltre è anche strettamente legata al corpo, come volevano Aristotele e Galeno: quest’ultimo è il riflesso dei moti che agitano l’anima passionale. La razionalità è un’ulteriore sfaccettatura dello spirito, ma sono soprattutto gli affetti che modificano i corpi.

Nelle Lettere troviamo un’epistola indirizzata a Ostilio Orsino nella quale Giovanni Camillo Maffei discute della fisicità di una giovane di nome Antonia e, a proposito della bellezza, il solofrano afferma che:

«Quella del corpo nasce dalla giusta proporzione de’ membri, questa dell’anima consiste nell’ornamento delle virtù morali. e ambedue congiunte insieme formano la vera umana bellezza. E volendo di quella del corpo primieramente dire, m’è forza che ricorra ad Alcinoo Platonico, Vitruvio, Plinio e Varrone. Dicono dunque costoro che in tre cose la corporal bellezza si contiene, cioè nell’ordine, nel modo e nella figura de’ membri, intendendo per l’ordine i propri luoghi e i giusti spazi e intervalli ch’a membri si ricercano; e per lo modo la proporzionata lor quantità; e per la figura i lineamenti e i colori. […] E volendo alla bellezza corporale poner fine, concludo che, si come il corpo dev’esser a vederlo ben formato e la voce in ascoltarla dilettevole, e similmente tutti gli altri membri soavi ad odorargli, così ancora la carne dev’esser forbita e senza asprezza alcuna, e che, stando nel mezzo del duro e del molle e del caldo e del freddo, sia nel toccarla soavissima. […] E volgendomi alla bellezza dell’anima ritrovo che liberale ella [Antonia] non è, e quando lei giura d’esser fedele mille tradimenti ordisce. Né cosa difficile gli è in luogo di verità dire mille menzogne; non è saggia, non è prudente e di carità, d’onestà di continenza in tutto priva; e non essendo finalmente pudica, poiché tanto sfacciata e lasciva si mostra, concludo che brutta Antonia sia.»

Maffei accosta la voce alle fattezze del soggetto: in effetti essa è il risultato dell’azione dell’anima, una sua manifestazione udibile. Essendo percettibile, è trattata come la materia, o meglio, sembra che sia quest’ultima ad essere esaminata come un suono: Maffei, usando un lessico tipicamente musicale (intervallo, colore, asprezza o dolcezza), descrive il corpo ideale, che è armonioso grazie all’equilibrio della proporzione. La vera bellezza, però, risiede nella purezza di un’anima che persegue le virtù. Antonia, oltre a non rientrare nei canoni fisici fissati da Maffei, è menzognera, licenziosa, infedele e disonesta; l’immagine restituita dalla sua anima è tutt’altro che nobile e positiva, pertanto Maffei non la considera bella. La corruzione dell’anima si ripercuote sul corpo che la ospita. Il vizio sfigura l’uomo, mentre l’integrità gli dona bellezza. L’anima è l’essenza degli esseri viventi, e intravederla significa andare oltre alla dimensione materiale per scorgere l’interiorità. La voce ci consente di udirne il suono; soprattutto grazie alle caratteristiche vocali riusciamo a intuire le proprietà di un’anima:

«[...] due sono le potentie dell ’a nima, lasciando da parte tante divisioni che da medici e da filosofi si fanno, cioè la naturale e la sensitiva (si come nello libro delle cause, degli accidenti Galeno disse), e intendo per la naturale quella che fa l'ufficio suo senza nostra industria e elettione, si com'è la virtù che tira il nodrimento, la virtù che lo ritiene, la potenza che lo diggerisce e quella ancora che manda fuora gli escrementi; le quali potenze, che possano senza nostra industria operare, il sonno ci dimostra, nel quale elle per loro istesse operano. E per la sensitiva, intendo il vedere, il gustare, l'udire, il toccare, l'immaginare, il ricordare, e altre delle quali non è necessario dire, si come non è necessario ancora dire dell'anima intellettiva, con ciò sia cosa ch ’a questo proposito della voce non faccia. E di queste già dette potentie, la maggior parte è volontaria, cioè sta nel voler nostro di farsi o no. E volendo ridurre la voce alla sua potentia basterà per ora dire che sia effetto dell ’immaginativa , come di potentia volontaria; il che ci sia in noi medesimi palese, poi che parliamo con immaginatione d'esser intesi e all'ora quando che noi vogliamo. Ma perché si richiede la ripercussion dell'aria, come nella diffinitione abbiam veduto, per questo a far la voce vi è anche necessaria la potentia motiva del petto dalla quale l'aria si muova. Onde perché prima s'immagina quello che s'ha da dire e poi si muov'il petto a far la voce, si può veramente concludere che la potentia motiva del petto, siano cause principali della voce. E che la potentia motiva sola non possa far voce la tosse ce lo dimostra, la quale, fandosi senza immaginatione di significare, quantunque vi concorra la motiva del petto, non può né da medici né da filosofi chiamarsi voce [...].»

Come asseriva anche Aristotele, l’anima muove il corpo attraverso il pensiero, che scaturisce dall’immaginazione (movimento dell’intelletto), ma certe azioni sono indipendenti dalla nostra volontà: ecco le potenze sensitiva e naturale, termini che identificano le proprietà e potenzialità intrinseche dell’anima secondo Maffei. L’autore cita l’automatismo della digestione per illustrare la potenza naturale; la potenza sensitiva, o volontaria, dell’anima è invece ciò che la lega ai sensi e all’immaginazione. Il nostro corpo ha percezioni plasmate dall’intelletto e esternate attraverso la voce, che è originata dalla combinazione della componente immaginativa e del movimento del petto (risultato della potenza motiva dell’anima). Maffei evidenzia che il solo movimento del petto non è sufficiente per forgiare una voce poiché può essere causato sia dalla potenza involontaria sia da quella volontaria dell’anima: la tosse, ad esempio, provoca un innalzamento del torace, eppure non è voce perché si tratta di un atto involontario e Maffei ha già esplicitato che la voce è frutto della volontà.

La nostra mente ci guida mentre parliamo dei nostri sentimenti o intoniamo una melodia che li rispecchi e consente allo stesso respiro che ci fa vivere di generare la voce. Ma cosa differenzia la respirazione finalizzata alla sopravvivenza da quella che ha la vocalità come scopo primario? Nella vocalizzazione la quantità d’aria espulsa è maggiore rispetto a una normale espirazione ed è anche emessa con più forza. Aggiungendo anche questo tassello alla definizione di voce, cominciamo a renderci conto del fatto che le causalità contraddistinguenti le voci le rendono quasi delle rarità:

« [...] s'ogni voce è suono, non ogni suono è voce; si come il suono delle campane ci dimostra, e tutto l'altro che siegue si mette in luogo di differenza, perché, dicendosi cagionato dall'anima, si fa differente la voce da quei suoni i quali dall'anima non si cagionano, e s'ha da intendere per l'anima (com'ho detto) principalmente l'imagginativa e appresso la motiva del petto. E dicendosi che sia cagionato per la ripercussione dell'aria nella gola si fa differente la voce da quei suoni i quali quantunque si cagionino dalla ripercussione dell'aria nondimeno non si fanno nella gola. E dicendosi ultimamente con intentione di significar'alcuna cosa si fa differente da quelle ripercussioni che nella gola si fanno senza significar disegno [...].»

Nella Lettera sul canto, Maffei ci informa che la voce non è concessa a tutti: è senza dubbio alcuno un suono, un fenomeno acustico, ma non tutti i suoni sono da considerarsi voci. Maffei, prendendo in prestito alcuni esempi dalla zoosfera, postula che in assenza di gola e polmoni non si possa parlare di voce, mostrando nuovamente la stretta connessione che intercorre tra quest’ultima, lo spirito e il corpo.

«Mi sovviene (dirà V. S.) di domandarvi a quai animali è conceduta la voce? Gli rispondo brevemente che la voce è conceduta solo agli animali che hanno la gola e lo polmone. Onde le mosche, grilli, cicale, farfalle ed ogni altro animale insetto, per non aver gola, sono privi di voce. E quello romore o sussurro che fanno quando volano non è voce, ma suono fatto dall'ali che percuotono l'aere. E, per la medesima ragione, sono privi di voce i pesci, i quali, per non aver il polmone, non solo non hanno voce, ma ancora non rifiatano (ed in questo mi perdoni Plinio: non parlo ora del delfino, della balena, del cane e di molti altri pesci i quali hanno il polmone e rifiatano fuora però dell'acqua).»

L’autore non mette uomini e animali in un rapporto gerarchico, tuttavia è conscio delle diversità che li separano (secondo Aristotele le caratteristiche psicofisiche differenziano le varie specie animali; l’uomo è anch’egli un animale, pertanto presenta peculiarità che hanno specifiche finalità, proprie solo a lui) .


Dall'articolazione del linguaggio all'emissione cantata

Nella Lettera sul canto, Maffei dà una precisa definizione della voce : è un suono ricco di potenziale che, grazie a lingua, denti, palato e labbra, può anche dare vita all’articolazione linguistica. Fra voce pura e linguaggio, cioè, per dirla con Bologna o Zumthor, fra vocalità e oralità, intercorre una sostanziale differenza: la prima raduna le caratteristiche che rendono unica una voce, mentre l’oralità è legata alla sfera del linguaggio. Immaginare non significa necessariamente organizzare e produrre un discorso e la voce non è sinonimo di articolazione; il linguaggio coincide piuttosto con un particolare modo di porgere la voce stessa che ci differenzia dagli animali. Nel proemio delle Istituzioni harmoniche , Zarlino afferma che la voce articolata è un dono divino che rende l’uomo superiore alle altre creature e anche Maffei si interessa al mondo animale, che egli identifica come un’alterità rispetto a quello degli uomini, caratterizzato anche da una voce articolata. L’oralità dipende dal buon funzionamento degli organi ad essa deputati ed è sinonimo di pura razionalità, prerogativa umana, mentre la vocalità presenta più sfumature: il timbro, qualità precipuadelle voci, riassume in sé la grandezza (come ogni altro suono, la voce ha una particolare intensità o volume, che è ciò che distingue un’emissione debole e fievole da una più robusta e udibile) e lo squillo della voce e, in ambito musicale, anche la formante degli armonici, cioè le sfaccettature che arricchiscono i suoni. Sempre musicalmente parlando, può designare il calibro o peso della voce, ossia leggero, lirico, ecc., o meglio contenere anche codesto carattere. È ciò che ci consente di distinguere, ad esempio, il suono di uno strumento musicale dalla voce umana. Il timbro vocale identifica un individuo come un’impronta digitale perché è il carat#tere uditivo dell’emissione e il colore ne è una sfumatura: è originato dalla fisiologia dell’apparato fonatorio e può essere chiaro oppure scuro. L’anatomia gioca, infine, un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda la qualità della pasta vocale; nelle pagine seguenti vedremo come anche Maffei evidenzia la disuguaglianza tra un timbro limpido ed uno rauco, cioè un suono terso e morbido ed uno uditivamente sgradevole.

La sonorità pura è intrinsecamente significante non solo in quanto specchio dell’interiorità e della salute psicofisica, ma anche perché le stesse suddette peculiarità delle voci concorrono a suscitare emozioni: una voce chiara e squillante è generalmente accostata alla solarità, al contrario un timbro scuro trasmette cupezza; i colori, proprio come i pigmenti di una tavolozza, sono ciò che maggiormente trasmette nelle menti dell’ascoltatore immagini e analogie cui l’ascoltatore dà una valenza estetica personale, più o meno influenzata dal gusto comune. L’emissione di un suono, grazie all’aria e attraverso la mediazione di labbra, lingua, denti e palato, origina una voce, della quale il linguaggio è un’eventuale fase successiva; senza vocalità non si ha oralità, ma non vale il viceversa. Una voce intonata, impostata, che riproduce una melodia, e che può anche non essere articolata, potenzia le proprietà emotive insite in essa. Pur ribadendo l’indipendenza dell’universo della vocalità da quello dell’oralità, Maffei auspica il raggiungimento del cantato attraverso il parlato, meccanismo che consentirebbe a chiunque di apprendere l’arte canora e senza l’ausilio di un maestro.

Nel proemio delle Istituzioni harmoniche, Zarlino discute degli stadi attraversati dal dono di Dio agli uomini: la fonazione che si fa voce articolata e ci eleva al di sopra degli altri animali è, innanzi tutto, comunicazione; il linguaggio forbito è il passo successivo e il punto di arrivo è il discorso musicale, coincidente col lodare la divinità cantando. Secondo Maffei il canto è, per così dire, il risultato di una presa di coscienza. La musicalità è innata nell’uomo , abbiamo visto che è istintiva anche nel parlato, ed è opinione di Maffei che possiamo renderci conto di ciò essendo anche medici e filosofi, possedendo cioè particolari conoscenze che ci aiutino a comprendere a fondo la nostra natura: Maffei si autocolloca in questo quadro gnoseologico rivendicando un ruolo pioneristico nell’ambito degli studi concernenti la voce cantante. L’illustre solofrano ritiene di aver formalizzato la prima tecnica canora che consente a chiunque di apprendere autonomamente quest’arte:

«[...] né dagli antichi né da'moderni musici è stato mai scritto il modo di fare idonea ed atta la gola a passaggiar cantando. Né sono per questo degni di riprendimento, percioché quelli come primi inventori fero pur cosa grandissima a dare alla musica principio e questi, per esser stata la cosa non poco difficile, non l'hanno voluto (o per dir meglio) potuto isprimere. Che (nel vero) chi vuole, con la ragione in mano, render conto di ciò, fa di mistiero che non solo musico sia, ma ancora dottissimo medico e filosofo.»

Il canto è un modo di plasmare la voce esattamente come il linguaggio, ma, a differenza di quest’ultimo, il cantato disciplina l’emissione in maniera più rigorosa, facendo emergere ogni sfumatura delle varie vocalità.


La voce nell'arte e le sue tipologie

Ogni voce presenta caratteri unici, tuttavia può comunque essere ricondotta a una determinata macrotipologia. Maffei, nella Lettera sul canto, individua le seguenti “spetie naturali” o tipologie vocali: grande o piccola, aspra o lene, grave o acuta, rigida o flessibile. Maffei considera la vocalità come un mosaico di fattori che origina specifici effetti acustici:

« E cominciando dalla piccola e grande, fa di mistiero ch’io ricorra a quello che nello principio di questo discorso è stato detto, cioè che tre cose concorrono a far la voce, si come ad ogni altra umana operatione, le quali sono la materia, lo maestro e l’istromento, intendendo per il maestro le potentie dell’anima, cioè l'immaginativa e motiva del petto, e per la materia l'aere; e per l'istromento la canna del polmone. Onde quando l’istromento è largo e l’aere è molta e similmente le potentie dell'anima sono gagliarde, viene conseguentemente la voce a farsi grande; conciosia cosa che la molta espiratione fa grande ripercussione nella canna, dalla quale nasce poi la grandezza della voce si come si vede chiaro nelle trombe grandi, dov’è necessario molto fiato e forza. E, s'è vera la regola che l'un contrario per l'altro si conosce, ne può da questa nascere la causa della voce piccola, percioché dove si trova la canna stretta e picciola ed aer poco e poca ancora forza, fa di mistiere che piccola voce si faccia. E questo detto sia per coloro a quali dalla natura è stata conceduta o l'una o l'altra: che se volesse l'uomo di grande fingerla picciola, overo di picciola farla grande, potrebbe, secondo l'aggiongere o mancar delle dette cose, a modo suo farlo. »

Rientrano in gioco il corpo e l’anima, protagonisti indiscussi. L’immaginazione e il movimento del petto guidano l’aria all’interno del corpo, che varia da persona a persona: in base all’anatomia della trachea avremo una voce grande oppure piccola. La fisionomia è data dalla natura, pertanto naturale sarà anche la tipologia di voce che da essa deriva direttamente: tuttavia, Maffei afferma che chi è dotato di un apparato poderoso, che presupporrebbe una voce grande, può dosarsi volontariamente simulando una voce piccola. A questo punto emergono due poli opposti, cioè la condizione naturale e quella fittizia e artificiale; il canto maffeiano e, in generale, la sua idea di voce, presuppongono una condizione dettata dalla natura, pertanto coerente col corpo e l’anima dell’individuo. Questa sorta di conformazione naturale, sia fisica sia acustica, può essere più o meno malleabile ed eventualmente prestarsi a cambiamenti che deformano, anche se mai in maniera definitiva, il risultato sonoro:

« [...] per la voce flessibile s'ha da intendere (per così dire) voce pieghevole, cioè che con dolcezza si varia in tal maniera che l'orecchia rimanga sodisfatta. E per la rigida si deve intendere la dura, ch'in modo alcuno piegar non si può, onde l'orecchia, in udirla, si conturba. [...] Or dico dunque che queste voci nascono dalla propria materia della canna e intendo per la canna tutte le parti sopradette che concorrono à far la voce, si che se quella sarà molle fara la voce flessibile, pieghevole e variabile, ma se per sorte sarà dura farà la voce rigida e dura. Percioche, essendo duro l'istromento, non può (come bisognaria) piegarsi, si come essendo molle agevolmente piegandosi può formare e fingere ogni sorte di voce. E di qui nasce, che molti sono, i quali non ponno altra voce ch'il basso cantare. E molti ancora se ne veggono che non sono se non ad una delle voci del conserto inchinati, e quella, con grandissimo fastidio dell'orecchia, appena cantano. E, per il contrario, poi, se ne trovano alcuni ch'il basso, il tenore, ed ogni altra voce con molta facilità cantano, e fiorendo e diminoendo con la gorga fanno passaggi, ora nel basso, ora nel mezzo e ora nell'alto, ad intendere bellissimi. »

La flessibilità corporea rende tale anche la voce, che, se dotata di codesta proprietà, può spaziare in diverse tonalità e risultare soavissima. Maffei ricorda che solo Aristotele parla di rigidità e flessibilità vocale, aspetto non approfondito da Galeno, inoltre afferma che:

« Potrebbono alcuni ridurre queste sorte di voce [cioè flessibile e rigida] all’aspra e lene pure per venir l’una dall’interna soperficie della gola e l'altra dalla propria materia e sostanza della medesima gola.»

Nello specifico, a proposito di voce aspra o lene, Maffei dice:

«Ora ragiono della voce aspra e lene, e, per non annoiar V. S., con brevità gli dico che l'una e l'altra di queste si caggiona dall'interna superficie della canna, percioche essendo la soperficie equale e nello suo perfetto e proprio temperamento fa la voce lene e equale, e se per qualche umore ch'in essa invescato fusse, o vero per mancamento di quello, si fusse dal suo temperamento partita, si farebbe la voce roca, aspra, e inequale. »

Notiamo nuovamente la rilevanza della dimensione corporea: emerge l’equilibrio dei fluidi corporei (vale a dire il loro “temperamento”, voluto dalla medicina galenica e ancor prima da Ippocrate: secondo la tradizione medica antica il corpo è costituito da quattro umori, cioè sangue, flegma, bile gialla e bile nera; la combinazione di tali elementi influenza la salute del corpo e la sua psicologia) che è necessario per ottenere non solo un corpo, ma anche una voce sana, quindi limpida e non rauca. Oltre alle possibilità della voce in fatto di volume, malleabilità e qualità, Maffei identifica due differenti timbri, cioè grave e acuto, che contraddistinguono vocalità incentrate rispettivamente in tonalità a basse e alte frequenze:

«E dico che ancora che la voce grave e acuta sia differente dalla grande e piccola non è per questo che non possano elle stare insieme, che molte volte accade ch'una medesima voce è grande e grave, grande e acuta, grave e picciola, acuta e picciola. E, non entrando nelle varie openioni degli antichi sopra questo, ma solo alla pura verità venendo in compagnia del mio Aristotele, veramente secretario della natura, dico che la voce grande si caggiona dal tardo movimento dell'aere nella canna, si come l'acuta dal veloce, che già chiaro si vede che, per la velocità, questa assai più che quella si sente e penetra. E volendo di questo tardo e veloce movimento raggionare, dico che due cause a cio concorrono. La prima è l'aere come cosa mossa dall'anima. La seconda è la detta anima come causa movente dell'aere, e hanno queste due cause tra loro questa proportione e corrispondenza: che quando l'aere mosso avanza e resiste alla potentia movente si fa il movimento dell'aere tardo e conseguentemente è necessario che si faccia la voce grave. E quando, per contrario, la forza dell'anima avanza e supere l'aere, di modo che velocemente lo spinge e muove, è necessario che si faccia la voce acuta.»

Da queste righe emerge che Maffei sposa una dottrina molto antica, la quale, nonstante sia errata, è perdurata a lungo (anche Cartesio, nel Seicento, continua a sostererla nel suo Compendium musicae ): ai tempi di Maffei non si consoceva il concetto di frequenza e l’autore riporta il pensiero, già espresso, come egli stesso ricorda, da Aristotele, secondo cui le voci piccole/acute viaggerebbero ad una velocità maggiore rispetto a quelle grandi/gravi; oggi sappiamo, però, che il suono ha una velocità costante, pertanto non determina il registro vocale. Secondo Maffei, oltre alla velocità con cui si muove l’aria, anche la conformazione degli apparati fonatori (in particolare la lunghezza e larghezza della trachea) concorre a dar vita a voci grandi e gravi o piccole e gravi, grandi e acute oppure piccole e acute.

Oltre a indicare le svariate tipologie vocali, Maffei si interroga su quale sia, fra esse, la migliore, cioè quella che più si avvicina al concetto aristotelico di perfezione:

« E se volesse V. S. sapere quale di queste voci è più perfetta e a cavaliere più condecente, gli direi la grave, dicendomi Aristotele che la perfettione della voce e di qualsivoglia altra cosa consiste nel superare ed eccedere. Onde poi che la voce grave eccede e supera e tutte l'altre abbraccia, si deve più perfetta, più nobile e più generosa riputare.»

Le argomentazioni addotte dall’autore per giustificare il suo propendere per una voce grave non appaiono squisitamente estetiche, ma pratiche (a suo avviso codesta vocalità è in grado di coprire le altre e, come lo stagirita insegna, la perfezione consiste nel superare determinati limiti; inoltre sono quattro sia le spetie naturali della voce sia gli elementi del cosmo aristotelico: il porre la voce grave alla base delle altre sembra richiamare la cosmologia di Aristotele nella quale la terra, solida e pesante, è al centro di tutto); tuttavia, il richiamo a valori quali la nobiltà e la generosità esula dal mero pragmatismo. Maffei parla di voce cavalleresca e di ricerca di una cortese armonia. Una vocalità grave non prevarica brutalmente le altre voci, bensì, dice Maffei, le “ abbraccia” in un idilliaco equilibrio sonoro. Il modo in cui la voce grave si rapporta alle altre ricorda la grazia di un cavaliere che si inchina ad una dama, un gesto pieno non solo di grazia, ma soprattutto di bellezza. La Lettera sul canto è costellata di considerazioni estetiche il cui scopo è aiutare chi parla a divenire un cantante: il savio solofrano afferma, ad esempio, che l’emissione di un suono morbido e soave sia sinonimo di giustezza esecutiva; egli cerca di descrivere al lettore gli strumenti che servono a chi desidera imparare a cantare senza l’aiuto di un maestro. Il cantato ha origine dal parlato, ma non per antitesi, bensì grazie ad un graduale e armonioso passaggio.

Parlare di estetica ai tempi di Maffei è anacronistico, eppure notiamo nell’illustre solofrano una coscienza spiccatamente orientata a perseguire la virtù nonché la bellezza. La sgradevolezza del brutto e la piacevolezza del bello testimoniano l’esistenza di un interesse per l’aspetto estetico, come le suddette classificazioni vocali. La constatazione dell’esistenza di un’estetica, seppur embrionale, di Maffei conferisce al filosofo solofrano uno spessore non indifferente: i suoi discorsi sulla voce fanno emergere una teoria del bello, magari non formalizzata, ma che non può essere ignorata, in quanto ci consente di porre Maffei in una posizione di rilievo fra i pensatori suoi contemporanei. L’aver sposato idee che poco dopo la sua morte sono state sostituite da correnti di pensiero che hanno progressivamente preso le distanze dall’aristotelismo e dalla medicina galenica hanno portato Maffei ad essere accantonato ed eclissato da altre personalità. L’autore del Discorso sulla voce merita di essere rivalutato culturalmente in virtù della profondità delle sue riflessioni e le problematiche che le sue parole aprono: i Discorsi filosofici sono un’inesauribile fonte di spunti interdisciplinari per gli svariati argomenti affrontati da Maffei, dalla botanica all’astronomia, oltre al tema della voce. Un personaggio così poliedrico e stimolante non merita l’oblio, né in ambito filosofico, né medico, ma nemmeno musicale. L’interconnessione fra scienza, filosofia e musica teorizzata da Maffei arricchisce l’ambito artistico di nuove e inedite sfaccettature: oltre alla teoria e alla tecnica propone speculazioni mediche e filosofiche che ampliano il discorso musicale, aprendolo ad altre discipline. Guardare la musica dal punto di vista di un medico e filosofo rinascimentale come Maffei crea nuove prospettive di ricerca e di lavoro storico in ambito musicologico; oltre all’approccio specialistico proprio del musicologo e dell’esecutore, altre competenze culturali possono trovare applicazione nello studio degli effetti della musica sull’animo umano e sulla psiche. La cultura rinascimentale incarnata da Maffei ha il pregio di definire la musica attraverso un insieme di discipline (come la medicina e la filosofia, ma anche la retorica, la scienza, ecc.) che non la rinchiudono nei rigidi schemi della musicologia attuale.


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