Cambi di registro
Privare il Conte di "Cessa di più resistere" fa vacillare la sua autorità, ne facilita l'assimilazione agli amorosi languidi e sentimentali della tradizione. Un giovanotto innamorato che ha bisogno di qualche aiuto, più che un baldanzoso Grande di Spagna con le idee chiare, i mezzi per realizzarle, voglia d'amare e di divertirsi. Un Conte della cui sincerità non dubitiamo, ma che non ci sembra così improbabile come il futuro impenitente libertino delle Nozze di Figaro (il passo da “Amore e fede eterna si vegga in noi brillar” a “Contessa, perdono” sarà poi così lungo?).
I tenori belcantisti, però, hanno vissuto oltre un secolo di eclissi, mentre sempre più numerosi sono stati i baritoni ansiosi di impugnare il rasoio di Figaro e scippare il protagonismo al Conte. Lo stesso Manuel Garcia si mostra presto disposto a cedere le armi della grande aria finale, mentre pochi mesi dopo la prima, nell'estate del 1816, Gertrude Righetti Giorgi coglie l'occasione, con il debutto bolognese dell'opera, per appropriarsi del ghiotto boccone: qualche aggiustamento testuale ed è Rosina a intimare a Bartolo di non resistere e ai “lieti istanti” di non “fuggire”, esempio seguito poi nel XX secolo da Beverly Sills. È il preludio inevitabile alla più sfolgorante seconda vita del rondò di Almaviva: il 25 gennaio 1817, a Roma, ma questa volta al Teatro Valle, la Righetti Giorgi è la prima Cenerentola e intona “Non più mesta accanto al fuoco” sulle note che un anno prima erano state composte per Il barbiere di Siviglia. Il percorso di "Cessa di più resistere" attraverso diverse voci e diverse opere è, però, più articolato e tortuoso: lo sintetizziamo in una tabella che evidenzia le sezioni riprese senza sostanziali variazioni e indica in corsivo, fra parentesi quadre, quelle differenti.
Almaviva (Il Barbiere di Siviglia) Roma, 20/2/1816 |
Le nozze di Teti, e di Peleo Napoli, 24/4/1816 |
La cenerentola Roma, 25/1/1817 |
Adelaide di Borgogna Roma, 27/12/1817 |
Almaviva (Tenore) Manuel Garcia |
Cerere (Soprano) Isabella Colbran |
Angelina (Contralto) Gertrude Righetti Giorgi |
Adelaide (Soprano) Elisabetta Manfredini |
Tempo d'attacco |
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Cessa di più resistere |
Ah non potrian resistere |
Cingi la benda candida |
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Cantabile |
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E tu infelice vittima |
Ah che d’umane lagrime |
[Nacqui all’affanno] |
Se grate son le lagrime |
Tempo di mezzo |
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[Cari amici...] |
Già sull’Orbe il sol prepara |
[No no, tergete il ciglio] |
Alla gioia il cor prepara |
Cabaletta |
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Ah il più lieto, il più felice |
E d’Imene intorno all’ara |
Non più mesta accanto al fuoco |
[Temere un danno] |
L'aria principale del Conte passa per vie diverse a voci femminili gravi e acute, ma la stessa Rosina verrà frequentata con sempre maggior assiduità dai soprani: pur con differenze di gusto e stile il virtuosismo non è mai venuto a mancare in questa corda, né la propensione a incarnare giovani innamorate, mentre i mezzosoprani e i contralti veramente belcantisti, pur senza estinguersi, si fanno merce più rara con l'avanzare del XIX secolo. In generale, poi, se il Conte perde autorità, anche alla sua amata potrà convenire un alleggerimento e l'estetica amorosa farsi più leziosa. Non si tratta, però, solo di un'appropriazione posteriore da guardare con sospetto, di una moda superata: già nel 1819, in occasione di una ripresa veneziana, il soprano Joséphine Fodor- Mainvielle affrontò il ruolo di Rosina e ottenne da Rossini l'aggiunta di una nuova aria scritta appositamente per il registro più acuto. “Ah s'è ver che in tal momento”, collocata prima del temporale a esprimere i dubbi della giovane dopo le insinuazioni di Don Bartolo sull'amato Lindoro, rappresenta la giustificazione d'autore al cambio di registro. Lungi dai bamboleggianti ghirigori delle Rosine affidate a soprani di coloratura liberty, non sarebbe improprio, dunque, affidare il personaggio a una cantante consapevole dello stile e riprendere l'aria che conferisce alla pupilla un ruolo di primo piano non inferiore, anzi, a quello di Almaviva (oltre a un duetto e un terzetto, tre arie di grande estensione e articolazione teatrale e psicologica, una delle quali posta in posizione limitrofa a quella del Conte).
La Fodor, peraltro, prima Rosina soprano, inseriva come aria della lezione, in luogo di “Contro un cor che accende amor”, “Di tanti palpiti” da Tancredi, brano in origine contraltile: una bizzarria per i moderni che ai tempi, ben più elastici quanto a trasposizioni e registri vocali, non dovette turbare nessuno e si inserisce nella consolidata pratica di fare della lezione il momento in cui la primadonna poteva sfoggiare, talora in una sorta di vero e proprio mini concerto, le sue arie di baule favorite. Cominciò proprio Gertrude Righetti Giorgi, nella ripresa bolognese dell'estate 1816, inserendo un'aria dal titolo “La mia pace, la mia calma” di autore ignoto ma nella quale, per mantenere il legame drammaturgico, fu comunque innestato il tempo di mezzo rossiniano “Ah Lindoro, mio tesoro”.
Innumerevoli sono i cambi, i tagli, le interpolazioni che costellano la bicentenaria fortuna del Barbiere. Forse il più celebre non ancora qui citato è l'aria “Manca un foglio” di Pietro Romani inserita nell'autunno del 1816 a Firenze da Paolo Rosich, interprete di Bartolo, in luogo di “A un dottor della mia sorte”. La Righetti Giorgi scrisse che “Essa è una bell’aria, e non ispiace a Rossini, che sia stata introdotta nella sua opera". Possibilissimo che Rossini non si preoccupasse di queste consuetudini teatrali, cui egli stesso non si sottraeva fornendo all'occorrenza arie alternative per opere altrui; certo che “Manca un foglio” rimase in repertorio fino al Novecento.