Quale rivoluzione?
Figaro è stato elevato quasi unanimemente a prototipo del mondo nuovo che emerge dopo la Rivoluzione francese, di colui che, senza titoli nobiliari, forte del proprio ingegno e del proprio spirito d'iniziativa si fa strada e trionfa sull'antico regime. Questa, però, è un'eredità che il Figaro rossiniano riceve da Beaumarchais e da un contesto bisognoso di un così accattivante eroe letterario non meno che del criticato retaggio aristocratico. In breve: Figaro è simpatico, ha sempre la risposta pronta, è dinamico e brillante, ma le sue idee non funzionano come dovrebbero, se non quella di stabilire un primo contatto con Rosina cercando una risposta a una “canzone alla buona” più che a una sofisticata serenata. Poi propone di introdursi in casa nei panni di un soldato ubriaco, stratagemma che Bartolo potrebbe subito neutralizzare godendo dell'esenzione dal dovere di ospitalità per i militari. La soluzione viene dall'autorità del Conte che si fa riconoscere dall'Ufficiale, esattamente come saranno il denaro e il grado a rimuovere ogni ostacolo quando la fuga notturna fallirà. Certo, Figaro procura la chiave della gelosia, ma il suo ruolo più che di risolutore è di motore comico: basta il Conte a far sì che, alla fine, Rosina coroni il suo sogno d'amore, ma serve Figaro perché ciò avvenga in maniera avvincente, per dare energia alla commedia, come quando s'inserisce nella sospensione di “Freddo ed immobile” con il lazzo di “Guarda Don Bartolo!” o sdrammatizza l'idillio virtuosistico di “Alla fin dei miei sospiri tu sentisti, amor, pietà! ” con l'incalzante “Se si tarda i miei raggiri fanno fiasco in verità”. A ben guardare, questo nobile che si spaccia per uno studente povero per sedurre una giovane tenuta sotto stretta custodia potrebbe ricordare molto da vicino un certo duca verdiano. Il barbiere di Siviglia si dà a Roma, nel teatro di proprietà di un Duca e a meno di un anno dalla chiusura dei lavori del Congresso di Vienna: poteva forse essere innervato di spregiudicati contenuti giacobini? Una novità, però, c'è, ed è costituita dal potere del denaro, un potere che è nelle salde mani del Conte, ma che fa già capire che la ricchezze più che i titoli faranno la differenza d'ora in poi. Come la farà il dinamismo musicale di Figaro, che l'avrà vinta, affermandolo quale protagonista, fra le alterne fortune del grande virtuosismo tenorile. Anche l'amoroso Florville, nel Signor Bruschino, aveva ottenuto la reclusione del rivale promettendo al lcoandiere Filiberto "Io denari vi darò", ma il frizzante duetto non aveva assunto i toni di vero inno al potere del capitale che è "All'idea di quel metallo".
Il protagonismo del Conte, la piena giustificazione della sua consacrazione nel titolo, è oggetto di fondamentali e approfonditi studi di Saverio Lamacchia. D'altra parte basterebbe anche osservare la distribuzione dei numeri musicali che rispecchia anche la gerarchia dei personaggi: fra i principali, riuniti nel quintetto centrale del secondo atto, Rosina e Figaro si trovano in una sostanziale equivalenza, la prima con due arie e un duetto, il secondo con un'aria e due duetti, ma la parte predominante è quella del Conte, cui spetta l'assolo più prestigioso dell'opera, quello che conclude l'opera o precede immediatamente un finaletto collettivo. Il taglio di "Cessa di più resistere" dal punto di vista della drammaturgia musicale non è meno significativo, in realtà, di quanto non sarebbe il taglio di "Pensa alla patria", di "Nacqui all'affanno" o di "Tanti affetti in tal momento".