L’Ape musicale

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Verri e la fisionomia dell’antico Teatro alla Scala

Fino ai primi anni del XIX secolo, i teatri lirici italiani animarono le vite cittadine con opere e balletti, ma anche gioco d’azzardo; costruiti prevalentemente in legno, erano soventemente soggetti a incendi soprattutto perché l’illuminazione era possibile soltanto con candele e lampade a olio, senza dimenticare che si soleva ricorrere a bracieri per riscaldare l’ambiente. I primi teatri d’opera milanesi furono sale private. Inizialmente la musica riecheggiava nelle corti nobiliari e, dal 1598, nel Palazzo Ducale, ove nel 1717 fu costruito il Regio Ducal Teatro, il principale teatro del capoluogo lombardo sino alla fondazione della Scala, anticipata dal provvisorio Interinale. Il progetto del Teatro alla Scala (supportarono economicamente dai palchettisti del Regio Ducal Teatro in cambio del rinnovo della proprietà dei palchi) fu affidato all’architetto Piermarini, mentre dobbiamo la decorazione pittorica a Giuseppe Levati, Giuseppe Reina e Domenico Riccardi che dipinse il sipario: i lavori iniziarono nel 1776 e terminarono due anni dopo. Come già accennato, i teatri erano anche luoghi adibiti al gioco d’azzardo, che fu una fonte di finanziamento anche per la Scala nei suoi primi anni di attività, comunque sempre supportata da quelle famiglie che vollero la sua edificazione e che ne mantenevano la proprietà attraverso le quote dei palchi e affidando la gestione ad abili impresari, mentre la platea era destinata al grande pubblico meno altolocato e talvolta al ballo. L’atmosfera teatrale settecentesca era completamente differente da quella che riscontriamo nei teatri odierni: il rigoroso silenzio che oggi impera, agli inizi della storia del teatro era totalmente assente, rotto dal chiacchiericcio proveniente dalla platea e dai palchi nobiliari. Le sere a teatro erano occasioni di incontri e confronti sociali, non momenti esclusivamente votati all’ascolto musicale, e durante quella dell’inaugurazione della Scala, il 3 agosto 1778, vi fu uno spettatore che non rimase colpito del tutto positivamente dalla cornice architettonica che ospitò L’Europa riconosciuta di Salieri: era l’illuminista milanese Pietro Verri, filosofo, storico, letterato nonché celebre economista, amante dell’arte e autore di importanti discorsi legati al concetto di gusto musicale e non solo. Verri non apprezzò la facciata del Piermarini e l'assenza di una piazza, che evrrà realizzata fra il 1857 e il 1861 su iniziativa dell'imperatore asburgico Francesco Giuseppe:

La facciata del nuovo teatro è bellissima in carta e mi ha pure sorpreso quando la vidi prima che si mettesse mano alla fabbrica, ma ora quasi mi dispiace. Nel disegno tu vedi la facciata come una sola superficie, nella esecuzione sono tre pezzi. Il portico di bugne si avanza molto e, servendo al passaggio delle carrozze che vanno al teatro, ti copre e offusca parte dell’edificio. Se ti scosti poi per vedere scemata la deformità, ti spunta un casotto in cima alla facciata che è poi il tetto assai alto. Questa facciata, poi, è piantata dove era il fianco della chiesa della Scala, e così, vedi, non ha piazza avanti a sé.

Al contrario, l’interno del teatro gli fece tutt’altra impressione:

Se ti ho fatto le note critiche sulla facciata che di rilievo ha grandi imperfezioni, io ti farò l’elogio dell’interno di questa magnifica fabbrica. Spira dappertutto grandezza di eleganza, la curva è riuscita così bene che in ogni parte che ti affacci ti sembra d’essere come al centro per rimirare il tutto insieme. Appoggiando le spalle all’orchestra mi pare di essere in una rotonda per l’illusione che mi fa comparire le logge non sovraimposte perpendicolarmente. Il ridotto è un appartamento reale: grandi sale a volta a trumeau ben mobiliate, bene illuminate. La gran sala del ridotto è il corpo di mezzo della facciata, ne ha due laterali e una parallela più interna; ha l’uso della terrazza sul portico, e non si può fare un ridotto più maestoso e comodo. Sono sei ordini di palchi di 36 palchi ciascuno, siccome lo era il vecchio teatro. […] La musica e le voci risuonan bene, la platea è a volta, i plachi e le loro divisioni sono di legno, tutto il restante è l’opera de’ muratori, le corsie, camerini e porte de’ palchi; si sta con animo tranquillo anche contro l’incendio.

Così scrisse Verri in una lettera indirizzata al fratello Alessandro, fornendo una testimonianza della peculiarità e funzionalità della bellissima struttura e del fasto generale della serata inaugurale, in occasione della quale furono dipinte meravigliose e fantasiose scenografie per uno spettacolo grandioso, in pieno stile scaligero. L’aspetto del teatro non rimarrà immutato nel tempo, subirà significativi cambiamenti e ristrutturazioni. In qualità di organismo vivo e pulsante, si adatterà alle necessità. Proseguendo nella lettura dell’epistola fra Verri e il fratello apprendiamo che il fondo del palco si appoggiava alla casa dei marchesi Talenti da Fiorenza, cioè quell’abitazione che sappiamo che negli anni successivi sarà acquistata e demolita per ricavare il retropalco; la prima metà del XIX secolo è all’insegna di importanti interventi sulla struttura del teatro, che cambia volto per adattarsi al canone neoclassico ottocentesco, inoltre la Scala si consacra come luogo privilegiato deputato alla rappresentazione del melodramma italiano, anche grazie alle messe in scena di opere di Rossini (che per la Scala scriverà espressamente La pietra del paragone, Aureliano in Palmira, Il turco in Italia, La gazza ladra e Bianca e Falliero), Mercadante (fra le tante, ricordiamo almeno Il bravo e Il giuramento), Donizetti (per esempio Gemma di Vergy, Lucrezia Borgia e Maria Stuarda), Bellini (Il pirata, La straniera e Norma) e Verdi. [segue]


 

 

 
 
 

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